• Non ci sono risultati.

1. La basilica di S Saturnino

1.2. Gli scavi nella basilica di S Saturnino: seconda fase (1621)

1.2.7. L’iscrizione di Marinus (CIL X, 1304*)

Lo stesso 14 ottobre in cui venne scoperto il sarcofago contenente il corpo di S. Saturnino, nel pomeriggio, al lato di esso fu individuata una sepoltura (n. 51), alla presenza di tutti i testimoni già menzionati nell’atto precedente. La tomba era ugualmente collocata nella prima cappella del braccio meridionale, ma più vicino all’altare maggiore. In cima ad essa fu recuperata una lastra di marmo bianco iscritta, spezzata in quattro frammenti, il cui testo è riprodotto di seguito (ff. 121v- 122r): Y este mesmo dia 14 de 8bre 1621 anno por la tarde al lado donde estava la dicha arca de

marmol con el cuerpo de dicho glorioso martir San Saturnino se a hallado otra sepultura a vista y presensia de todos los arriba nombrados y refferidos la qual sepultura estava mas serca en la dicha primera capilla imediate serca al altar mayor es a saber en el brasso de medio de dicha iglessia de dicho glorioso martir San Sadorro y ensima dicha sepultura su letrero esculpido en una losa de marmol blanco hecha y rompida en quatro pedassos en la qual esta escrito y esculpido dicho letrero con letras goticas que recita y dise y esta de la forma y manera siguiente.

Il pomeriggio del giorno seguente (15 ottobre), scavando al di sotto dell’iscrizione a una profondità di tre palmi, sempre al lato del sarcofago di S. Saturnino, all’interno della sepoltura realizzata in laterizi e calce furono recuperate le ossa di un corpo umano, ritenuto quello del

Marinus menzionato nell’epitafio. Le ossa furono avvolte in una tela bianca e custodite da parte del vescovo Carta (f. 122r): Y a los 15 de dicho mes y anno por la tarde cavando mas abaxo en dicha

sepultura donde estava puesto el sobre escrito letrero serca tres palmos grandes que estava al llado y junto como se a dicho de la arca de marmol blanco donde esta puesto el cuerpo del glorioso martir San Saturnino se han hallado en dicha sepultura que esta hecha de ladrillos y cal todos los huessos y relliquias del cuerpo del glorioso martir San Marino que recita el sobre escrito letrero, los quales huessos y relliquias se an puesto dentro un lienso blanco y se han guardado por el reverendissimo obispo don Sebastian Carta asta otro orden de su illustrissima y reverendissima senoria y mando ser ansi continuado de quibus.

L’Esquirro292 è molto sintetico riguardo al ritrovamento, limitandosi ad affermare che la

sepoltura era adiacente alla testata del sarcofago di S. Saturnino. Nella trascrizione dell’epitafio,

291 Vd. PICARD 1986; FIXOT 1986, p. 122; in questo caso la sontuosità della sepoltura era tuttavia destinata all’oblio, in

quanto il sarcofago era interrato; è possibile dunque ritenere che l’omaggio nei confronti del defunto avvenisse soprattutto al momento dei funerali (DIERKENS 1986, pp. 47-48).

l’autore omette le ultime due linee e la fine della terza, e riporta solatium invece di solacius all’inizio. Il Carmona dipende all’Esquirro, fatta eccezione per l’espressione plus minus abbreviata. Il Bonfant293 dà una trascrizione più completa ma imprecisa: egli riporta l’ultima linea, sostituendo

idus a [no]nas, e omette la quarta.

In CIL X, 1304* l’iscrizione è riprodotta nelle due versioni dell’Esquirro e del Bonfant. Sulla base della testimonianza degli Actas I, la lastra doveva essere sicuramente spezzata a sinistra, meno probabilmente a destra. Sul lato sinistro, alle prime quattro linee, è sempre ricostruibile una lacuna di otto o nove lettere, per cui il testo può essere agevolmente ricostruito; non così per la data di morte alla quinta linea. La trascrizione è la seguente:

[Hic iacet] solacius (!) amicorum / [bonae mem]oriae Marinus levvita (!) / [qui vixit] annis plus minus quin/[quaginta q]uievit in pace sub die / [--- no]nas iunias.

Il tipico esordio hic iacet bonae memoriae è diviso in due dall’inserzione di un’espressione mirante a ricordare le capacità di conforto del defunto nei riguardi dei suoi amici294. Il nome del

defunto rappresenta un antico cognomen legato all’origine geografica, frequentemente attestato nel mondo romano295, senza alcuna specifica connotazione cristiana. Quest’ultima è invece chiaramente

riconoscibile nella carica che il defunto dovette rivestire in vita, ossia quella di levita (diacono). L’erroneo raddoppiamento della V conosce solo altri due confronti296 ed è forse imputabile alla

scarsa familiarità col termine, di origine ebraica, piuttosto raro per indicare i diaconi297. Essi sono

ministri e servitori dell’altare, dediti alla cura dei fedeli e in particolar modo dei poveri. Fra gli epitafi che li riguardano si incontra un gran numero di poesie e componimenti complessi, dove spesso veniva ricordata la loro attività caritatevole, per cui in quest’ottica l’espressione solacium

amicorum riferita al diacono Marinus è particolarmente appropriata298. L’età del defunto doveva

essere di circa cinquant’anni. La formula di trapasso, resa da quievit (o requievit) in pace, è seguita dalla data di morte, indicata con riferimento alle nonae di giugno.

Dall’analisi effettuata emerge dunque un’iscrizione piuttosto importante relativa ad un personaggio di un certo livello all’interno dell’ecclesia cagliaritana. A tale proposito non può essere un fatto secondario che la sua tomba fosse adiacente al sarcofago, ritenuto quello di S. Saturnino,

293 BONFANT, p. 380.

294 Sull’uso di tali espressioni vd. supra, § 1.1.12 e 1.2.3, a proposito di FR11 e, soprattutto, di CIL X, 1230*. La forma

solacius qui riportata è scorretta, in quanto si tratta di un sostantivo di genere neutro; da notare anche le forme solatium e solatius riportate rispettivamente dall’Esquirro e dal Bonfant, da ritenere con ogni probabilità un ipercorrettismo in quanto la forma originale e corretta solacium poteva essere sentita come troppo ispanizzante

295 KAJANTO 1965, pp. 81 e 308, dove si riporta un totale di 291 ricorrenze, 30 delle quali riferibili a iscrizioni cristiane.

In Sardegna non si conoscono altre attestazioni.

296 Si tratta di ICUR VII, 17671 e 18017.

297 GROSSI GONDI 1920, pp. 140-141, dove si data la comparsa del termine alla seconda metà del IV sec. Sul suo

significato è particolarmente esplicito un passo di HIER., Epist. ad Evangelium, 56, 2, 312: et ut sciamus traditiones

apostolicas sumptas de veteri testamento: quod Aaron et filii eius atque levitae in templo fuerunt, hoc sibi episcopi et presbyteri et diaconi in ecclesia vindicent. In ISS 2, n. 3.6.8 si sostiene che la scelta di questo termine in luogo del comune diaconus potrebbe essere dovuta a ragioni metriche nel caso ad esempio dei carmi damasiani. La denominazione levita ricorre in: CIL II, 642 (da Corduba); CIL V, 6725 e 6727 (entrambe da Vercellae); CIL X, 1195 (da Abellinum); CIL XI, 264 (da Ravenna, qui il defunto è definito lege dei miserans et pietate bonus); CIL XIII, 1489 (da Augustonemetum); ICERV 558 (da Egara); IHC 283 (da Tritium Megallum, in onore di santo Stefano); CIL VI, 32038 (da Roma, dove il defunto è definito fidus amicitiae custos); ILCV 970 (da Roma, si tratta di un epitafio metrico damasiano); ICUR II, 4098 (componimento metrico damasiano che si conclude con la clausola levita fidelis); 4926; 4964 (entrambi relativi alle mogli di due leviti); IV, 10129; 10355a; 11078 (altro componimento damasiano contenente

levita fidelis); 12601; V, 13431; VII, 18661 (si tratta di un medicus); 18811; 19601; IX, 24831 (si tratta di un lunghissimo epitafio metrico con le lodi del defunto).

che al di là dell’errata identificazione costituisce comunque una sepoltura privilegiata che funge da polo di attrazione per altre inumazioni di rilievo.