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Rafsanjani guidava l’Iran dal 1990. Politico di grande esperienza e abituato a attraversare senza troppi danni numerose stagioni, durante il suo mandato si trovò troppo spesso a essere bersaglio delle fazioni conservatrici in parlamento, e attaccato dalla stampa legata a Khamenei. Egli comprese chiaramente il segnale che proveniva dagli ambienti forti del potere e, al fine di mantenere salda la sua posizione politica e i suoi interessi economici, si riallineò a quella politica radicale, soprattutto in politica estera, caratteristica dell’Iran della rivoluzione islamica.

Gli ultimi anni di presidenza furono caratterizzati da un annacquamento della politica economica e da un aumento della repressione ai danni di chi – politici, giornalisti, intellettuali o religiosi dissidenti – si era spinto troppo in là nella critica ai severi custodi dei valori della rivoluzione.

Gli otto anni di presidenza Rafsanjani mostrarono le difficoltà della messa in opera di una politica di liberalizzazione economica e di apertura al mondo esterno che non rimettesse in causa i connotati di base del regime uscito dalla rivoluzione. Da una parte le riforme economiche vennero bloccate da forti resistenze interne, provenienti dai bazar in testa. D’altra parte l’Iran, malgrado una innegabile apertura diplomatica, almeno inizialmente, e la rinuncia implicita a esportare la rivoluzione, rimase un campione dell’anti-imperialismo e dei valori islamici: questo si tradusse in un radicamento delle ostilità verso gli Stati

93 Uniti, che non giovò certo alla reputazione internazionale del paese, come alla rimozione delle sanzioni economiche184.

Ma ormai all’interno della società civile iraniana era lampante il discredito di cui godeva la destra conservatrice. Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 1997 divenne pure chiaro che il nuovo presidente non sarebbe stato quella pedina in mano al clero che molti si sarebbero aspettati.

Muhammad Khatami , dopo aver ottenuto l’avallo del Consiglio dei Guardiani, venne eletto il 24 maggio del 1997 sulla base di 20 milioni di voti, pari al 69% circa dell’elettorato, surclassando il suo rivale conservatore Ali Akbar Nateq- Nuri. Fu un elezione inaspettata e fin da subito dava grandi speranze che l’Iran potesse finalmente cambiare atteggiamento. Fu in effetti un punto di svolta nella politica iraniana, in quanto oltre allo schieramento che lo appoggiava, Khatami ricevette il consenso anche da parte di strati della popolazione come giovani, donne, intellettuali e in generale tutta la classe media che, per la prima volta, esprimevano una netta volontà di cambiamento.

Il nuovo Presidente era un’intrigante novità. Un filosofo molto interessato e esperto di legge che aveva vissuto in Germania per molto tempo. Infatti, una volta eletto, si diceva che l’Iran avesse scelto un Presidente “con un piede nella

civiltà occidentale”185. Gli iraniani erano rimasti disillusi dai regimi post- rivoluzionari: la rivoluzione islamica aveva fallito con le sue promesse di una vita migliore, di una società meno repressiva, di una maggiore distribuzione della ricchezza.

Il problema più lampante era quello economico. La produttività del paese era bassissima e il sistema burocratico era tanto problematico che paralizzava anche le esportazioni. Il risultato fu che l’esportazione primaria rimaneva il petrolio, ma l’abbassamento dei prezzi causava una diminuzione drastica delle entrate. Contemporaneamente aumentavano le importazioni e le sanzioni americane facevano lievitare i costi del commercio.

184

Emiliani, Ranuzzi de’Bianchi, Atzori, “Nel nome di Omar”, op.cit., p.216. 185

94 Inoltre, l’amministrazione Rafsanjani aveva lasciato un debito pubblico altissimo, una disoccupazione al 30%186 e una corruzione che dilagava in tutto il paese, arricchendo le classi agiate, soprattutto il clero.

Muhammad Khatami fu l’unico che trasse vantaggio da tutto questo malcontento. Molti degli iraniani che votarono per lui non sapevano neppure chi fosse, ma con questo voto vollero trasmettere tutta la loro voglia di cambiamento. E fu proprio questo che Khatami promise fin da subito. Le promesse furono di ridare valore alla legge, combattere la corruzione, eliminare fanatismo e superstizione dalla politica e, soprattutto, prendersi cura della società civile187.

Certamente Khatami , anche se era un religioso con idee rivoluzionarie, come ogni altro suo predecessore, dovette giurare lealtà al “Velayat-e Faqih”. Proprio per questo, e per non incorrere in accuse di tradimento, Khatami presentò le sue idee promuovendole come se fossero un continuum con le idee di Khoemeini. Ma allo stesso tempo dava la possibilità agli iraniani di leggere tra le righe dei suoi discorsi, ispirando fiducia nel cambiamento.

C’era però un altro ambito per il quale Khatami divenne il simbolo del cambiamento voluto dalla popolazione, e al quale l’opposizione conservatrice era diametralmente opposta: le relazioni con gli Stati Uniti. A partire dalla metà degli anni Novanta, molti iraniani non erano più d’accordo con la politica estera attuata dal governo fino a quel momento. Gli Stati Uniti, soprattutto tra i giovani e le donne, erano visti come la patria di ciò che loro avrebbero voluto avere in Iran, e cioè libertà, beni di consumo, cinema, moda, eccetera. Pertanto Khatami era visto anche come il leader che avrebbe potuto ricucire i rapporti con l’America188.

186

Central Inteligence Agency, World Factbook 1997 (Washington D.C., US Government Printing Office, 1997), http://www.fullbooks.com/The-1997-CIA-World-Factbook21.html.

187“

He won the overwhelming support of women and the young (fifteen was the voting age) simply because people believed that he favored social and cultural freedom and would allow the press, the arts, and the people to express themselves more freely than in the past.” Kenneth M. Pollack, “The Persian Puzzle”, op.cit., p.307.

188

In uno dei suoi discorsi, Khatami disse a proposito della politica estera iraniana, “In the field of foreign

95 Khatami disse apertamente che se gli Stati Uniti avessero cambiato il loro comportamento ostile (sanzioni, ILSA, azioni segrete, ecc.), l’Iran avrebbe potuto avere con loro una normale relazione. Questo era un modo di vedere le relazioni con l’America completamente opposto al pensiero khoemenista, secondo il quale l’Iran non avrebbe mai potuto avere delle normali relazioni con il “Grande Satana”189.

La risposta di Washington fu cauta, almeno all’inizio, e Clinton si disse “fiducioso” che le divergenze potessero essere superate190.

In America tuttavia si scontravano due linee di pensiero: quelli che dicevano che l’elezione di Khatami potesse essere l’inizio di una “controrivoluzione”, e chi diceva che non era altro che “vecchio vino, in bottiglie nuove”.

L’amministrazione Clinton però rimaneva ferma sul principio che gli Stati Uniti avrebbero cambiato atteggiamento verso l’Iran solo se questo si fosse impegnato a non supportare più azioni terroristiche, perseguire l’arma atomica e non opporsi al processo di pace in Medio Oriente.

Dal canto suo Khatami, almeno inizialmente, sapeva che avrebbe dovuto consolidare la sua posizione all’interno del sistema prima di poter attuare

which respect our indipendence, dignity and interests. We are in favour of having relations and

expanding our relations throughout the world on the basis of three firm principles of wisdom, dignity and national interests.”, Presidential Candidate Khatami on Law and Order, Economy, Foreign Policy, BBC

Summary of World Broadcast, May 13, 1997, Kenneth M. Pollack, “The Persian Puzzle”, op.cit., p.310. 189

“Il Leader Supremo Khamenei sentì il bisogno, dopo le affermazioni di Khatami, di avvertire che

nessuno avrebbe dovuto mostrare segni di flessibilità verso l’America, l’Occidente e la loro aggressione culturale.”, Kenneth M. Pollack, “The Persian Puzzle”, op.cit, p.310.

190

“Now, as to Iran, obviously it's a very interesting development, and for those of us who don't feel privy

to all the details of daily life in that country, it's at least a reaffirmation of the democratic process there. And it's interesting, and it's hopeful. But from the point of view of the United States, what we hope for is a reconciliation with a country that does not believe that terrorism is a legitimate extension of political policies, that would not use violence to wreck a peace process in the Middle East, and would not be trying to develop weapons of mass destruction. I have never been pleased about the estrangements between the people of the United States and the people of Iran. And they are a very great people, and I hope that the estrangements can be bridged. But those are three big hurdles that would have to be cleared, and we'll just have to hope for the best”. http://www.presidency.ucsb.edu/ws/?pid=54196

96 qualsiasi politica estera. E sapeva inoltre che la Guida Suprema, Khamenei, non era d’accordo fin dall’inizio con il programma tracciato. Anche se Khatami godeva dell’appoggio popolare, Khamenei deteneva le chiavi dell’apparato statale, ed era il successore di Khoemeini. Fino a quando le opinioni dei due leader rimanevano diametralmente opposte, per gli Stati Uniti era difficile colloquiare con uno e non con l’altro191.

Consapevole di tutto questo, il presidente Khatami, all’indomani delle elezioni come segno forte della sua presenza si contornò di gente fidata e provò subito ad attuare una politica di cambiamento. E come primo segno di apertura verso gli Stati Uniti, nel dicembre 1997, Khatami disse che il fallimento fino a quel momento delle relazioni tra America e Iran era per lui fonte di tristezza, e che il suo paese si sarebbe impegnato a non agire contro il processo di pace in Medio Oriente. Inoltre si disse pronto a riprendere il dialogo con la popolazione americana192. La popolazione iraniana e quella americana, dichiarava Khatami, non dovevano essere necessariamente in conflitto e un processo di pace, senza terrorismo, tra i paesi del Medio Oriente era possibile193. Un mese dopo, precisamente il 7 gennaio 1998, Khatami ribadì le sue posizioni in un’intervista storica alla CNN, nella quale si mostrò un leader capace e determinato nelle sue posizioni concilianti194.

I gesti del presidente iraniano erano senza dubbio eccezionali, e l’amministrazione Clinton li aveva decisamente notati. Dopo che il Presidente Khatami inviò una lettera nella quale esortava la partecipazione palestinese al processo di pace, il segretario di Stato, Madeline Albright, concluse pertanto che i tempi per andare oltre la politica del “Dual Containment” erano maturi195.

191

Donette Murray, “U.S. Foreign Policy”, op.cit., p. 106. 192

Clinton rispose a Khatami “ We are all of us, discussing about how to proceed now. No decisions has

been made. But I have always said from the beginning that I thought it was tragic that the United States was separated from the people of Iran”, Clinton, Public Papers of the Presidents, Vol.2, 16 December

1997, http://www.gpo.gov/fdsys/pkg/PPP-1997-book2/html/PPP-1997-book2-doc-pg1772-2.htm 193

Anthony H. Cordesman, “Iran’s Military Forces”, op.cit., p.5 194 Il testo completo dell’intervista è disponibile alla pagina web http://www.cnn.com/WORLD/9801/07/iran/interview.html 195

97 A partire dagli inizi del 1998 anche Clinton, i suoi consiglieri e il suo team di esperti del Golfo Persico, si convinsero del sincero desiderio di Khatami di migliorare i rapporti con gli Stati Uniti. Tuttavia c’erano alcuni oppositori all’interno del Congresso che rifiutavano di credere che Khatami fosse diverso dai suoi predecessori. Clinton, ad ogni modo, decise di andare avanti196.

Le reazioni da parte degli Stati Uniti non si fecero attendere. Già a partire dall’ottobre 1997, gli Stati Uniti imposero meno restrizioni nel rilasciare i visti necessari per visitare gli Stati Uniti; nel dicembre 1998, l’amministrazione Clinton rimosse l’Iran dalla lista del Dipartimento di Stato dei maggiori paesi narcotrafficanti197. Nel giugno 1998, il segretario di Stato Albright, in un discorso all’Asia Society, invitava l’Iran a unirsi agli Stati Uniti per un progetto comune che portasse ad avere una relazione normale tra i due paesi198. Ma fu soprattutto il discorso pronunciato dal Presidente Clinton il 12 aprile 1999 che ebbe una eco importantissima soprattutto in Iran; fu una sorta di scuse nei confronti dell’Iran:

“I think it is important to recognize, however, that Iran, because of its enormous

geopolitical importance over time, has been the subject of quite a lot of abuse from various Western nations. And I think sometimes it's quite important to tell people,`Look, you have a right to be angry at something my country or my culture or others that are generally allied with us today did to you 50 or 60 or 100 or 150 years ago”199.

Non solo, Washington continuò a prendere iniziative concilianti nei confronti dell’Iran. Alla fine di aprile 1999, per esempio, revocò una parte delle sanzioni in modo tale da permettere, l’approvvigionamento di cibo, medicine e altri aiuti umanitari da parte di Teheran. Questo gesto era importante perché l’abolizione delle sanzioni si dimostrava possibile solo se l’Iran avesse cambiato atteggiamento sul terrorismo, il nucleare e il processo di pace; a dispetto di

196 Madeline Albright, “Madam Secretary: A Memoir”, Miramax Books, New York, 2003, p.320. 197“

Majors List” of the International Narcotics Control Strategy Report.

198 Madeline Albright, “ Madam Secretary”, op.cit., p.320 199

Clinton, Public Papers of the Presidents, Vol.1, 12 aprile 1999, pp.540-546, disponibile alla pagina web http://www.gpo.gov/fdsys/pkg/PPP-1999-book1/html/PPP-1999-book1-doc-pg540.htm

98 quanti in Iran non lo credevano realizzabile, perché pensavano che gli americani non volessero revocare le sanzioni a prescindere200.

A coronamento della buona volontà americana di riprendere il dialogo con Teheran, nel maggio 1999, gli Stati Uniti non designarono l’Iran come Stato leader del terrorismo. Il Dipartimento di Stato, pur accusando Teheran e altri sei paesi di essere stati sponsor del terrorismo, non designava l’Iran come il maggior responsabile, come aveva fatto in passato.

Questo gesto fu assolutamente importante perché sull’Iran, pur rimanendo nella lista di quei sei stati sponsor del terrorismo, non cadeva più la responsabilità primaria201.

Arrivati però all’estate 1999, l’Iran nonostante i numerosi gesti di apertura, non ebbe alcuna reazione, a parte le belle parole del presidente Khatami e dei suoi collaboratori. La politica estera iraniana, infatti, sembrava improntata ancora alla stessa maniera e con gli stessi obiettivi di quella precedente. Per esempio, mentre la ricostruzione della forza militare messa in atto dal governo precedente sembrava rallentare, la politica riguardante il perseguimento delle armi di distruzione di massa sembrava fosse caratterizzata da una perfetta continuità202. Inoltre, continuava ad appoggiare azioni terroristiche203 e non

200

“The United States should be prepared to ease or lift sanctions if Iran demonstrates that it has altered

or abandoned the policies that led Washington to impose the sanctions in the first place. But it should not ease or lift the sanctions as an inducement to change those egregious policies.”, Patrick Clawson,

Michael Eisenstadt, Elyyahu Kanovsky, David Menashri, “Iran Under Khatami: a Political, Economic, and

Military Assessment”, Washington Instiute for Near East Policy, 1998, p.9.

http://www.washingtoninstitute.org/uploads/Documents/pubs/IranUnderKhatami.pdf.pdf 201

“In what American officials described as a move they hoped would ease relations with Iran, the State

Department today dropped its designation of the Teheran Government as the world's leading state sponsor of terrorism. In issuing its annual report on global terrorism, the department accused Iran and six other nations of sponsoring terrorist groups. But it did not single out Teheran as the worst offender, as it has in the past, even though evidence cited in the report suggests that Iran might still hold that distinction.”, Philip Shenon, May 1, 1999, http://www.nytimes.com/1999/05/01/world/state-dept-

drops-iran-as-terrorist-leader.html 202

“Iran's defense and foreign policies, however, show more continuity than change. Whereas Iran's

99 aveva cambiato la sua posizione rispetto a Israele, anche se l’atteggiamento nei confronti del processo di pace sembrava più conciliante con le posizioni americane.

Per quanto riguarda il perseguimento delle armi di distruzioni di massa, l’Iran continuava come in precedenza a sostenere programmi per la ricerca dell’energia nucleare, costruendo sempre più infrastrutture e impianti per un uso civile del nucleare, che probabilmente in seguito si sarebbe mutato in uso militare. La conoscenza relativa alla tecnologia nucleare rimaneva comunque ancora a un livello basso, anche se proprio in questi anni Teheran aveva iniziato ricerche per impadronirsi di varie tecniche di arricchimento dell’uranio. In ogni caso, prestava molta attenzione a non violare il Trattato di Non Proliferazione e, grazie soprattutto all’esperienza e all’aiuto di paesi come Cina e Russia, riusciva a portare avanti un doppio programma, civile e militare204. Per di più Teheran, ancora grazie all’aiuto finanziario e scientifico di Russia e weapons of mass destruction (WMD) has been characterized by near total continuity. Iran continues to expand its arsenal of missiles and its civilian nuclear program—which most analysts believe is intended to serve as the foundation for a nuclear weapons program.”, “Iran Under Khatami”, op.cit., p.71,

http://www.washingtoninstitute.org/uploads/Documents/pubs/IranUnderKhatami.pdf.pdf

203

Durante questo tentativo di riavvicinamento tra Stati Uniti e Iran, alla fine del 1999 gli investigatori americani accertarono che l’Iran era coinvolto nell’attentato alle Khobar Towers, il 25 giugno 1996, il quale costò la vita a 18 cittadini americani. Proprio questa scoperta raffreddò gli animi riportando alla realtà il governo americano il quale però, nel bel mezzo di un tentativo di riavvicinamento a Teheran, non poteva accusare pubblicamente l’Iran di terrorismo. E così Clinton fece recapitare una lettera a Khatami da parte del Sultano dell’Oman, nella quale il presidente americano scrisse che era stato accertato il coinvolgimento dell’Iran nell’attentato e che i responsabili avrebbero pagato. Il presidente Khatami rifiutò qualsiasi accusa e dette la colpa ad Al-Quaeda dell’accaduto. “Iran is behind the attack”, International Institute for Counter Terrorism”, http://www.ict.org.il/NewsCommentaries/Commentaries/tabid/69/Articlsid/138/currentpage/20/Defau lt.aspx;

204

Iran's strategy seems to be to build up its civilian nuclear infrastructure while avoiding activities that would clearly violated its Nuclear Non-Proliferation Treaty (NPT) commitments,

using its new contacts in Russia and China to gain experience, expertise, and dual-use technology that could assist in creating a military program.”, “Iran Under Khatami”, op.cit., p.81,

100 Cina stava continuando ad acquisire conoscenze per la costruzione di missili strategici e, a partire dalla metà degli anni Novanta, poteva costruire missili domestici, senza l’aiuto di altri205.

Oltre a questo ci fu anche una buona notizia per quanto riguarda l’ambito militare della politica estera iraniana, cioè la sottoscrizione iraniana della

Convenzione sulle armi chimiche (Box 1), che in Iran entrò in vigore a partire dal 3 dicembre 1997.

Questo comportamento però, iniziava a dare fastidio agli americani che, da quando era stato eletto Khatami avevano cercato in ogni modo di convincere Teheran che, un riavvicinamento con gli Stati Uniti, avrebbe giovato soprattutto a loro. In cambio però gli americani ancora non avevano ricevuto niente, a parte qualche piccolo gesto.

Gli americani tuttavia, non si diedero per vinti. Ancora una volta i funzionari statunitensi, attraverso dialoghi con interlocutori iraniani e consultazioni con i paesi alleati, capirono che un altro gesto eclatante di apertura verso Teheran avrebbe potuto scongelare la situazione. Gli Stati Uniti decisero quindi di formulare una proposta che avrebbe sorpreso Teheran, ma anche gli alleati, dimostrando la disponibilità degli Stati Uniti a collaborare con l’Iran.

Così il 17 marzo del 2000 il discorso del segretario di Stato, Madeline Albright, all’ American Iranian Council206, segnalò una forte apertura degli Stati Uniti nei

confronti dell’Iran. Il discorso toccò temi fondamentali e ancora impressi nella

205

“Tehran has continued to engage in the sort of activity that makes rapprochement impossible. Its