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2.1 Il Dalai Lama: dalle montagne del Tibet a Dharamsala

2.2. La guerra sino-indiana del

Nel 1913-1914 si incontrarono a Shimla, facente ancora parte del Raj britannico, i rappresentanti dell'Impero di Sua Maestà, del Tibet e della Repubblica di Cina per siglare un vago accordo riguardante i confini territoriali, sia sul lato del Kashmir sia sul lato dell'Assam. Il cosiddetto "Accordo di Shimla" costituì la base per delimitare la Linea Mc Mahon che da allora definì le frontiere di Cindia, anche se il governo di Pechino non ratificò mai quanto aveva concordato il suo delegato a Shimla e non riconobbe mai la Linea Mac Mahon come frontiera ufficiale con l'allora Impero angloindiano.

All'inizio della loro storia di Paesi indipendenti, né Pechino né Delhi risollevarono il problema. Nehru, per essere sicuro di impiantare buone relazioni con l'altro gigante asiatico, spedì Sardar K. M. Pannikkar, uno dei suoi più abili diplomatici, come ambasciatore a Pechino. Si iniziò a parlare di Hindi Chin bhai

bhai: 151 la Cina accettò il ruolo leader dell'India nel movimento dei paesi non allineati e l'India accettò la posizione cinese sulla questione di Taiwan.

Dal 1949 al 1957 i rapporti sino-indiani furono eccellenti, 152 nel giugno 1954 il premier cinese Zhou Enlai arrivò a Delhi e nell'ottobre dello stesso anno Nehru ricambiò la visita a Pechino. Nel frattempo la Conferenza di Colombo dell'aprile 1954 segnava l'apogeo dell'utopia della grande area di pace asiatica, ma anche l'inizio del suo tramonto. 153 Infatti, immediatamente dopo la conferenza, Pechino decise di collegarsi al gruppo neutralista e nel giugno il primo ministro Chou Enlai visitò Delhi e Rangoon, firmando intese che impegnavano la Cina al rispetto dei Panja

Shila, i "Cinque Punti" di ispirazione indiana. 154 La Cina comunista finì presto per imporsi nella nascente organizzazione degli Stati asiatici non impegnati.

Il momento culminante della politica di Nehru si ebbe durante la Conferenza di Bandung dell'aprile 1955, che riunì tutti gli Stati indipendenti d'Asia e d'Africa, a eccezione di Taiwan, delle due Coree e di Israele. La conferenza riuscì a elaborare una carta generale modellata sui Panja Shila, ma il vero trionfatore fu il cinese Chou

151

Traduzione: "Indiani e cinesi sono fratelli." In LANDI C., Il dragone e l'elefante. Cina e India nel

secolo dell'Asia, op. cit., pag. 30

152

Ivi, pag. 29 153

PIACENTINI FIORANI V., Processi di decolonizzazione in Asia e in Africa, op. cit., pag. 130

154 I Panja Shila o Cinque Punti esprimono l'ideologia del disimpegno indiana: pacifica coesistenza,

45 Enlai che apparve in veste di moderatore tra il gruppo dei Paesi neutralisti e chi aderiva invece ad alleanze con l'Occidente. Il primo ministro cinese seppe utilizzare gli stati emotivi creati dalla conferenza per strumentalizzarli alla politica cinese, attenuando le preoccupazioni per una politica cinese aggressiva. Riuscì anche a estendere l'immagine e la presenza cinese in tutto il mondo asiatico e africano come valida alternativa, sia in termini ideologici che in termini di aiuti economici e tecnologici, alla presenza sovietica e statunitense. 155

I colpi fatali alla politica indiana del disimpegno furono inferti proprio dalla Cina, attraverso la sanguinosa repressione della rivolta in Tibet e l'aggressione alle non ben definite frontiere nord-orientali indiane. Nel 1950 infatti, l'esercito di liberazione della Cina Popolare marciò su Lhasa, la capitale del Tibet, con un'azione della quale Nehru non era stato informato. Il premier indiano riuscì comunque a reagire rapidamente, estendendo il perimetro difensivo indiano anche a Nepal, Bhutan e Sikkim, i regni himalayani incastonati tra il Tibet e l'India e collocati in posizione strategica per Delhi. Decise inoltre di mantenere un basso profilo sulla questione tibetana, proponendo a Pechino una soluzione basata sull'autonomia del Tibet, ma i negoziatori indiani fallirono nel loro intento.

Quando in Tibet scoppiò la prima ribellione contro la presenza cinese, il 31 marzo 1959 il Dalai Lama fuggì da Lhasa per raggiungere l'India: Nehru decise di ospitarlo nella città settentrionale di Dharamsala, ma la reazione cinese fu durissima. Pechino accusò Stati Uniti e India di aver ordito un'operazione segreta anticinese e attaccò apertamente il ruolo della CIA: agli occhi cinesi Nehru aveva fatto un'aperta provocazione a Pechino. 156

Da parte sua Nehru condivideva con il nazionalismo indù la convinzione che l'India, come nazione, non fosse affatto un prodotto recente: 157 non solo essa esisteva da tempi immemorabili, ma possedeva anche confini oggettivi che potevano essere localizzati attraverso ricerche di carattere storico e rivendicati. Poiché i confini tra India e Cina non erano mai stati tracciati in modo netto e ben definito, i due Paesi rimanevano separati da ampie zone di frontiera abitate da popolazioni tribali e di fatto autonome. La Cina per esempio riteneva che la piccola area dell'Aksai Chin 158 le appartenesse in base a una definizione di confine fatta dai britannici nel corso del

155 PIACENTINI FIORANI V., Processi di decolonizzazione in Asia e in Africa, op. cit., pag. 131

156

LANDI C., Il dragone e l'elefante. Cina e India nel secolo dell'Asia, op. cit., pagg. 30-31 157

RONDINONE A., India: una geografia politica, op. cit., pag. 43 158

46 XIX secolo mediante la cosiddetta Linea Johnson. Questa regione, già parte del Ladakh, pur occupando soltanto 38 mila km2, rivestiva una grande importanza per il controllo del più vasto territorio dello Xinjiang e del Tibet stesso. La tensione salì quando la Cina cominciò a costruirvi strade e l'India reagì installando piccole postazioni militari: Nehru scelse la via dell'inviolabilità della madrepatria, reclamando i confini "sacri e inviolabili dell'India sempiterna". 159 Ma alla fine l'Aksai Chin fu sottratto dalla Cina all'India con una breve guerra.

Tra l'ottobre e il novembre del 1962, la Cina ruppe gli indugi attaccando in forze il 10 ottobre lungo la controversa Linea Mac Mahon, dal Bhutan fino alla grande ansa del Brahmaputra attraversando in larga parte le cime dell'Himalaya, sfondando dappertutto le difese di Delhi e finendo per sopraffare le forze indiane. Sempre a sorpresa, il 20 novembre successivo Pechino dichiarò unilateralmente il cessate il fuoco, anche se a quel punto la sconfitta militare indiana era chiarissima. Alla fine il governo cinese mantenne il controllo sull'area che le premeva di più, l'Aksai Chin, le perdite dichiarate dalla Cina furono di circa 1500 soldati e quelle dichiarate dall'India più del doppio. 160

A parte il diretto interesse per il territorio, la Cina agì pensando al più grande scenario internazionale e ai rapporti all'interno del movimento comunista mondiale. Con l'URSS, alla cui guida era allora Nikita Kruscev, i rapporti si erano deteriorati al punto che l'anno precedente il leader sovietico aveva ritirato dalla Cina tutti i tecnici, assestando un duro colpo agli sforzi di Mao per sviluppare il Paese, dal momento che alcuni avrebbero dovuto aiutare Pechino a fabbricare la bomba atomica. In realtà Kruscev avvertiva la minaccia di una futura crescita della potenza cinese e cercava di rallentarla, tentando allo stesso tempo di favorire lo sviluppo interno dell'URSS attraverso la distensione politica con gli Stati Uniti. Per Mao invece l'idea di una coesistenza pacifica con gli Stati capitalisti era inconcepibile: nei fatti egli voleva assumere la leadership dei Partiti Comunisti dell'Asia e del cosiddetto Terzo Mondo, costituito dai Paesi che si erano sottratti alle dominazioni coloniali e condividevano la condizione di arretratezza economica. Secondo Mao l'URSS si andava omologando ai Paesi occidentali rischiando di perdere lo spirito rivoluzionario: sovietici e americani appartenevano alla comune "razza bianca", propria dei

159 RONDINONE A., India: una geografia politica, op. cit., pag. 43 160

47 colonialisti e degli imperialisti. 161 Dal momento che anche l'India di Nehru pensava di candidarsi come guida dei Paesi non allineati, la breve guerra del 1962 servì alla Cina per umiliare l'India dimostrando a chi ci si doveva rivolgere per sottrarsi al bipolarismo USA-URSS.

L'India inoltre, oltre ad aver perso diversi territori di confine, aveva scoperto una grande debolezza militare offrendo il fianco a ulteriori crisi politiche e militari nell'Asia meridionale. L'unico fattore positivo per l'India fu l'isolamento della posizione cinese in ambito internazionale: Mosca supportava Delhi, mentre gli Stati Uniti, con l'amministrazione Kennedy e l'ambasciatore John Kenneth Galbraith, assumevano una posizione di amicizia verso la democrazia indiana. Ma il trauma fu comunque enorme per Delhi e anche Nehru ne patì le conseguenze. Pochi mesi dopo la guerra, il primo ministro indiano morì e iniziò quella che gli analisti cinesi e indiani hanno definito "la guerra fredda sino-indiana". 162 In questo periodo i due Paesi intrattennero rapporti piuttosto freddi, considerandosi una minaccia reciproca, secondo il militare e saggista Fabio Mini: "Paradossalmente, ma con perfetta logica imperiale, [...] l'India ha finto di mostrare rispetto per la Cina ritenendola una non minaccia: entrambe sapevano benissimo di offendersi a vicenda". 163

La crisi sino-indiana divenne presto parte del più ampio contesto strategico asiatico: era ineluttabile che l'India si alleasse con l'URSS e che la Cina trovasse nel Pakistan un naturale amico politico e militare. Tale contesto venne reso ancora più complesso dalla strategia di Henry Kissinger, l'influente consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente americano Nixon, impegnato a costruire un nuovo rapporto tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese. I pakistani furono il tramite dei contatti che portarono prima Kissinger e poi Nixon a Pechino, mentre l'asse Cina-Pakistan si trasformava nel rapporto strategico Cina-Pakistan-Stati Uniti. L'economia mista, di fatto filosocialista e protezionista impiantata nel subcontinente da Nehru, non aveva reso l'India economicamente interessante agli occhi americani.

Negli anni successivi Cina e India continuarono a indirizzare la propria politica estera e le strategie geopolitiche e militari verso il reciproco contenimento, mentre la prima forniva armamenti e tecnologia militare al Pakistan. 164

161 CORNELI A., Oriente: il grande ritorno, op. cit., pag. 44

162

LANDI C., Il dragone e l'elefante. Cina e India nel secolo dell'Asia, op. cit., pag. 31

163 MINI F., "Alba asiatica", in Limes , 24 settembre 2005 164

48 Nel 1969 fallì un tentativo di Indira Gandhi di migliorare le relazioni con Pechino. Soltanto nel 1976, quando Cina e India si scambiarono gli ambasciatori, le cose iniziarono a muoversi. L'ambasciatore cinese chiese a Nicolae Ceausescu, il presidente rumeno dell'epoca, di essere latore di un messaggio alla dirigenza indiana, al fine di iniziare colloqui sui "problemi" di confine. Il primo ministro indiano Moraji Desai, espressione della nuova coalizione Janata, accettò subito il messaggio cinese dal momento che il nuovo governo di Delhi voleva prendere le distanze dall'URSS e riprendere i contatti con la Cina e la dirigenza cinese post-maoista.

Nel febbraio 1979 il nuovo primo ministro indiano Atal Vajpayee, esponente della destra nazionalista indù e leader della coalizione anti Congresso, fece visita a Pechino sancendo la fine della guerra fredda sino-indiana. Pochi mesi più tardi Deng Xiaoping, durante l'intervista a un giornale militare indiano, lanciò la sua proposta per affrontare le controversie di frontiera che dividevano i due giganti asiatici. Deng riprese le idee di Zhou Enlai credendo che India e Cina avrebbero dovuto ratificare lo status quo: a ovest l'India avrebbe dovuto accettare il controllo cinese dell'Aksai Chin, a est la Cina avrebbe dovuto riconoscere il controllo indiano dell'Assam. 165

Dal 1981 cinesi e indiani si sono impegnati in numerosi colloqui diretti ad affrontare le questioni di confine, attraverso i vertici regolari dei capi di stato e di governo, gli incontri degli alti ufficiali militari e civili, e l'istituzione di "misure di fiducia reciproca" sul piano militare.

Alla fine degli anni ottanta, le relazioni diplomatiche tra i due giganti asiatici hanno subito una vera e propria svolta con la visita del primo ministro indiano Rajiv Gandhi a Pechino nel 1988, 166 viaggio che aprì le porte alla costruzione di rapporti bilaterali più distesi e collaborativi. Inoltre il crollo dell'Unione Sovietica contribuì a eliminare uno dei principali motivi che rendevano l'India ostile agli occhi statunitensi: lo smantellamento dell'URSS coincise con l'attuazione, da parte dell'India, di riforme che innescarono una crescita economica vertiginosa, aprendo il Paese al mercato globale, un fattore non trascurabile per gli Stati Uniti. 167

Nel dicembre 1991, a conferma del mutato clima politico, il primo ministro cinese Li Peng arrivò nella capitale indiana: si trattava della prima missione compiuta da un alto dirigente politico cinese dal 1960. Il comunicato congiunto di Li

165

LANDI C., Il dragone e l'elefante. Cina e India nel secolo dell'Asia, op. cit., pag. 33

166 RONDINONE A., India: una geografia politica, op. cit., pag. 112 167

49 Peng e del primo ministro indiano Narasimha Rao criticava "il dominio militare dell'Occidente nel mondo post-guerra fredda". 168 E nel maggio 1992, durante la visita del presidente indiano Venkataraman, il collega cinese Yang Shangkun dichiarò: "la cooperazione fra Cina e India è essenziale per evitare di essere lasciati indietro" 169 all'interno del nuovo ordine internazionale.

2.2.1. Kashmir

La politica estera indiana è sempre stata strutturata in funzione del Pakistan, così come quella del Pakistan ha sempre avuto l'India come principale preoccupazione. Ma il nodo pakistano è sempre apparso difficile da sciogliere dato che la Cina considera il Paese musulmano un ponte strategico verso il Mare Arabico, l'Oceano Indiano e l'Asia occidentale, e ha sempre voluto esercitare, attraverso il Pakistan, un'azione indiretta di disturbo nei confronti dell'India. 170

La prima guerra indo-pakistana si svolse poco dopo l'indipendenza a causa della contesa riguardante il territorio appartenente all'ex principato del Kashmir sul quale sia l'India che il Pakistan avanzavano pretese. Il Kashmir occupava infatti una posizione geografica altamente strategica e aveva già attirato decine di invasori nel corso dei secoli: a seconda della religione del monarca di turno, era la comunità indù o quella musulmana a subire soprusi.

Quando il territorio indiano giunse all'indipendenza, nessuno dei 560 principati possedeva un esercito in grado di difendere i propri confini o di scontrarsi con quello anglo-indiano, per cui ai principati venne offerta la possibilità di decidere a quale dei due nuovi Stati accorparsi. 171 In quel momento in Kashmir il maharajah indù Hari Singh regnava come un tiranno, favorendo la minoranza indù e discriminando fortemente la maggioranza musulmana, costituita principalmente da braccianti agricoli senza terra. Invece di aderire all'Unione Indiana o al Pakistan, il

maharajah mirò all'indipendenza, anche se il suo obiettivo appariva difficile da

perseguire a causa della fragilità dell'apparato militare e della mancanza di consenso politico da parte della popolazione. La situazione precipitò presto: i contadini musulmani si sollevarono contro i proprietari terrieri indù, mentre soldati afghani

168

LANDI C., Il dragone e l'elefante. Cina e India nel secolo dell'Asia, op. cit., pag. 34 169

Ibidem

170 LIZZA G., Scenari geopolitici, op. cit., pag. 128 171

50 provenienti dal territorio pakistano facevano ingresso sul territorio. Non è chiaro da chi siano state inviate queste truppe: alcuni ritenevano fossero sostenute dal governo pakistano interessato all'annessione del Kashmir, altri pensavano si trattasse di truppe tribali che agivano autonomamente, seppur con l'incoraggiamento personale di alcuni funzionari pakistani.

Mentre i contadini insorti proclamavano il Kashmir indipendente, il

maharajah Hari Singh si diede alla fuga e due giorni dopo, il 26 ottobre 1947, firmò

l'atto di adesione all'India. Non appena il Kashmir divenne parte dell'Unione, il governo centrale inviò le sue truppe per respingere gli invasori e sedare la rivolta, ma anche il Pakistan inviò le sue.

Al momento del cessate il fuoco, ottenuto il 1˚ gennaio 1949 con la mediazione delle Nazioni Unite, le truppe indiane avevano riconquistato gran parte del territorio appartenente all'ex principato del Kashmir, ovvero la zona del Jammu- Kashmir, mentre le zone settentrionali dell'Azad erano rimaste in mano al Pakistan.

Al cessate il fuoco doveva seguire un referendum in cui la popolazione avrebbe potuto decidere a quale Stato aderire. L'India però pose come condizione preliminare il ritiro dell'esercito pakistano dalle zone occupate del Pakistan Occupied

Kashmir e il Pakistan rispose chiedendo che le truppe indiane facessero altrettanto.

Alla fine gli eserciti non furono ritirati e il referendum mai indetto: 172 il cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite lasciò il Kashmir diviso tra gli Stati contendenti lungo la linea del cessate il fuoco, la Cease Fire Line, militarmente occupato da entrambi i lati.

Il 3 marzo 1962 il pakistano Zulfiqar Ali Bhutto e il cinese Chen Yi firmarono un accordo di frontiera sino-pakistano che prevedeva che i due Paesi delimitassero il confine in uno spirito di ragionevolezza e mutua comprensione, dal momento che il confine tra il Sinkiang cinese e le aree contigue sotto il controllo pakistano non era mai stato formalmente definito. Nello stesso anno la Cina comunista occupò il Kashmir nordorientale, ossia la parte del Ladakh a maggioranza buddista, mentre i musulmani kashmiri rimasti sotto il dominio indiano iniziavano una pesante guerriglia attirando sulla regione la repressione dell'esercito di Delhi.

Il secondo round del conflitto bellico avvenne nel 1965 a seguito del fallimento di una serie di colloqui bilaterali richiesti dalle Nazioni Unite, dagli Stati

172

51 Uniti e dalla Gran Bretagna. Il Pakistan colse l'occasione per estendere il proprio dominio anche sull'altro lato della Cease Fire Line, completando il disegno di uno Stato islamico che comprendesse tutti i territori a maggioranza musulmana: dopo essersi assicurato l'appoggio cinese, si preparò ad attaccare. La sua strategia si basava sull'infiltrazione, nella parte indiana del Kashmir, di un cospicuo contingente militare in incognito che avrebbe sfruttato il malcontento della popolazione per dare inizio a una ribellione di massa contro il dominio indiano. Tuttavia le speranze del Pakistan si rivelarono vane e le autorità indiane, tempestivamente informate, si mossero con rapidità. La battaglia che ne seguì si risolse con il cessate il fuoco delle Nazioni Unite, accettato da entrambe le parti nel settembre del 1965.

Questo conflitto non risolse la questione del Kashmir: dopo la fine degli scontri l'URSS si offrì di mediare un incontro tra i capi di Stato di India e Pakistan ed entrambe le parti accettarono di tornare allo status quo precedente il conflitto.

I due vicini si incontrarono nuovamente sui campi di battaglia nel 1971: l'esito fu la nascita del Bangladesh. 173 Dopo la fine della guerra i capi di Stato di India e Pakistan, Indira Gandhi e Zulfiqar Ali Bhutto, si incontrarono a Shimla dal 28 giugno al 2 luglio 1971, accettarono di ristabilire le relazioni diplomatiche e si impegnarono a risolvere la disputa del Kashmir senza l'uso della forza. Venne modificata la denominazione della CFL in LOC, ovvero Line of Control. 174

La quarta guerra indo-pakistana avvenne in una fase di inusuale distensione, che aveva raggiunto il suo apice nella visita a Lahore del primo ministro indiano Atal Bihari Vajpayee e nella firma della Lahore Declaration il 21 febbraio 1999, nella quale gli Stati si impegnavano a risolvere diplomaticamente la questione del Kashmir. Il 3 maggio dello stesso anno l'India si accorse che circa 70 delle sue postazioni militari di alta quota lungo la LOC erano state occupate durante il periodo di inagibilità invernale. Gli intrusi ammontavano a diverse migliaia di uomini pesantemente armati e ben equipaggiati, spinti dal Pakistan che intendeva rianimare l'insurrezione kashmira e portare davanti alle Nazioni Unite il problema del Kashmir. L'India, appoggiata dalla diplomazia internazionale, attaccò le postazioni respingendo gli intrusi dall'altro lato della LOC.

L'annessione del Kashmir appare ancora oggi irrisolta e a farne le spese è soprattutto la popolazione locale che continua a pagare il prezzo dei giochi politici di

173 Vedi paragrafo 2.2.2 174

52 India e Pakistan: "Il Kashmir è una partita a ping pong tra l'India e il Pakistan nella quale gli Stati Uniti giocano a fare da arbitro". 175

Ancora oggi parte del Kashmir si trova sotto l'occupazione militare pakistana, mentre il resto è sotto il controllo delle truppe indiane che tentano di arginare i