• Non ci sono risultati.

I cost driver: classificazione ed evidenze empiriche

3. ANALISI E GESTIONE DEI COST DRIVER NELLO

3.2. I cost driver: classificazione ed evidenze empiriche

I cost driver (o determinanti di costo) possono essere definiti come qual- siasi variabile che causa un cambiamento dell’entità del costo di oggetti come, ad esempio, un’area strategica d’affari, una linea di prodotto, un’unità organizzativa oppure un’unità di prodotto/servizio6.

Benché nella letteratura sul management accounting non sia ancora pre- sente una classificazione condivisa dei cost driver, un tentativo di sintesi delle principali proposte può essere svolto esaminando i contributi di Porter (1985), Shank e Govindarajan (1993), Kaplan e Cooper (1998).

Porter (1985) introdusse il termine cost driver facendo riferimento alle cause del costo delle attività della catena del valore. Il concetto di “driver di costo strategico” (strategic cost driver) sottolinea il superamento dell’idea secondo cui il volume di produzione causa il costo. Secondo Porter (1985), infatti, la posizione competitiva di un’azienda, relativamente ai costi, di- pende dai seguenti cost driver (Porter, 1985)7:

 economie o diseconomie di scala8;

 apprendimento e relativi effetti;

 modello di utilizzo della capacità produttiva;  collegamenti tra le attività della catena del valore;

 interrelazioni tra le unità di business all’interno dell’azienda;  livello di integrazione verticale;

 fattore tempo (in quanto un’impresa può sfruttare i vantaggi del “first mover” per ridurre i costi);

 politiche discrezionali (il costo di un’attività può essere influenzato dalle scelte compiute da un’azienda relativamente a configurazione,

6 Si veda Giannetti, 2013, pp. 38 e ss.

7 Porter, 1985, pp. 87-88 propone diversi metodi per identificare i cost driver tra i quali l’ana- lisi delle caratteristiche economiche di base di un’attività, l’analisi dei dati storici, il colloquio con manager ed esperti e il confronto con la struttura dei costi della concorrenza.

8 È utile ricordare che Porter (1985: p. 92) ha applicato la classificazione dei cost driver anche agli acquisti. Ad esempio, il driver di costo “Economie di scala” è stato rinominato “scala di acquisto” e si riferisce a “i volumi di acquisto con un determinato fornitore che possono in- fluire sul potere contrattuale”. La comprensione del comportamento dei costi in relazione alle dinamiche di acquisto può consentire ad un’organizzazione di attuare migliori politiche di acquisto e di sfruttare le relazioni con i fornitori nella prospettiva della riduzione dei costi. Per un approfondimento sull’argomento, si veda diffusamente Rizzo et al, 2011; Visani, 2011.

prestazioni e caratteristiche del prodotto, varietà di prodotti offerti, li- vello di servizio fornito, tasso di investimenti per attività di marketing e di sviluppo tecnologico, tempo di consegna, acquirenti serviti, canali impiegati, tecnologia di processo indipendente o scalabile, ecc.);  posizione geografica di un’attività produttiva;

 fattori istituzionali (tra i quali la regolamentazione nazionale, le esen- zioni fiscali e altri incentivi finanziari, sindacalizzazione, tariffe). Shank e Govindarajan (1992: p. 14) svilupparono ulteriormente la gestione dei cost driver in una prospettiva strategica proponendo lo Strategic Cost Ma- nagement (SCM) ossia «… l’impiego, a livello manageriale, dell’informa- zione di costo esplicitamente diretta ad uno o più delle quattro fasi del ciclo di gestione strategica [formulazione, comunicazione, implementazione e con- trollo]». Lo SCM si fonda sull’integrazione tra analisi del posizionamento competitivo, analisi della catena del valore e dei cost driver che influenzano le attività della catena del valore. Gli Autori, utilizzando la classificazione di Ri- ley (1987), distinguono le determinanti di costo in “strutturali” ed “operative”. I cost driver “strutturali” si riferiscono a scelte strategiche che definiscono la struttura economica di base dell’azienda, tra questi vi sono:

 economie di scala;  campo di attività;  esperienza;  tecnologia;

 complessità (ad esempio, ampiezza della gamma di prodotti o di ser- vizi).

La seconda categoria di cost driver sono quelli “operativi” che compren- dono, ad esempio:

 coinvolgimento della forza lavoro verso il miglioramento continuo;  gestione della qualità totale;

 utilizzo della capacità produttiva;  layout degli impianti;

 configurazione di prodotto;

 sfruttamento dei collegamenti con i fornitori e/o i clienti lungo la ca- tena del valore dell’azienda.

I cost driver operativi sono direttamente correlati ai risultati, cioè un li- vello più alto di essi migliora la situazione dei costi (ad esempio, un mag- giore sfruttamento dei collegamenti con i fornitori o i clienti potrà ridurre i costi), mentre i cost driver strutturali non sono direttamente correlati ai risul- tati (ad esempio, una linea di prodotto più ampia non è necessariamente mi- gliore o peggiore di una linea meno complessa). Secondo lo SCM per otte- nere un vantaggio competitivo occorre prendere in considerazione l’intero

“sistema del valore” (o catena del valore inter-organizzativa), comprendente non solo la singola azienda, ma anche quelle coinvolte a monte (fornitori) e a valle (canali di sbocco). Da un punto di vista dell’analisi dei cost driver, questo consente di ampliare la prospettiva rispetto alla tradizionale logica del “valore aggiunto” (che tende a massimizzare la differenza fra gli acquisti di beni o servizi da fornitori esterni e le vendite, ovvero il valore aggiunto) per- mettendo di analizzare ulteriori leve sulle quali agire come, ad esempio, i rapporti con i fornitori (Hergert e Morris, 1989; Rizzo et al., 2011), i rapporti con i clienti, i rapporti tra le attività all’interno della catena del valore di un’unità di business ed i rapporti tra le catene del valore delle diverse unità di business all’interno dell’azienda.

Passando alla classificazione proposta da Kaplan e Cooper (1998), i due Autori sottolineano che rilevare i costi a livello di attività consente di otte- nere maggiori informazioni sul consumo di risorse e sulle cause dei costi (cost driver) delle attività ed a tale fine introducono il concetto di gerarchia delle attività, secondo la quale si possono identificare i seguenti livelli:

 unità di prodotto (queste attività si ripetono ogni volta che si produce un’unità aggiuntiva e dunque i relativi costi dipendono dal volume di produzione);

 lotto (tali attività sono svolte ogni volta che cambiano le caratteristiche del lotto, indipendentemente dalle unità in esso contenute);

 linea di prodotto (questo livello comprende attività destinate a suppor- tare la realizzazione di una determinata linea di prodotto per definire a livello progettuale le caratteristiche funzionali, estetiche e di inge- gnerizzazione sia in fase di sviluppo che a produzione avviata);  altri livelli della gerarchia delle attività (fanno riferimento ad oggetti

quali gli ordini, i clienti, i canali distributivi e le marche).

Il costo delle attività dovrebbe variare in relazione a cost driver che in- fluenzano le attività collocate ad un certo livello della gerarchia. Ad esempio, rimanendo nell’ambito dell’argomento di questo lavoro, i costi dell’attività di ricerca e sviluppo non si riducono incrementando il volume produttivo, poiché quest’ultimo influenza la loro incidenza a livello unitario (infatti è un cost driver per le attività a livello di unità di prodotto) ma, ad esempio, in- tervenendo sulle specifiche del prodotto che si intende sviluppare in quanto esse contribuiscono a definire la complessità del progetto e quindi possono richiedere maggiori risorse per lo sviluppo.

Le classificazioni sinteticamente illustrate mostrano alcune differenze ed analogie. In sintesi le prime due classificazioni si distinguono per un utilizzo strategico, ossia finalizzato a supportare il ridisegno della catena del valore

e/o il posizionamento competitivo9. La classificazione proposta da Kaplan e

Cooper (1998), invece, pur avendo una valenza strategica, ha anche la fina- lità di migliorare il calcolo dei costi secondo il criterio di causalità, comun- que tutte le classificazioni sono utili per individuare e gestire i cost driver.

Le ricerche empiriche che hanno analizzato le classificazioni dei cost dri- ver, pur ribadendo che il volume di produzione rimane un cost driver utile per spiegare, talvolta in maniera significativa, le variazioni dei costi, confer- mano molte delle assunzioni riportate dagli Autori citati in precedenza ri- guardanti l’effetto sui costi di altri cost driver come la complessità del pro- dotto, le specifiche progettuali, le attività di supporto (ad esempio, le attività per la gestione della qualità dei sistemi informativi) ed il mix di prodotto/ser- vizi (Miller e Volmann, 1985 Foster e Gupta, 1990; Banker et al., 1990; Da- tar et al., 1993; Banker e Johnston, 1993; Banker et al. 1995; Anderson, 1995; Balakrishnan et al.,1996). Inoltre, le ricerche empiriche evidenziano che quando si studiano le cause di variazione dei costi è necessario specificare i costi a cui si fa riferimento. Ittner e MacDuffie (1995), ad esempio, hanno svolto una ricerca nell’automotive studiando i cost driver strutturali (auto- mazione, scala produttiva, complessità del mix di prodotto) ed operativi (complessità nella produzione, politiche di management, pratiche di produ- zione) in relazione alle ore di lavoro diretto ed indiretto. Invece MacArthur e Stranahan (1998), in una ricerca realizzata in ambito ospedaliero, hanno rilevato che il volume di pazienti, la complessità dei servizi (numero di ser- vizi offerti e intensità dei servizi individuali) e la capacità “produttiva” sono in grado di spiegare il 91% della variazione dei costi indiretti. Interessante anche una delle conclusioni di questo studio connessa all’analisi dei cost dri- ver: se si tenta di ridurre i costi diminuendo la degenza e incrementando il numero dei pazienti per saturare la capacità disponibile, i costi indiretti au- mentano per effetto delle attività di ammissione, trattamento e dimissione dei pazienti; si conferma, quindi, la necessità di esaminare l’effetto delle azioni sui cost driver mediante un approccio sistemico, ossia che tenga conto di eventuali relazioni tra di essi.

Un’altra conclusione rilevante che deriva dalle ricerche empiriche ri- guarda l’effetto delle variazioni dei cost driver sui costi e sul valore prodotto, inteso sia come variazione dei ricavi, sia dei margini per l’azienda10. Kekre

e Srinivasan (1990), ad esempio, elaborando dati tratti dal Profit Impact of

9 Per un confronto tra queste due classificazioni si veda Bartolini, 2003.

10 Peraltro, a conferma della bontà di questa indicazione, ricordiamo che la classificazione dei cost driver proposta da Porter (1985) esaminata in precedenza è sovrapponibile a quella dei driver di unicità, sempre proposti dallo stesso Autore, che appunto possono essere considerati

Marketing Strategies (PIMS) database, rilevano che l’aumento dell’am- piezza della linea di prodotto incrementa la quota di mercato e i relativi prezzi, è associato ad una riduzione dei costi diretti e dei costi di produzione, non ha nessun effetto diretto sulle rimanenze e, per determinati mercati, ha impatti positivi sulla redditività operativa11.

In conclusione, per i fini di questo lavoro, è utile sottolineare che:  i cost driver devono essere esaminati specificando i costi con i quali

sono posti in relazione, questi ultimi possono essere i costi di attività, di prodotto/servizio ma anche singole voci di costo identificate per na- tura;

 il volume di produzione continua a mantenere, specialmente in deter- minati contesti, un ruolo importante nella generazione dei costi;  l’effetto degli interventi sui cost driver deve essere stimato tenendo

conto anche dei potenziali riflessi sui ricavi e sui margini aziendali.

Outline

Documenti correlati