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Il grado di diffusione delle pratiche di cost management: il problema è ancora aperto

Così siamo giunti all’inizio del secondo ventennio del terzo millennio. Le premesse teoriche sembrano esserci, ma le pratiche di cost management sono ancora molto poco diffuse nel nostro Paese. Non così in altri Paesi Europei dove, anche per osservazione diretta di alcuni casi aziendali, il grado di dif- fusione di queste pratiche è abbastanza elevato (Regno Unito, Germania e Francia)35. Ad esempio in alcune imprese dell’automotive tedesco si sono

adottate le pratiche del process costing (una semplificazione dell’ Activity Based Costing), in base alle quali poter orientare i prezzi degli optionals sulle autovetture; mentre in Heineken, impresa che opera nel settore birra e soft drink, a metà degli anni ‘90 venne introdotto l’Activity per gestire la com- plessità legata alle diverse risorse richieste dai differenti canali di distribu- zione (Gdo alimentare e Ho.re.ca.); Despar (Gdo alimentare) e Oracle (In- formation Technology) , sono diventati casi di studio alla Sda-Bocconi; e gli esempi potrebbero continuare36.

36 In proposito per un approfondimento sulla diffusione delle pratiche di «cost management» sono consultabili nella letteratura italiana: L. Cinquini – P. Collini – A. Marelli – A Tenucci (2015), Change in the relevance of cost information and costing systems: evidence from two Italian surveys, in Journal of Management & Governance 19(3), 557-587 che rilevano un grado di diffusione pari al 17,9% (tabella 6 del saggio); Marasca S. – Silvi R. (a cura di), Sistemi di controllo e cost management tra teoria e prassi, Giappichelli, Torino, 2004, in

Preoccupanti sono invece i risultati di una survey condotta da Liuc Busi- ness School nel 2017. Questi evidenziano un ritardo, che sembrerebbe diven- tato ormai cronico: molte imprese italiane manifestano tutt’oggi grandi dif- ficoltà nel passare dalle logiche del «cost control» a quelle del «cost mana- gement»37. Delle 59 imprese che hanno risposto alla survey solo 17 imprese

(28,8% del campione) hanno adattato strumenti e logiche di cost manage- ment. Di queste solo 12 hanno introdotto l’Activity Based Accounting (Abc). Una percentuale che si attesta sul 20% ed è molto contenuta anche perché ben 21 delle imprese del campione sono con un fatturato superiore ai 10 mi- lioni e 31 con fatturato superiore ai 100 milioni quindi di medio- grandi di- mensione. Inoltre 3 di queste realtà lavorano per progetti ed è quindi auto- matico che siano indotte ad utilizzare le logiche Activity nella determina- zione dei costi di progetto.

Questi risultati sono preoccupanti poiché evidenziano un peggioramento rispetto ai risultati evidenziati dalla ricerca Liuc del 199838: le imprese che

allora avevano adottato l’Abc risultarono il 36,8% delle imprese del cam- pione. Ma preoccupano ancor di più quando si osserva che questi risultati sono allineati o addirittura migliori di quelli di altre ricerche condotte in anni più recenti in Italia39.

L’Abc è solo uno degli strumenti del «cost management», ma è significa- tivo per le informazioni che in grado di fornire. La logica attività/processi si sostituisce infatti a quella tradizionale per «centri di costo» legati alle aree funzionali. In tal modo le informazioni offerte catturano quelle trasversalità preziose per una efficace applicazione della gestione dei costi.

Viene quasi spontaneo chiedersi se questo mancato passaggio sia da ascri- versi ad un’analisi prima e ad un rifiuto poi di queste nuove logiche per una

particolare Cap. 6, pp. 151-227. Mentre a livello internazionale, tra le numerose ricerche, si ricorda quella di Innes – Mitchell (1999), cui ci si è ispirati per predisporre e somministrare in Italia un questionario dai risultati facilmente comparabili. Da questa Ricerca risultava che nel 1998 in Gran Bretagna solo il 19,5% delle imprese aveva già adottato l’Abc, anche se il 27,1% stava considerando di introdurre lo strumento.

37 I risultati della survey dal titolo «Planning & Control: dove siamo?» sono stati presentati in occasione dell’Apcop Day (7 Febbraio 2018) in Università Cattaneo Liuc (Castellanza, VA) cui è intervenuto, per una discussione degli stessi, il prof. Vittorio Coda. Sono inoltre in corso di pubblicazione i risultati e un commento ai risultati della survey in Liuc Paper dell’Univer- sità Cattaneo Liuc.

38 Si veda F. Alberti – A. Poli, «La diffusione in Italia», Amministrazione e Finanza Oro, Ipsoa Milano, Gen-Feb. 1999.

39 A supporto di questa affermazione si ricordano i risultati della ricerca di L. Cinquini – P. Collini – A. Marelli – A Tenucci (2015), citata anche nella nota 33, ricerca che evidenziava

loro verificata inutilità applicativa o se la causa sia una mancata conoscenza delle stesse e della loro utilità.

Questa seconda alternativa, dall’osservazione più approfondita delle si- tuazioni soprattutto di alcune aziende di piccole e medie dimensioni, sem- brerebbe la più diffusa. Si pensi che nonostante in alcune di queste imprese si sia diffuse le pratiche della Lean Production, sono poche quelle che hanno introdotto a supporto di tali pratiche una Lean Accounting, tipiche del cost management.

A ciò si associ lo scarso grado di conoscenza di queste logiche anche da parte dei professionisti, i dottori commercialisti, che assistono molte di que- ste imprese.

Questa situazione la si è potuta constatare, anche di recente, in un ciclo di incontri con dottori commercialisti svolti per le Scuole di Alta Formazione degli Ordini Professionali in diverse regioni del nostro Paese (Emilia Roma- gna, Toscana e Liguria).

In un simile contesto è necessario affermare con vigore e rigore scienti- fico i motivi che fanno del cost management un approccio imprescindibile. In primo luogo, larga parte dei modelli di costing e delle classificazioni degli stessi costi sono fatti considerando un unico driver di costo: i volumi di produzione/vendita. Un driver che non può essere trascurato è la comples- sità che trova una prima espressione nel fenomeno dei piccoli ordini, ma che si sostanzia in richieste di prodotti e servizi diversi per i diversi clienti. La personalizzazione dell’offerta legata a queste richieste rappresenta un driver in grado di determinare dinamiche dei costi molto diverse.

Così i volumi che per decenni hanno costituito il driver principale dei costi la vera determinante nel condizionare l’entità dei costi, oggi rischiano di essere fuorviante. Per i vari elementi di costo, dal costo delle materie prime a quello delle fotocopie si era abituati, semplificando, ma in modo accettabile la realtà, a verificarne il grado di variabilità o costanza rispetto ai volumi di produ- zione/vendita. Ma il nuovo driver che si è affiancato al primo è il grado di complessità che, a parità di volumi, determina costi di importi completamente diversi, in relazione al fatto che vi sia un più o meno elevato grado di comples- sità. Oggi in luogo dei costi varabili e dei costi fissi, dobbiamo confrontarci con i chunky cost (Figura 1), il cui comportamento è legato alla complessità.

Così, ad esempio, il costo delle materie prime, che pur rimane un costo variabile, è più che mai caratterizzato da importi assai diversi in relazione al fatto che ci si rifornisca da un unico fornitore o da più fornitori, con ordini di dimensioni più o meno contenute, con un numero di item più o meno ampio, con modalità e località di consegna più o meno differenti. Più aumenta la com- plessità più il costo unitario variabile praticato dal fornitore aumenta.

Ma l’aspetto preoccupante è che per gestire la complessità anche i costi fissi cambiano e aumentano al crescere della complessità. Si pensi sempre all’ufficio acquisti che deve seguire una pluralità di fornitori, distribuiti geo- graficamente in aree molto diverse, con una pluralità di item, che talvolta richiedono anche la ricerca di nuovi fornitori.

In questi casi o si riduce la complessità, se è possibile, o ci si deve attrez- zare per gestire la complessità. E questo significa maggiori costi. Così come un indiscriminato “taglio costi” determinerebbe, come minimo, una caduta del livello qualitativo dell’attività svolta dal centro di costo.

D’altra parte la soluzione, da adottare in automatico, non è certo quella di far fare all’esterno o portare in outsourcing le attività che creano complessità, soprattutto se queste hanno un rilievo nel caratterizzare l’offerta che l’im- presa rivolge ai propri clienti.

Il secondo cambiamento che condiziona le dinamiche dei costi è dovuto al fatto che il consumo di risorse viene effettuato per svolgere delle attività attraverso le quali si confeziona, spesso lavorando in modo strettamente in- terfunzionale, un’offerta per i clienti. Sono i clienti, con la loro crescente richiesta di prodotti/servizi “personalizzati” il secondo nuovo driver dei co- sti. In questa logica diventa irrilevante il “dove” si spende (in quale area fun- zionale) e diventa centrale il capire “perché” si consumano risorse e quindi si generano costi. In proposito diventa chiave una lettura della realtà azien- dale per processi gestionali e si deve cercare di capire se stia riflettendo su attività che creano o meno valore per il cliente. Si tratta di capire se le singole attività siano attività il cui output, direttamente o attraverso l’output di altre attività, risponde a specifiche esigenze del cliente.

Quest’analisi è fondamentale poiché nelle logiche del cost management è allo svolgimento di queste attività che l’impresa deve dedicare il maggior numero di risorse possibili. Così, ad esempio, se si individua che l’attività di prevendita ha un ruolo centrale nel condizionare le scelte del cliente, andreb- bero dedicate risorse a tutte quelle attività che facilitano lo svolgersi di questa attività e ne aumentano l’efficacia.

Si devono quindi gestire i costi per liberare risorse da attività che non creano valore e allocarle a quelle attività che sono invece critiche nella crea- zione di valore per il cliente. Secondo quest’approccio, la riduzione dei costi non è un processo generalizzato, ma mirato. Oggetto di riduzione dei costi do- vrebbero essere solo le attività che non creano valore, anche se poi, alcune di queste non possono essere eliminate, ma debbono essere svolte o per obblighi di legge o per prassi procedurali interne. Ma i costi di queste attività vanno minimizzati, trovando soluzioni, spesso di processo, che consentono di farlo.

Certo non ci si può più basare su analisi dei costi che dimentichino le tra- sversalità che caratterizzano le attività di impresa, che si blocchino di fronte a situazioni fossilizzate, espressione di posizioni di potere e di logiche funzionali legate ad un passato dove importante era svolgere bene tutte le attività azien- dali anche se poi al cliente in realtà questo risultato interessava poco.

La superiore valenza strategica del cost management è magari difficile da accettare, ma è inequivocabile: non si può rischiare per un vantaggio econo- mico a breve, derivante da una manovra di riduzione dei costi, di compro- mettere nel tempo il successo competitivo di un’impresa.

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