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1. La basilica di S Saturnino

1.2. Gli scavi nella basilica di S Saturnino: seconda fase (1621)

1.2.8. La tomba con l’iscrizione CIL X, 1306*

Il 19 ottobre 1621, mentre si continuava a ripulire e scavare davanti alla prima cappella del braccio meridionale, dalla parte del vangelo, si scoprì una lastra di marmo bianco iscritta, spezzata in sei frammenti e lacunosa. Fu avvisato l’arcivescovo, che mandò al suo posto il vescovo Carta, il quale una volta giunto nella basilica, alla presenza dei testimoni elencati nell’atto, fece asportare la lastra il cui testo fu trascritto come segue (f. 137r): Die 19 mensis 8bris anno a nativitate Domini

MDCXXI Calari et in ecclesia Sancti Saturnini sita extra muros praesentis civitatis. Passando adelante en limpiar y cavar los que trabaxan en la dicha santa iglessia es a saber en la entrada de la primera capilla imediate al altar maior que hoy es en dicho brasso de iglessia a la parte del evangelio se descubrio una losa de marmol blanca rompida en seis pedassos a la qual le falta algunos otros pedassos con su letrero esculpido en dicha losa de lo que se aviso a su senoria illustrissima y reverendissima y luego enbio en su persona al reverendissimo obispo don Sebastian Carta y legado que fue en dicha iglessia en ella hallo al padre fray Seraphino Esquirro y al padre fray Antonio Xinto capuchinos, al segnor don Diego Desquivel, al venerable Brando y muchos otros ansi ecclesiasticos como seglares y encontinente mando quitar la dicha losa de marmol en la qual estava escrito y esculpido en lletras goticas el siguiente letrero.

Dopo aver rimosso l’iscrizione, proseguendo lo scavo a una profondità di circa un palmo e mezzo, fu individuata una sepoltura (n. 52) coperta da lastre di pietra e con struttura in pietre e calce, completamente imbiancata sempre con la calce. La sua posizione era allineata a destra a quella di Marinus, un poco più avanti di essa. All’interno vi erano tutte le ossa di un corpo, che furono recuperate, avvolte in una tela bianca e affidate al vescovo Carta perché le custodisse (f. 137r): Y quitada la dicha losa cavando abaxo cosa de un palmo y medio se hallo una sepultura

cubierta de cantones y ella fabricada de piedra y cal y toda enblanquina dicha sepultura de cal la qual venia en hilera y a hilo derecho con la que se hallo del glorioso martir San Marino un poco mas adelante de aquella en la dicha primera capilla dentro la qual se hallo todo el cuerpo de dicho glorioso martir San Martin segundo dise y declara el sobre escrito letrero el qual se saco a vista de todos los sobredichos y tambien de Joan Francisco Taray notario publico en esta ciudat los quales huessos y santas relliquias se pusieron con un lienso blanco y los guardo dicho reverendissimo obispo Carta.

Si aggiunge poi che al lato della tomba n. 52 se ne mise in luce un’altra (n. 53), ad una distanza di appena un palmo e mezzo. Essa era accostata e adiacente ad un muro posizionato davanti alla prima cappella. La sepoltura era coperta da lastre di pietra, e nel mezzo da una lastra di marmo anepigrafe. Una volta rimossa la copertura, si vide che la struttura della tomba era realizzata in pietre e calce, e che essa conteneva poche ossa pertinenti ad un corpo in cattivo stato di conservazione, che furono custodite dal vescovo Carta (f. 137r): Y mas se hase nota que al lado

desta sepultura arriba dicha se ha hallado otra sepultura que solo hay distansia entre la una y la otra de cosa de palmo y medio que viene arrimada y paredada junto a una parede que hay fabricada delante de dicha primera capilla la qual estava cubierta de cantones y en medio una losa de marmol blanco sin letrero y quitada la dicha cubierta se ha hallado dicha sepultura que estava fabricada de piedra y cal y dentro della unos pocos de huessos de cuerpo humano que los demas se

entiende se son consumidos por la mucha distansia del tiempo los quales se guardaron por dicho senor obispo Carta.

Infine si annota che, in corrispondenza della testata di entrambe le sepolture nn. 52 e 53, ne fu individuata un’altra (n. 54), coperta da scaglie di pietra e grandi lastre, priva di iscrizione. Una volta asportata la copertura, la struttura risultava fabbricata con blocchi di pietra molto grandi e calce, e al suo interno si rinvennero le ossa di un corpo umano, che furono recuperate dal vescovo Carta e, insieme alle altre, trasportate al palazzo arcivescovile secondo la prassi consueta (f. 137r-v): Y mas

se nota que en las cabesseras de dichas dos sepulturas se ha hallado otra sepultura per traves la qual estava cubierta de pessaria y cantones grandes en la qual menos se a hallado letrero y quitada la cubierta de dicha sepultura aquella se a hallado fabricada de cantones muy grandes con cal y dentro della se han hallado los huessos de un cuerpo humano, los quales tambien se sacaron y guardaron a una parte por dicho reverendissimo obispo Carta todos los quales huessos y santas relliquias dicho reverendissimo obispo Carta los subio consigo al palassio archebispal calaritano donde se han levado continuamente las demas relliquias y mando ser ansi continuado de quibus.

L’Esquirro299 data il ritrovamento della sepoltura n. 52 allo stesso giorno della precedente n.

51 (14 ottobre). La trascrizione dell’epitafio si differenzia notevolmente da quella degli Actas I, in primo luogo per l’integrazione del nome e della parola iustus, in secondo luogo per l’omissione della quarta linea. Il Carmona dipende dall’Esquirro, ma aggiunge una M prima del nome, e le lettere VIX dopo di esso. Il Bonfant300 si rifà ugualmente all’Esquirro, ma aggiunge la M iniziale

come il Carmona. Come emerge anche solo ad un rapido esame, il testo dell’epigrafe è stato pesantemente integrato e snaturato dagli editori secenteschi. Un tale sconvolgimento era funzionale ad un’interpretazione come: [Hic iacet B(eatus)] M(artyr) Martinus / [qui vixit annis plus minus ---

] m(ensibus) VII d(iebus) XI / [fuit su]bdiaconus iustus.

In CIL X, 1306* si riporta la versione dell’Esquirro. Sulla base della testimonianza degli

Actas I è possibile proporre la seguente trascrizione:

--- / [---] Mart[inus? qui vixit annis / --- m(ensibus)] IX d(iebus) V [--- / ---] ḍiaconus Ṃ[- -- / ---]SD sine ˹f˺ine{m} SṾ[---] / ---.

La lastra doveva essere spezzata su tutti e quattro i lati. L’integrazione Martinus alla prima linea può essere accettata come plausibile, ma non è certa. Il nome del defunto avrebbe potuto essere anche Martialis, Martinianus o Martyrius, per citare solo i più comuni che condividono le stesse lettere iniziali301. Va tuttavia sottolineato che, curiosamente, le fonti non contemplano

neppure la possibilità che possa trattarsi di un mart[yr], qualifica che invece veniva attribuita costantemente ai defunti sulla base di elementi epigrafici ben più labili. Nell’incertezza relativa alla ricostruzione del testo in esame, non va perciò escluso che possa trattarsi realmente dell’iscrizione di un martire. Alla seconda linea si trovava probabilmente il dato biometrico: l’indicazione degli anni di vita è perduta, mentre è conservata quella dei probabili mesi (nove) e giorni (cinque). A

299 ESQUIRRO, pp. 527-528. 300 BONFANT, pp. 380-381.

301 Nel caso di Martinus, Martialis e Martinianus, si tratta di nomi teoforici pagani, derivanti da Mars, che conoscono

una enorme diffusione all’interno dell’onomastica latina, prevalentemente dei ceti più umili. Tale diffusione, come è stato dimostrato, si mantiene inalterata anche presso i cristiani (KAJANTO 1965, pp. 58-59, dove l’autore rivede le affermazioni già formulate in KAJANTO 1963, pp. 87-88; sulla diffusione dei nomi vd. KAJANTO 1965, pp. 54-55 e 212).

All’interno delle iscrizioni cristiane della Sardegna si conosce un Martialis da Turris Libisonis (ILSard I, 300). Per quanto riguarda invece Martyrius, si tratta di un nome di derivazione greca e prettamente cristiano, che conobbe una certa diffusione in quanto espressione della venerazione nei confronti dei martiri (KAJANTO 1963, pp. 86, 100). In Sardegna si ha un’attestazione della forma più tarda Martur[ius] in un’iscrizione da Turris Libisonis (ELSard B80).

questa ricostruzione contribuiscono i segni di interpunzione triangolari che separano i numerali dall’abbreviazione usata per d(ies). La terza linea contiene il titolo che il defunto doveva rivestire all’interno della gerarchia ecclesiastica, ossia quello di diaconus. La restituzione del termine è pressoché certa, mentre non si spiega la lezione subdiaconus presente negli autori secenteschi, in quanto nessuna lettera precede la D, peraltro incompleta. Il personaggio dunque occupava una carica analoga a quella del precedente Marinus levita, anche se in questo caso si utilizza il sinonimo latino per designarla302. Ciò che segue il termine diaconus è di difficile lettura. Un segno di

interpunzione segnala la fine di parola; piuttosto che la lettura iu(stus) proposta dalle fonti, sulla base dell’orientamento delle aste sembra più probabile riconoscere una M, peraltro simile a quelle presenti alla prima e alla quarta linea, facente parte di una parola che non è possibile ricostruire. Il triangolo sulla destra, in tal caso, non sarebbe un altro segno di interpunzione bensì la terminazione dell’asta laterale303. L’ultima linea è controversa, in quanto dalla trascrizione presente negli Actas I

non è chiara la suddivisione delle parole e non si dispone di elementi di confronto nelle altre fonti, che la omettono. La S e la D iniziale facevano parte di una parola, o più probabilmente di un’abbreviazione, che non è possibile ricostruire (escluderei che si tratti di s(ub) d(ie), peraltro comunissimo, a causa di ciò che segue). Nella parte centrale della linea si può proporre di leggere

sine fine{m}, con l’accusativo erroneamente sostituito all’ablativo e la E e la F unite in nesso, da ritenersi pertinente ad un’espressione mirante a sottolineare la vita eterna che il defunto si sarebbe guadagnato con i suoi meriti in vita, l’eternità della morte o del dolore che i parenti dovranno sopportare304. Una lettura del segmento come in finem renderebbe ancora più complessa la sigla

iniziale SDS, e resterebbe inoltre priva di interpretazione, anche perché la preposizione più comunemente usata prima della parola finem è ad305. Le lettere finali della linea, una S e una

probabile V, possono essere solo ipoteticamente riferite ad un possessivo come sua.

Dall’analisi effettuata risulta un testo che, pur nella sua frammentarietà, doveva essere piuttosto complesso, secondo una caratteristica costante negli epitafi dei membri della gerarchia ecclesiastica, già rilevata a proposito del precedente. La presenza della tomba di un altro diacono, infine, contribuisce a sottolineare il carattere privilegiato delle sepolture ubicate nelle immediate vicinanze del sarcofago ritenuto di S. Saturnino.

302 In Sardegna si conosce un altro diacono da Carales (CIL X, 7789). Sui diaconi, le cui attestazioni epigrafiche non

risalgono a prima della fine del III sec., vd. le considerazioni già espresse a proposito dell’iscrizione di Marinus.

303 Il diverso spessore delle linee nella trascrizione degli Actas I è probabilmente imputabile a qualche problema nello

stilo o nell’inchiostro e non a intenzionalità del notaio.

304 Alcuni esempi di simili espressioni in ILCV 46 (da Lugdunum): accepit melior tum sine fine dies; ILCV 64 (da

Roma): Christi in regno dum sine fine manes; ILCV 217 (da Roma): ad vitam redii quae sine fine manet; ILCV 990 (da Roma): nam mercedem operum iam sine fine tenes; ILCV 1312 (da Roma): redditur haec meritis quae sine fine manet;

ILCV 1691 (da Arelate): sine fine beatum; ILCV 3440 (da Mediolanum): Christus vitam dat sine fine suis; ICUR II, 4159: vitae aeternae iter... pulchrum atque decens iam sine fine manet; ICUR VIII, 23303: nova iam fruitur nunc sine

fine die; FINKE 58 (da Augusta Treverorum): semper sine fine sit gloria vitae; IHC 235 (da Trobe): det dominus sine

fine premia digna; IHC 496 (da Salas): si regnum Christi sine fine possideatis; RICG VIII, 12: meruit iam sine fine

diem; l’eternità della morte è ricordata in ILCV 3330 (da Roma): perpetuas sine fine domos mors incolit atra; esempi riferiti al dolore eterno dei parenti in CIL VI, 10244: sine fine gemunt; 26680: lugunt sine fine parentes; 37965 (lachrimans sine fine); ICUR I, 713: dolorem sine fine dedit; 1001: vivit nunc sine fine dolor; 2794: fit sine fine dolor; II, 4187: sempre sit sine fine dolor; VIII, 23461: solus superest et sine fine dolor; AE 1968, 236 (da Iesso): tristes sine

fine parentes; CIL XIII, 11895 (da Mogontiacum): sine fine doleto (su questi aspetti vd. JANSSENS 1981, pp. 48-64).

305 Espressioni contenenti il segmento in finem sono rare nell’epigrafia funeraria, dove si tende a sottolineare

maggiormente il concetto di eternità piuttosto che quello di fine. Esempi in CIL VI, 8467: fecit... in finem vitae suae;