2.1 Il Dalai Lama: dalle montagne del Tibet a Dharamsala
3.2. L'altra faccia della medaglia
3.2.2. La piaga del lavoro minorile
Il fenomeno del lavoro infantile è aumentato a dismisura negli ultimi venti anni e i bambini sfruttati sono passati da 56 milioni a oltre 250 milioni, 258 piccoli lavoratori schiavi che fabbricano i prodotti consumati dai bambini dei Paesi ricchi.
256 MIAVALDI M., "Il governo passa alle maniere forti", in Lettera 43, 24 marzo 2012 257
Ibidem 258
72 Sebbene in Cina la legge sul lavoro del 1995 vieti il lavoro minorile, "nella pratica i diritti vengono violati sistematicamente" come scrive Rosoff. 259 Anche un editoriale apparso alla fine del 2005 sul settimanale "Notizia dalla Cina" e pubblicato dall'agenzia governativa di stampa Xinhua, ha parlato di "abusi contro i diritti umani" perpetrati nei luoghi di lavoro. 260
Il lavoro infantile è spesso una scelta obbligata per le famiglie: per esempio, per gli 800 milioni di cinesi che abitano nelle campagne con un reddito medio inferiore ai 200 euro annui, mandare i figli in fabbrica, e soprattutto le figlie, non è la scelta più crudele. Secondo le stime più prudenti, 10 milioni di bambini cinesi sono costretti a lavorare e uno dei paraventi utilizzati per nascondere il lavoro minorile è camuffarlo come apprendistato organizzato dalle scuole, dove i ragazzi sono pagati 60-80 euro al mese per lavorare dall'alba a mezzanotte.
Di questi, ben 53 mila bambini sono costretti a lavorare tutto il giorno senza paga e con scarso cibo, pestati a sangue per ogni motivo, presso le fabbriche di mattoni dello Shanxi, dell'Henan e del Guangdong. I media ufficiali hanno parlato di 55 mila poliziotti impegnati a ispezionare le migliaia di fabbriche, ma nulla è cambiato e i rapitori stanno continuando ad agire, portando via 7-8 persone al giorno, per poi rivenderle a 30 euro.
Dei 4700 dipendenti della Kingmaker Footwear che producono per la
Timberland, l'80 % sono donne, tra cui minorenni di 14 e 15 anni. Per confezionare
un paio di scarpe vendute in Europa a 150 euro, un ragazzo di 14 anni guadagna 45 centesimi di euro, lavorando 16 ore al giorno e dormendo in fabbrica, senza ferie né assicurazione malattia, rischiando continuamente l'intossicazione e l'oppressione dei padroni-aguzzini.
Le testimonianze sui terribili abusi perpetrati nella fabbrica sono state raccolte dall'associazione umanitaria China Labor Watch, impegnata nella battaglia contro lo sfruttamento dei minori e le violazioni dei diritti dei lavoratori. Gli operai hanno confidato agli attivisti umanitari che "in ogni reparto lavorano ragazzi tra i 14 e i 16 anni" e che la giornata di lavoro inizia alle 7,30 e finisce alle 21, con due pause per pranzo e cena e gli straordinari obbligatori. Nei mesi di punta in cui la
Timberland aumenta gli ordini, "il turno normale" diventa dalle 7 alle 23, con una
259 ROSOFF R. J., "Beyond Codes of Conduct: Addressing Labor Rights Problems in China", in www.chinabusinessreview.com, marzo 2004
260
RAMPINI F., L'impero di Cindia. Cina, India e dintorni: la superpotenza asiatica da tre miliardi e
73 domenica di riposo ogni 2 settimane, gli straordinari si allungano e i lavoratori passano dentro la fabbrica fino a 105 ore a settimana. La paga mensile è di 757 yuan, ossia 75 euro, ma il 44 % viene detratto per coprire le spese di vitto e alloggio, dove per vitto e alloggio si intendono camerate in cui si ammucchiano 16 lavoratori su brandine di metallo e una mensa dove 50 lavoratori mangiano germogli di bambù marci. In fabbrica i manager mantengono un clima d'intimidazione e di violenze fisiche: un'operaia di 20 anni picchiata dal suo caporeparto è stata ricoverata in ospedale, ma l'azienda non le ha pagato le spese mediche. Un mese di salario è sempre trattenuto dall'azienda come arma di ricatto: se un lavoratore va via, lo perde. Di fronte a queste rivelazioni il quartier generale della multinazionale ha dovuto ammettere che la fabbrica ha avuto problemi relativi alle condizioni di lavoro e di essere disposto ad aiutare i proprietari della fabbrica a migliorare. I "problemi relativi alle condizioni di lavoro" però non sono emersi durante le regolari ispezioni semestrali che la Timberland fa alle sue fabbriche cinesi, né il rappresentante permanente ne ha fatto rapporto all'azienda. 261
Anche il fornitore della Puma è nel Guangdong, nella località Dongguan, si chiama Pou Yuen ed è un colosso di 30 mila dipendenti. Qui, per fabbricare un paio di scarpe da jogging, una cinese riceve 90 centesimi di euro, mentre il prezzo in Europa per il modello con il logo Ferrari è di 178 euro. I ritmi di lavoro sono così intensi che i lavoratori hanno le mani deformate per lo sforzo continuo. La lettera di un operaio descrive la giornata-tipo nella fabbrica: "Siamo sottoposti a una disciplina di tipo militare, alle 6,30 dobbiamo scattare in piedi, pulirci le scarpe, lavarci la faccia e vestirci in 10 minuti. Corriamo alla mensa perché la colazione è scarsa e chi arriva ultimo ha il cibo peggiore, alle 7 in punto bisogna timbrare il cartellino sennò c'è una multa sulla busta paga, poi ogni gruppo marcia in fila dietro il caporeparto recitando la promessa di lavorare diligentemente. Se non recitiamo a voce alta, se c'è qualche errore nella sfilata, veniamo puniti. Dobbiamo subire, chiunque accenni a resistere viene cacciato. [...] Dobbiamo sopportare in silenzio e continuare a lavorare."
Così prosegue: "Lavoriamo dalle 7 alle 23 e la metà di noi soffre la fame. Alla mensa c'è minestra, verdura e brodo. Gli ordini della Puma sono aumentati e il tempo per mangiare alla mensa è stato ridotto a mezz'ora. Nei dormitori non abbiamo
261
74 l'acqua calda d'inverno". Dice che guardando le mani degli operai si capisce da quanto tempo lavorano in fabbrica, perché la forma cambia completamente. Un ragazzo di 20 anni ne dimostra 30 e la sua unica speranza è di non essere licenziato, perché farà questo lavoro per tutta la vita. 262
Nel 2004 l'associazione umanitaria Human Rights Watch ha reso nota la morte di cinque quattordicenni soffocate nel sonno dal fumo della fabbrica di tessuti dove lavoravano: due di loro sono state sepolte ancora agonizzanti dal padrone che aveva fretta di far sparire i corpi. 263
I due giornalisti Yan Liang e Lu Zheng del quotidiano Nanfang di Canton sono riusciti a penetrare in un distretto dell'industria tessile dove il lavoro minorile è la regola: qui hanno incontrato Yang Hanhong, piccolo imprenditore di 27 anni che recluta gli operai nel villaggio natale e ha 12 minorenni alle sue dipendenze. I due reporter scrivono che la maggior parte di questi bambini soffre di herpes per l'inquinamento dei coloranti industriali e ha malattie alla vista, al punto che gli occhi infiammati, costretti a fissare sempre il lavoro degli aghi, non possono vedere la luce del sole. Lamentano mal di testa cronici e il tredicenne Liu Yiluan non può addormentarsi senza prendere 2 o 3 analgesici ogni sera, anche se il suo padrone dice che gli costa troppo in medicinali.
Anche la Walt Disney è inquisita nel giro di sfruttamento degli operai: libri di Topolino, album con le figure del pesciolino Nemo, agendine e giochi con i popolari personaggi Disney sono solo prove degli abusi dei diritti umani nelle fabbriche cinesi: dietro ai gadget e ai giocattoli venduti ai bambini di tutto il mondo ci sono migliaia di piccoli operai pagati 60 euro al mese, costretti a lavorare 13 ore al giorno, vittime di tragici incidenti in fabbrica, dita e mani amputate, e morti sul lavoro. Le accuse sono documentate da un gruppo di ricercatori universitari di Hong Kong che sono riusciti a raccogliere le testimonianze degli operai in un rapporto dal titolo "In cerca della coscienza di Topolino", denuncia uscita a tre settimane dall'inaugurazione del nuovo parco divertimenti Disneyland di Hong Kong. Si citano l'azienda tipografica Hung Hing, con tre fabbriche nella città meridionale di Shenzhen, da cui escono fumetti, libri educativi per bambini, giochi interattivi, scatole colorate, non solo con il marchio Walt Disney ma anche Mattel e Mac Donalds, e anche altri due
262 RAMPINI F., "I lager cinesi che fabbricano il sogno occidentale", in Repubblica, 19 maggio 2005 263
75 fornitori della zona di Dongguan, la Nord Race e la Lam Sun, che fornisce i suoi prodotti di plastica a Mattel, Wal-Mart e Pepsi Cola. 264
Sebbene il salario minimo legale nel Dongguan sia fissato a 3,43 yuan l'ora, ovvero 34 centesimi di euro, questi operai sono pagati solo 2,9 yuan l'ora. La giornata media è 13 ore lavorative e fare gli straordinari, spesso non pagati, è obbligatorio. Le aziende addebitano agli operai fino a 185 yuan al mese per le spese di vitto e alloggio, anche se si tratta di dormitori con stanze di 8 letti in 12 metri quadrati e il cibo "è di una qualità così infima che si vede dal colore che ha". Nei reparti di produzione regna un calore oppressivo e non ci sono ventilatori. Quando degli operai osano protestare per chiedere dei miglioramenti salariali, vengono picchiati dalle guardie giurate e i capi dell'agitazione licenziati.
Un altro operaio ha scritto: "I guardiani ci trattano come criminali. Gli alloggi sono lontani, ogni giorno qualche operaio che rientra a dormire viene investito da un'auto, ferito o ucciso, e non c'è assistenza sanitaria. I nostri salari sono miserabili, 600-700 yuan al mese [60-70 euro] e solo per l'alloggio ne spendiamo 100. Dopo aver lavorato un mese cerchiamo cosa ci resta in tasca: pochi spiccioli". Il rapporto elenca i più recenti infortuni sul lavoro, documentandoli con fotografie: un operaio di 24 anni schiacciato a morte da una macchina per la carta, un altro fulminato dalla corrente di una tagliatrice, oltre a operaie con le dita amputate o la schiena spezzata.
Nelle aziende cinesi che riforniscono le multinazionali i manager locali obbligano gli operai a imparare a memoria le risposte false da dare in caso di ispezione. Un'altra testimonianza rivela che quando arrivano gli uomini d'affari stranieri per un'ispezione, gli operai vengono avvisati in anticipo: " i capi ci fanno pulire e disinfettare tutto, lavare i pavimenti; sono molto pignoli". 265 Le multinazionali compilano i loro Social Reports per le opinioni pubbliche occidentali, promettendo trasparenza sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche dei loro fornitori, salvo "scoprire" con rammarico che i loro ispettori non hanno visto che gli abusi continuano.
Molte organizzazioni denunciano il fatto che in Cina proliferano anche la contraffazione delle buste-paga, i falsi cartellini orari e le relazioni fasulle degli ispettori sanitari: formulari con timbri e numeri artefatti per simulare salari e condizioni di lavoro migliori da consegnare alle multinazionali. Delle sue fabbriche
264 RAMPINI F., "Cina, le 'città segrete' del lavoro minorile", in Repubblica, 23 maggio 2005 265
76 cinesi la Nike dice che "la falsificazione da parte dei manager dei libri-paga e dei registri degli orari di lavoro è una pratica comune". 266 Anche la Puma sa di spendere 90 centesimi di euro per un paio di scarpe, su cui poi investe ben 6 euro in costose sponsorizzazioni sportive, mentre la Timberland sa di pagare 50 centesimi di euro l'operaio che confeziona scarpe vendute poi a 150. Nonostante questo, nel 2005 il Presidente della Repubblica Hu Jintao ha accolto a Pechino centinaia di top manager, industriali e banchieri stranieri venuti per il Fortune Global Forum. Il quotidiano ufficiale China Daily ha riassunto il suo comizio con un grande titolo in prima pagina: "You come, you profit, we all prosper". Non è evidente chi sia incluso in quel "tutti", ma è chiaro da che parte stia Hu Jintao. 267
Se un padrone viene colto in flagrante reato di sfruttamento del lavoro minorile rischia una multa di 10 mila yuan, circa mille euro, mentre la revoca della licenza scatta solo se un bambino "diventa invalido o muore sul lavoro", ma le notizie di processi e multe di questo tipo scarseggiano. Con una significativa coincidenza, i blitz delle forze dell'ordine sono avvenuti quattro giorni dopo che la Cina era stata denunciata all'opinione pubblica internazionale per lo scandalo dei minorenni che fabbricavano oggetti col logo delle Olimpiadi 2008, quando i mass media ufficiali hanno trasmesso le spettacolari operazioni di polizia per liberare più di 450 minorenni al lavoro nelle fabbriche-lager.
Oggi la battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile non sembra una priorità per le forze dell'ordine e i genitori lamentano l'indifferenza nella "diffusione di informazioni sul lavoro minorile", classificato come jimi, ossia top secret, dal Ministero del Lavoro. 268
Anche in India dove, secondo l'Unicef, il 20 % dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione acuta, il 43 % è sottopeso e il 48 % è rachitico, 269 il traffico dei bambini colpisce i villaggi più poveri. Qui il traffico di minori rappresenta il 40-50 % dell'intero traffico di persone e i bambini, pagati meno degli animali, sono venduti dalle famiglie per circa 6 dollari, perché i genitori non riescono a sfamarli. Come in Cina, il rapporto tra polizia e trafficanti di bambini è talmente
266
RAMPINI F., "I lager cinesi che fabbricano il sogno occidentale", in Repubblica, 19 maggio 2005 267
Traduzione: "Voi venite, fate profitti, e tutti prosperiamo". In RAMPINI F., "I lager cinesi che fabbricano il sogno occidentale", in Repubblica, 19 maggio 2005
268
RAMPINI F., L'impero di Cindia. Cina, India e dintorni: la superpotenza asiatica da tre miliardi e
mezzo di persone, op. cit., pag. 145
269
77 stretto che i bambini liberati dai bordelli o dalla schiavitù sono resi nuovamente vittime. Questi ultimi finiscono per lavorare come braccianti nell'industria dei tappeti, nelle fattorie, come domestici o nel mercato del sesso.
In India sono oltre 1,7 milioni i minori che lavorano nell'industria del tabacco e la maggior parte sono bambine e ragazze poiché, secondo i produttori, le loro dita sono più abili nella realizzazione di beedi, le sigarette tradizionali indiane arrotolate a mano, utilizzando coltelli affilati senza alcuna protezione. Nonostante il diritto indiano classifichi la lavorazione di beedi tra i lavori pericolosi, c'è ancora troppa tolleranza per le bambine che aiutano i genitori nello svolgimento del mestiere. Aliya ha cinque anni, vive a Kadiri e pensa che arrotolare beedi sia una sorta di gioco che deve imparare in fretta per riuscire a vincere un premio. La sua giornata si svolge in funzione del lavoro: per guadagnare la misera somma di meno di 2 dollari deve arrotolare almeno 1000 beedi e lo fa ogni giorno per circa 14 ore. Ghazala invece ha 17 anni ma è già madre di tre bambini: anche lei ha iniziato a lavorare nell'industria del tabacco quando aveva cinque anni ed è stata costretta ad abbandonare la scuola per contribuire al sostentamento economico della famiglia. 270
Anche l'industria cotoniera è un immenso business in India, secondo produttore al mondo del filato: ogni anno decine di migliaia di bambini provenienti dal poverissimo distretto di Dungarpur nello stato del Rajasthan vengono condotti nel vicino stato del Gujarat, che da solo possiede un quarto della superficie coltivata a cotone dell'intera India. Anche se le autorità riferiscono che il numero dei minori vittime della tratta è calato significativamente negli ultimi anni, il ruolo delle multinazionali è cresciuto a causa delle politiche governative di liberalizzazione e della recente introduzione del cotone BT che genererà un ulteriore incremento nel controllo delle multinazionali che detengono brevetti sulla tecnologia geneticamente modificata. Al momento sono circa 200 le società impegnate nella produzione e commercializzazione dei semi di cotone ibridi in India, incluse numerose multinazionali come Unilever, Monsanto, Syngenta, Advanta, Bayer, e Emergent
Genetics, che gestiscono le proprie attività di business attraverso industrie
controllate, tra cui Hindustan Lever Limited per Unilever o Proagro per Bayer o joint
ventures e collaborazioni con società locali.
270 KUMAR D., "INDIA: Slave work conditions dire for girl-childbeedi cigarette labourers", in
78 Quando il dodicenne Mukesh Somaji Damore ha lasciato il villaggio natale per andare a lavorare nei campi di cotone, non c'è voluto molto perché cominciasse a rimpiangere casa. Ogni mattina, a stomaco vuoto, doveva svegliarsi alle quattro per cominciare a spuntare e impollinare le piante di cotone e la sera, dopo 14 ore di fatica, era finalmente libero di prepararsi la cena, ma gli spettava solamente un sacchetto di farina per cucinarsi il pasto: se voleva mangiare degli ortaggi, doveva comprarli con i suoi pochi soldi. Dopo aver cenato, Mukesh poteva stare un po' davanti alla tv, prima di andare a coricarsi fianco a fianco con una dozzina di altri ragazzini sul pavimento di una baracca. Quando era arrivato alla piantagione, Mukesh non sapeva ancora quanto sarebbe stato pagato ma aveva bisogno di soldi per comprare il cibo, così il suo datore di lavoro gli aprì una "linea di credito". Un giorno però il padrone consegnò a Mukesh la paga decurtata del prestito: mille rupie, pari a poco più di 15 euro, per i primi 3 mesi di lavoro nei campi. "Mi sentivo molto triste. Erano giorni in cui piangevo molto" ricorda Mukesh che ha trascorso la sua infanzia nella piantagione, senza una mascherina o altre protezioni contro i pesticidi spruzzati ogni giorno sulle piante. "Mi sentivo sempre male, con la febbre addosso". 271
Quando fu riportato nel villaggio di Pallasavu, giurò a se stesso di non tornare mai più a lavorare nei campi. Una sua vicina, Champalala Tabira, sapendo che il ragazzo rischiava di perdere l'anno scolastico, bussò alla porta di casa, chiedendo a sua mamma di iscriverlo di nuovo a scuola.
Nonostante la signora Tabira non avesse mai messo piede in un'aula da bambina, a 45 anni capiva quanto studiare fosse importante per un bambino e per la sua comunità. Oggi infatti la signora Tabira fa parte del "Comitato di villaggio per la protezione dei minori", parte della vasta rete comunitaria di prevenzione del lavoro minorile attuata dall'UNICEF con il decisivo contributo finanziario di IKEA, e pensa che "se soltanto un bambino su cento restasse escluso dall'istruzione, sarebbe l'intera comunità a rimanere indietro". I 15 membri del Comitato locale di volontari hanno disegnato a mano una mappa del villaggio, con tutte le 150 famiglie che lo compongono 272 e con un pennarello rosso hanno segnato le abitazioni in cui vivono bambini che non vanno a scuola o sono a rischio di abbandonarla. Queste famiglie sono incoraggiate a mandare i figli a scuola, anche attraverso i prestiti pubblici per
271 HANNON E., "India, lavoro minorile: meglio la scuola del cotone". Testimonianza raccolta per
Unicef India, in http://www.unicef.it/doc/2753/india-lavoro-minorile-meglio-la-scuola-del-cotone.htm
272
79 fare fronte alle difficoltà economiche: nel 2011 solo in questo villaggio 50 nuovi alunni si sono iscritti alla scuola locale, tra i quali anche Mukesh, che sa per certo che non lavorerà mai più il cotone. 273
Secondo un resoconto pubblicato dal Comitato olandese per l'India, anche lo sfruttamento del lavoro minorile femminile si è diffuso nelle piantagioni di cotone dell'India meridionale. Si stima che circa 450 mila ragazze, di età compresa tra i 6 e i 14 anni, siano impiegate nei campi di cotone indiani, delle quali 250 mila nel solo stato dell'Andhra Pradesh. Poiché la produzione di semi di cotone ibridi è ad alta intensità di lavoro, le ragazze lavorano duramente e sono pagate molto poco, private dell'istruzione ed esposte per lunghi periodi a prodotti chimici pericolosi per la salute.
Tra le comunità più povere, in particolare quelle delle minoranze tribali, i bambini che lavorano nei campi di cotone sono un fenomeno comune: durante la stagione del raccolto e dei monsoni, intermediari privi di scrupoli vanno di porta in porta a offrire somme di denaro alle famiglie indigenti in cambio dei loro figli. I bambini vengono prelevati nottetempo con una jeep e trasportati al di là della frontiera con il Gujarat. 274 È successo anche al tredicenne Raju Rama Pargi che quando dette il suo assenso non sapeva molto del cotone, ma aveva visto dei ragazzini tornare al villaggio con orologi e vestiti nuovi. Raju sognava di possedere un telefono cellulare e il lavoro nelle piantagioni sembrava l'unica via per ottenerlo, ma non sapeva chi fosse l'uomo che lo aspettava a mezzanotte sulla strada principale. La jeep su cui si trovava Raju insieme ad altri sei bambini fu fermata però a un posto di blocco della polizia, collocato proprio per intercettare i trafficanti di minori. Raju