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L’iscrizione di Bonifatius episcopus (CIL X, 7753)

1. La basilica di S Saturnino

1.1. Gli scavi secenteschi nella basilica di S Saturnino: prima fase (1614-1615)

1.1.14. L’iscrizione di Bonifatius episcopus (CIL X, 7753)

Questa iscrizione è scolpita sul sarcofago del vescovo Bonifatius, tuttora custodito all’interno della basilica e utilizzato nel Seicento come altare nella cappella a sinistra dell’abside. Essa è riportata da tutte le fonti secentesche.

L’Esquirro189 afferma che il sarcofago di Bonifatius non rientra fra i ritrovamenti effettuati

nella basilica a partire dal novembre 1614, ma che era stato scoperto qualche anno prima (l’autore non precisa quando) nella cappella a sinistra dell’abside, dalla parte del vangelo, tre palmi sotto terra e adiacente al muro di fondo della cappella stessa. Il sarcofago fu rinvenuto vuoto, evidentemente perché la sepoltura era già stata violata in antico, e una volta recuperato fu ricollocato nello stesso punto per essere utilizzato come altare.

Figura 3: il sarcofago con l’iscrizione di Bonifatius episcopus (da MUREDDU,SALVI,STEFANI 1988, tav. XXXVIII).

186 Il Bonfant accenna appena a una figura di Cristo nella cupola (BONFANT, p. 360); sull’iscrizione e le antiche

decorazioni della cupola vd. CASINI 1905, pp. 310-311; TARAMELLI 1924, p. 111; DELOGU 1955, p. 8; KIROVA 1979, p.

58; MUREDDU,SALVI,STEFANI 1988, p. 56. L’iscrizione è raccolta anche in ILCV, 2374.

187 Su questo aspetto dell’epigrafia cristiana monumentale vd. CARLETTI 1997, p. 161. 188 AUG., In Iohannis evangelium tractatus, 18, 7, 37: perfice quod inchoasti.

Per quanto riguarda le circostanze di rinvenimento, in mancanza di dati precisi, è importante sottolineare che il sarcofago con l’iscrizione del vescovo Bonifatius è menzionato in un’opera cinquecentesca, il Caralis panegyricus di Roderico Hunno Baeça, dove si afferma che esso adhuc in

Divi Saturni aede extat; il suo recupero quindi risale ad un’epoca anteriore alla composizione dell’opera, che in base agli studi più recenti può essere datata alla metà del XVI sec.190

Data la possibilità di un esame autoptico dell’iscrizione191, in questa sede è interessante

soprattutto verificare l’aderenza delle fonti secentesche al testo originale e valutare così il grado di attendibilità delle stesse fonti nel caso, molto più frequente, di epigrafi perdute. A tal proposito sarebbe stato utile poter disporre anche della testimonianza degli Actas I, che tuttavia tacciono su questo ritrovamento. La trascrizione del testo è la seguente:

In hoc tumulo requies/cit s(anctae) m(emoriae) Bonifatius episcopus / qui vixit annis pl(us) m(inus) LX et se/dit cathedra annis VII, m(ensibus) IIII / quievit in pace sub d(ie) XVI kal(endas) / Septembres.

Come risulta evidente, nessuna trascrizione secentesca è esattamente fedele: l’impaginato originale non è mai rispettato, mentre la distribuzione del testo è razionalizzata evitando gli a capo presenti alla prima e terza linea dell’originale. Il raro s(anctae) m(emoriae)192 è mantenuto solo dal

D’Esquivel: viene sostituito dal più comune b(onae) m(emoriae) da parte dell’Esquirro e del Carmona, mentre il Bonfant trascrive BS M., che interpreta come B(eatissimu)s M(artyr). Il verbo

requiescit diviene quiescit in Esquirro e Bonfant; il nome del vescovo viene ispanizzato in

Bonifacius da tutti gli autori tranne il Bonfant; il titolo di episcopus scritto per esteso è abbreviato dal D’Esquivel; la parola annis è omessa dal D’Esquivel e abbreviata dall’Esquirro e dal Bonfant sia alla terza che alla quarta linea; le abbreviazioni usate per pl(us) m(inus) sono rispettate dal solo D’Esquivel; la congiunzione et è omessa dall’Esquirro e dal Bonfant; il D’Esquivel aggiunge la preposizione in prima di cathedra; il quievit della quinta linea diviene requievit in Esquirro e Bonfant; in questi ultimi autori si trova infine rispettivamente Setembris e Septembris in luogo di

Septembres. Anche le hederae che compaiono nelle riproduzioni secentesche dell’iscrizione risultano essere un’aggiunta arbitraria degli autori.

Da questa analisi emerge come, al di là del significato generale che viene comunque mantenuto, le trascrizioni operate dai quattro autori siano poco curate nei particolari, manifestando la tendenza a rendere il testo più conforme al formulario consueto delle iscrizioni note, ad applicare scioglimenti o abbreviazioni arbitrari e in generale a non rispettare le particolarità caratterizzanti che costituiscono la specificità di ogni epigrafe. Questo modo di procedere, pur avendo preservato la sostanza dei testi rinvenuti, crea non pochi problemi quando si tratta di interpretare iscrizioni frammentarie o di meno immediata comprensione rispetto a quella ora in esame.

Per quanto riguarda l’inquadramento storico di Bonifatius, la mancanza di riferimenti cronologici precisi nell’iscrizione non permette di determinare in quali anni egli fu a capo della sede vescovile di Carales. Antonio M. Corda193 propone una datazione del testo al IV-V sec., periodo in

cui andrebbe conseguentemente collocata la sua attività; Raimondo Zucca194 inserisce invece

190 Il Panegyricus è attualmente in corso di studio da parte della Prof.ssa Maria Teresa Laneri dell’Università degli

Studi di Sassari, che ringrazio per le informazioni ricevute.

191 Sul cui vd. ILCV 1025; LUTZU 1916, p. 184; CORDA 1999, CAR014; DADEA,MEREU,SERRA 2000, p. 209. 192 Sul cui impiego vd. CORDA 1999, commento a CAR004.

193 CORDA 1999, CAR014. 194 ZUCCA 1988, p. 36.

Bonifatius fra i vescovi di età vandalica e bizantina; già Pietro Lutzu195 considerava del resto

Bonifatius un vescovo africano esiliato dai Vandali nell’isola, con la motivazione che gli storici ecclesiastici della Sardegna ignorano un vescovo di questo nome. In mancanza di riscontri documentari, è impossibile avvalorare alcuna ipotesi circa il personaggio in esame; il nome stesso, del quale è stata dimostrata l’origine africana196, non può fornire indicazioni più precise per quanto

riguarda la cronologia né la provenienza, dati i secolari rapporti fra Sardegna e Africa che vanno ben al di là dell’episodio dei vescovi esiliati dai Vandali. Tuttavia, se si considera il contesto archeologico di rinvenimento del sarcofago, la datazione al IV-V sec. appare eccessivamente alta, mentre una collocazione nel VI sec. si inquadrerebbe meglio nelle fasi architettoniche della basilica e della relativa necropoli.