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I contenuti principali dell’Aggiornamento 2015

Nel documento Relazione annuale 2015 (pagine 95-98)

Il percorso verso l’aggiornamento del PNA

3.2 L’aggiornamento del PNA

3.2.1 I contenuti principali dell’Aggiornamento 2015

È stato evidenziato preliminarmente il carattere organizzativo delle misure di prevenzione, volte a garantire sia l’imparzialità oggettiva dell’amministrazione nel suo complesso sia l’imparzialità soggettiva del personale preposto nelle diverse fasi dei processi/procedimenti. Ciò comporta l’esigenza che i Piani triennali siano coerenti con i Piani della performance, proprio per la stretta connessione tra l’individuazione di misure anticorruzione effettive e verificabili e

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il perseguimento della funzionalità amministrativa. È stata, altresì, ribadita la rilevanza della trasparenza, principio cardine del quadro normativo delineato dalla legge 190.

Chiarito l’ambito soggettivo di applicazione della normativa anticorruzione a seguito delle modifiche del d.lgs. 33/2013 introdotte dal d.l. 90/2014, secondo quanto precisato nelle linee guida adottate con la determinazione n. 8 del 17 giugno 2015, è stata affermata la necessità di un pieno coinvolgimento e della consapevole partecipazione degli organi di indirizzo politico, cui spetta l’approvazione dei Piani triennali. Figura centrale resta quella del RPC, per l’individuazione del quale sono state fornite indicazioni con riguardo alla diversa tipologia dei soggetti tenuti al rispetto della disciplina, al fine di assicurare l’indipendenza nello svolgimento dei compiti allo stesso attribuiti. Fondamentale è anche il ruolo di tutti i dirigenti e dipendenti che, sulla base dell’esperienza maturata e delle specifiche competenze, devono collaborare alla predisposizione e all’attuazione dei Piani triennali, partecipando alla rilevazione e valutazione dei rischi. Il contributo del personale e la condivisione degli obiettivi di fondo della lotta alla corruzione sono, dunque, decisivi per la qualità dei PTPC.

Particolare attenzione è stata riservata al processo di gestione del rischio, da intendersi non quale processo formalistico ma come strumento volto a realizzare, in concreto, l’interesse pubblico alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza, tenendo conto del peculiare contesto interno ed esterno della singola amministrazione/ente. I principi generali che guidano tale attività attengono all’integrazione fra la strategia anticorruzione e gli obiettivi organizzativi contenuti in altri documenti di programmazione, alla continua evoluzione del processo di valutazione e trattamento del rischio, all’assunzione di responsabilità da parte degli organi di indirizzo, dei dirigenti e del RPC, all’efficace coinvolgimento di tutti i portatori di interessi interni ed esterni.

Sono state quindi esaminate le diverse fasi in cui si articola il processo di gestione del rischio con l’intento di delineare soluzioni operative alla luce delle carenze e criticità riscontrate nei Piani triennali oggetto dell’indagine effettuata dall’Autorità.

La prima fase concerne l’analisi del contesto esterno (legato al territorio) e interno (correlato alla struttura ed alla modalità organizzativa dell’amministrazione/ente), indispensabile per ottenere informazioni su circostanze e dinamiche che possono favorire i fenomeni corruttivi. A tal proposito assume rilievo la mappatura dei processi relativi a tutta l’attività svolta: accanto alle “aree di rischio obbligatorie”, definite nel PNA e corrispondenti ai procedimenti elencati all’art. 1, co. 16, della l. 190/2012 ed alle ulteriori aree a rischio di carattere generale, in quanto comuni a gran parte delle amministrazioni ed enti, riguardanti la gestione delle entrate, delle spese e del patrimonio, i controlli, le verifiche, le ispezioni e le sanzioni, gli incarichi e le nomine, affari legali e contenzioso, vanno individuate le “aree di rischio specifiche”, in relazione al peculiare ambito di competenza in cui opera la singola amministrazione/ente. I Piani triennali devono, dunque, dare evidenza della mappatura dei processi e del livello di approfondimento scelto, tenendo conto dell’organizzazione dell’amministrazione e delle risorse disponibili.

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La ricognizione dei processi presuppone la rilevazione dei procedimenti amministrativi; i due concetti, pur distinti, come già evidenziato nel PNA e rappresentato nel par. 1.3.1 in relazione al PTPC dell’Autorità, si integrano con l’obiettivo di rendere conoscibili le informazioni sull’operato dell’amministrazione/ente, attraverso l’individuazione delle responsabilità e delle strutture organizzative che intervengono, nonché l’indicazione dell’origine del processo, del risultato atteso, delle diverse fasi, dei tempi, delle risorse e delle interrelazioni fra i processi. I processi devono poi essere analizzati sotto il profilo della possibilità che si verifichi un fenomeno corruttivo, a partire dalla identificazione degli eventi rischiosi e dall’indagine sulle cause, per valutare il livello di esposizione al rischio dei processi e definire idonee strategie di prevenzione. È stato, al riguardo, sottolineato che la metodologia proposta nell’Allegato 5 al PNA non deve essere intesa in senso vincolante, configurandosi come uno (e non l’unico) dei criteri da utilizzare per la misurazione del rischio, come peraltro confermato dall’Autorità in sede di predisposizione del proprio PTPC.

Sulla base delle risultanze dell’analisi sopra accennata, ciascuna amministrazione/ente effettua la ponderazione del rischio, essenziale per stabilire la priorità di intervento ai fini della definizione delle misure anticorruzione, oggetto della successiva fase attinente al trattamento del rischio. È stata richiamata l’attenzione, in tale fase, sulle misure obbligatorie, che discendono dalla legge o da altre fonti normative, e su quelle ulteriori che devono essere identificate con riguardo al contesto e alla sfera di competenze. Più propriamente è opportuno distinguere fra misure generali, che intervengono in modo trasversale sull’intera amministrazione e misure specifiche, che incidono su problemi peculiari emersi nell’analisi del rischio. Nel rinviare all’attuazione della l. 124/2015 una più approfondita disamina delle misure anticorruzione per comparti o categorie di amministrazioni, la det. 12/2015 ha elencato le principali tipologie di misure, che devono comunque soddisfare tre requisiti: efficacia nella riduzione del rischio come conseguenza della corretta valutazione dell’evento rischioso, sostenibilità sotto il profilo economico e organizzativo allo scopo di evitare atti di programmazione irrealistici e, in sostanza, l’elusione della normativa, e la specificità in ragione delle caratteristiche organizzative dell’amministrazione/ente. Rivestono importanza, altresì, le informazioni - anch’esse da inserire nei PTPC - in ordine ai tempi di adozione delle misure e ai responsabili delle varie fasi di attuazione delle stesse.

Un’adeguata pianificazione di iniziative di contrasto della corruzione non può prescindere da un’attività di verifica e monitoraggio sia sulla gestione del rischio sia sull’attuazione delle misure, con cadenze temporali fissate in base alla complessità dell’articolazione amministrativa, l’esito della quale è riportato nei PTPC.

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