• Non ci sono risultati.

1. La basilica di S Saturnino

1.2. Gli scavi nella basilica di S Saturnino: seconda fase (1621)

1.2.4. La tomba con l’iscrizione CIL X, 1138*

Lo stesso 7 ottobre 1621, dopo aver asportato le ossa di Numida, si scoprì nella quarta cappella della basilica, ai piedi della tomba di Iellasius e Filoquirius, una lastra di marmo bianco lunga sette palmi e larga quattro, rotta in vari frammenti, su cui era scolpita in lettere ‘gotiche’ l’iscrizione riprodotta di seguito (f. 119v): El mesmo dia a los 7 de dicho mes y anno se descubrio

una losa de marmol blanco en la quarta capilla a los pies de la sepultura de los gloriosos santos martires Gellasio y Eloquirio larga esta losa siete palmos y ancha quatro palmos rompida en diversos pedassos de la caida de dicha iglessia y en dicha losa estava esculpido en letras goticas el siguiente letrero.

La mattina del giorno seguente l’arcivescovo, in compagnia di numerose autorità laiche ed ecclesiastiche, si recò nella basilica e fece asportare la lastra di marmo con l’iscrizione. Si continuò poi a scavare al di sotto, e a una profondità di circa tre palmi fu individuata la sepoltura corrispondente (n. 41), coperta da lastre di pietra e realizzata in pietre, laterizi e calce. Al suo interno erano numerose ossa umane in giacitura secondaria, ritenute le preziose reliquie dei presunti santi menzionati nell’epitafio. Una volta recuperate, le ossa furono avvolte in tele e riposte dentro una cassetta di legno rivestita di velluto, che fu trasportata in processione al palazzo dell’arcivescovo. L’atto è firmato in calce dal notaio Gaspar Sirigu (f. 119v): A los 8 del dicho mes tutte e nove da Roma; CIL VIII, 5057 (Numida da Thubursicu Numidarum, si tratta di una donna definita filia pia); 5069 (Numida da Thubursicu Numidarum); 5211 (Numida Misictri da Tenelium); 9440 (Numida da Caesarea); 12080 (Gallus Numida da Besra); 13062 (Numida da Cartagine); 16083 (Iulia Numida da Sicca Veneria, una donna); 17667 (Mustius Numida da Cedia); 21102 (Numida da Caesarea); 27264 (Victorius Numida da Thugga); BCTH 1910, CCXL (Q. Magnius Numida, da Thysdrus); ILAlg II, 1, 467 (Valeria Numida da Douar Yamidene, una donna); CIL X, 4650 (F.

Furius Numida da Cales); AE 1913, 42 (F. Iulius Numida da Salona); CIL XII, 1830 (Laetorius Numida Antestianus da Vienna); 2629 (L. Nammius Numida da Genova); AE 1976, 399 (Q. Iulius Numida, da Pauliane); CIL II, 6285d (Valerius Numida, da Gades); CIL II, 3845 (L. Antonius Numida da Saguntum); 4033 (M. Sergius Numida, da

Saguntum); AE 1982, 616 (L. Sempronius Numida da Carrascosa del Campo).

246 BONFANT, pp. 176-177; CARMONA, f. 23r; MUREDDU,SALVI,STEFANI 1988, p. 115; sulla falsità dell’iscrizione vd.

RUGGERI,SANNA 1996, p. 87, dove la si considera una duplicazione della precedente.

247 Escludendo i numerosi riferimenti all’ordo e alla res publica Cuiculitanorum, l’etnico riferito a individui ricorre in

due iscrizioni da Cuicul: BCTH 1954, 160 (M. Aemilius Donatus Cuiculitanus); ILAlg II, 3, 8002 ([---]cilius Torbenus

Cuiculitanus).

248 Per quanto riguarda la datazione, i legami con Cuicul e le ipotesi formulate circa la presenza di Numida a Carales,

vd. RUGGERI,SANNA 1996, pp. 87-90. Un ipotetico legame con la Cohors II Sardorum stanziata a Rapidum, circa 300

km a ovest di Cuicul, non è supportato dalla documentazione. Più probabile una collocazione del personaggio in età vandalica, periodo nel quale i legami fra Sardegna e Africa furono molto stretti e sono attestati trasferimenti forzati di cattolici esiliati nell’isola durante le persecuzioni ariane, come risulta dalle note vicende di Fulgenzio di Ruspe, che riporterebbero a una datazione agli inizi del VI sec. (vd. PANI ERMINI 1985b e supra, § 1.1.2).

de 8bre 1621 por la magnana baxo su senoria reverendissima en compagnia de su excellencia el senor obispo de Bosa y a vista de dicho su excellencia el senor regente don Francisco Pachero, el doctor Francisco Angel Vico y Artea, Nicolas Escarxony, Pedro Taragona y Francisco Corts hoidores del real consejo, don Francisco Masons, estando tambien presentes los padres capuchinos arriba nombrados y los notarios Ferrando Sabater, Ferrando de Bandas secretario del santo offissio y el notario infrascrito de la curia calaritana y muchas otras personas ansi ecclesiasticas como seglares mando quitar y levar la sobre escrita losa y letrero que por la caida de la dicha iglessia estava quebrado en diversos pedassos y cavando abaxo serca de tres palmos se hallo la dicha sepultura cubierta de algunas piedras de cantones planeros y dicha sepultura esta fabricada de piedra ladrillos y cal y dentro della se han hallado los huessos y santas relliquias de los gloriosos santos martires nombrados en el sobre escrito letrero, es a saber muy buena parte dels huessos de dichos cuerpos que denota ser translassion las quales santas relliquias de mandado de su senoria reverendissima se an sacado por manos del doctor y canonigo don Antonio Baccallar y puestas dentro de un lienso se an puesto dentro de una arquilla tapissada de tersiopelo, y aquellas se han subido en el palasio de su senoria reverendissima con mucha devossion regosixo y alegria y manda ser ansi continuado porque conste de quibus. Gaspar Sirigu notarius et secretarius.

Il giorno dopo (9 ottobre), mentre si indagava l’area circostante la tomba n. 41, ne fu scoperta un’altra a destra di essa (n. 42), scavata dentro un masso di pietra come una pila, ossia un sarcofago, che aveva forma ovale; un’altra sepoltura (n. 43), realizzata in laterizi e calce, era posizionata presso la testata della precedente, vicino alla parete. Ciascuna conteneva un corpo, riferito a due dei defunti nominati nell’iscrizione, mentre gli altri quattro sarebbero stati sepolti all’interno della tomba n. 41. Tutte le ossa recuperate furono conservate insieme (ff. 119v-120r): Hase de advertir

que a los nueve de dicho mes de 8bre 1621 cavando al entorno de la retro scripta sepultura donde estava puesto el retro escrito letrero se a hallado al llado derecho de dita sepultura otra sepultura hecha en una piessa gran de piedra fuerte como una pila y es ovada en la hechura y otra sepultura hecha de edificio de ladrillos y cal a la cabessera de la retro escrita sepultura junto a la parede y en cadauna de dichas sepulturas se ha hallado los huessos de cuerpo humano, que se entiende son dos cuerpos de los contenidos en el retro scrito letrero y los quatro son los que estavan en dicha sepultura, los quales huessos y santas relliquias se han colocado y puesto con las demas relliquias de dichos gloriosos santos contenidos y expressados en dicho letrero.

L’Esquirro249 riporta i dati di scavo in maniera analoga agli Actas I, riferendo alla medesima

iscrizione le tre sepolture scavate, due in muratura e una in sarcofago. L’autore tuttavia identifica ciascun corpo con uno dei nomi riportati sull’epitafio, e disquisisce sugli ipotetici legami familiari fra i defunti. Egli aggiunge anche la notizia del ritrovamento, in cima alla sepoltura centrale contenente quattro corpi, di un frammento di marmo bianco sul quale era scolpito a rilievo un leone che aggrediva un bambino250, e insieme ad esso un altro frammento con la raffigurazione di una

colomba rivolta verso una palma251.

Il Bonfant252 tratta separatamente di ciascun ‘santo’ rinvenuto, tralasciando i dati archeologici

per concentrarsi, come di consueto, su quelli agiografici.

249 ESQUIRRO, pp. 520-522.

250 Si tratta probabilmente di un frammento di sarcofago decorato.

251 Probabilmente un frammento di epitafio. Sul simbolo della colomba vd. supra, § 1.2.1, a proposito dell’iscrizione di

Iellasius e Filoquirius. La presenza della palma viene comunemente interpretata come simbolo di pace.

La lastra, di dimensioni notevoli (1,82 m di lunghezza e 1,04 m di larghezza), doveva essere spezzata sul lato destro, dato che alcune parole sono lacunose o mancanti, e conteneva sei epitafi scritti di seguito, quattro relativi a uomini e due a donne. Le quattro versioni riprodotte sono sostanzialmente concordi; si segnala soltanto la tendenza, nei tre autori secenteschi, a integrare le lacune del testo, sia che queste siano facilmente ricostruibili, sia che debbano necessariamente essere frutto di invenzione, come accade per le date di morte di Petrus e del secondo Bonifatius. La più aderente a quella contenuta negli Actas I è comunque la versione dell’Esquirro, riportata in CIL X, 1138*, dalla quale dipendono le altre due. La trascrizione è la seguente:

Hic iace[t b(onae) m(emoriae) Bo]nifacius (!) q(ui) vixit [annis] / plus minus XLV requiebit in [pace sub die] / X kalendas nobembres (palma) [---?]. / Hic iacet b(onae) m(emoriae) Aemilianus qui vix[it annis] / plus minus XV requiebit in pa[ce sub die] / pridie nonas nobembres [---?]. / (croce) Hic iacet b(onae) m(emoriae) Petrus TLLI qui bixit annis plus min(us) LI requiebit in pace [---?]. / Hic iacet b(onae) m(emoriae) Theodosia que vixit an[nis plus] / minus XLV requiebit in pace [sub die] / VIII idus aprilis (palma). Hic iacet b(onae) m(emoriae) Pupa qui [vixit annis plus minus] / XLI requiebit in pace sub d(ie) non(a)s feb(ruaria)s{s} [---?]. / Hic iacet b(onae) m(emoriae) Bonifatius qui bixit annis sex quiebit in pace [---?].

Alla lunghezza del testo non fa riscontro un’analoga complessità. Ciascuno dei sei epitafi ripete lo stesso formulario, che è quello comune nelle iscrizioni funerarie di Carales, articolato nella formula introduttiva (hic iacet bonae memoriae), nome del defunto, dato biometrico (introdotto da

qui vixit annis plus minus), formula di trapasso (requiebit in pace) e data di morte, sempre indicata con riferimento alle calende, none o idi del mese. In questo è evidente una ricerca di uniformità all’interno di un testo che, sebbene articolato in sei parti, doveva essere comunque concepito unitariamente.

I nomi dei defunti sono tra i più comuni nell’onomastica cristiana. Bonifatius ricorre per due volte (la forma Bonifacius del primo va probabilmente considerata un errore di trascrizione), il che contribuisce a testimoniarne la grande diffusione253. Esso è riferito da un lato a un uomo di

quarantacinque anni, morto il decimo giorno prima delle calendae di novembre (23 ottobre); dall’altro a un bambino di sei anni del quale è ignota la data di morte. Aemilianus è un cognomen molto comune, derivato dal gentilizio Aemilius254, qui riferito a un ragazzo di quindici anni, morto il

giorno prima delle nonae di novembre (4 novembre). Petrus rappresenta un nome tipicamente cristiano, di ascendenza neotestamentaria, tra i più diffusi all’interno del materiale epigrafico255. La

sigla che lo segue (TLLI) è di difficile scioglimento: che si tratti di una sigla è suggerito anche dalla soprallineatura, ma essa non trova riscontri all’interno del materiale epigrafico noto e resta pertanto oscura. Il personaggio in esame morì a cinquantun anni. Theodosia è un nome di origine greca che,

253 Sul nome vd. supra, § 1.1.14, a proposito del sarcofago del vescovo omonimo (CIL X, 7753).

254 KAJANTO 1963, p. 63; KAJANTO 1965, pp. 33, 35, 139, dove viene considerato uno dei quindici cognomina più

attestati con 175 ricorrenze. In Sardegna se ne conoscono due attestazioni (CIL X, 7522, da Sulci; 7617, da Carales).

255 KAJANTO 1963, pp. 96-97, dove si registrano 65 ricorrenze. In Sardegna esso è attestato una volta a Forum Traiani

(AE 1990, 463). Un’altra attestazione da Turris Libisonis è incerta (ILSard I, 271), in quanto la lastra iscritta è spezzata proprio in corrispondenza del nome Petr[---]. Il Diehl propose l’integrazione Petr[us] e ritenne l’epitafio cristiano, mentre la Sotgiu lo attribuì a un Petr[onius], peraltro già attestato in città, e lo considerò pagano (a favore di questa ipotesi si è espresso anche CORDA 1999, FTR005). All’interno delle falsae il nome ricorre in CIL X, 1335*, in

un’iscrizione probabilmente autentica rinvenuta il 4 marzo 1615 nella c.d. prima chiesa sotterranea di S. Lucifero (vd.

infra, § 2.1.1.4); in CIL X, 1336*, in un’iscrizione tramandata solo dal Carmona e probabilmente falsa; in CIL X, 1332*, un tardo falso secentesco.

diffuso sin dal V sec. a.C., conobbe nuova fortuna in ambito cristiano in quanto contiene in sé il riferimento alla divinità (Θεός) reinterpretata come Dio cristiano, secondo una tipologia di nomi teoforici particolarmente diffusa256. La defunta morì all’età di quarantacinque anni, l’ottavo giorno

prima delle idi di aprile (6 aprile). L’ultimo nome è quello di Pupa, attestato come cognomen soprattutto al femminile257, anche se nella documentazione epigrafica ricorre prevalentemente come

praenomen di bambini defunti prima di indossare la toga virilis, momento a partire dal quale il

praenomen veniva assunto ufficialmente. Pupa visse quarantun anni e morì il giorno delle nonae di febbraio (5 febbraio).

Da notare alcuni elementi decorativo-funzionali presenti nel testo: i segni triangolari che marcano le abbreviazioni alla prima, quarta e undicesima linea; la croce al principio della settima; i rami di palma alla terza e alla decima: essi, oltre che come simbolo cristiano, sono impiegati per dividere un epitafio dall’altro, soprattutto nel secondo caso, dove il testo prosegue sulla stessa linea, e sono attestati altrove in Sardegna258. Infine si segnalano le soprallineature nelle abbreviazioni

b(onae) m(emoriae) e TLLI, la D sbarrata per d(ie) all’undicesima linea; le abbreviazioni usate per

non(a)s feb(ruaria)s, con le S in apice e in corpo minore, che non hanno paralleli in Sardegna259.

In conclusione, è plausibile che la lastra sia stata collocata in corrispondenza delle tre tombe sottostanti a indicare la presenza in esse di un gruppo parentelare, i cui membri vi furono deposti in un arco di tempo circoscritto.