L’atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 4 del 10 giugno 2015, contenente diverse proposte di modifica e integrazione della normativa vigente in materia di inconferibilità e
Autorità Nazionale Anticorruzione
incompatibilità degli incarichi amministrativi, si basa sulle conclusioni formulate dalla commissione di studio, oltre che dell’esperienza applicativa dell’Autorità. Come già anticipato, l’atto è stato adottato in vista dell’approvazione di criteri e principi direttivi della delega per il riordino complessivo della materia, poi eliminata nel corso dei lavori parlamentari relativi al disegno di legge di riforma della PA. Per questa ragione, sono state prospettate ben 25 proposte di modifica che si aggiungono a quella preliminare concernente anche la tecnica di formulazione delle norme. Le proposte sono state articolate in tre ambiti: quello relativo alle inconferibilità, quello sulle incompatibilità e, infine, le modifiche relative ai poteri di vigilanza, ordine e sanzione dell’ANAC. Per ciascuna di esse, si è provveduto a specificare l’eventuale necessità di un’ulteriore delega, ove si è riscontrata l’assenza di idonea copertura in quella già conferita dalla l. 190/2012.
In via preliminare l’atto affronta una serie di questioni di carattere più generale.
La prima tematica generale esaminata nella segnalazione 4/2015 riguarda l’estensione dell’ambito di applicazione della normativa; pur auspicando che sia assicurato un approccio complessivo alla materia, nella segnalazione si suggerisce di limitare la revisione normativa agli incarichi amministrativi come attualmente previsto, con la possibilità di ricomprendere anche le cariche politiche conferite per nomina (ad esempio membri del Governo, delle giunte regionali e locali). Al contrario, si è invitato il legislatore a lasciare fuori la complessa materia dei regimi di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità, oggetto di distinte discipline. Un’ulteriore questione preliminare riguardante l’estensione della disciplina è quella concernente l’opportunità di includere tra le cause di inconferibilità e incompatibilità anche la provenienza da - o lo svolgimento di - cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali, in considerazione del fatto che la provenienza da queste posizioni può sicuramente compromettere l’imparzialità nell’esercizio dell’incarico.
Sempre in via preliminare, è stata evidenziata l’opportunità di introdurre delle procedure derogatorie che consentano, in modo trasparente e vigilato, di ritenere non applicabili le cause di inconferibilità e incompatibilità in casi specifici ove si determina un evidente difetto di proporzionalità nell’applicazione delle norme.
Nell’atto di segnalazione sono state poi individuate alcune rilevanti lacune della disciplina, con l’invito ad estendere il regime delle inconferibilità e incompatibilità nelle aziende sanitarie a incarichi diversi dai tre già indicati e in particolare al direttore di dipartimento, al direttore di distretto, al dirigente medico di presidio e al dirigente di struttura complessa.
Altra lacuna che dovrebbe essere colmata riguarda la mancanza di una disciplina delle inconferibilità per provenienza da cariche politiche a livello nazionale; peraltro, ove venisse introdotta una disciplina organica della provenienza da cariche politiche di livello nazionale, potrebbe essere opportuno assegnare all’ANAC anche le competenze di vigilanza e sanzione su incompatibilità e inconferibilità dei titolari delle cariche di governo che la legge 20 luglio 2004, n. 215 (Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi) affida all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM).
Autorità Nazionale Anticorruzione
Osservazioni sulla disciplina delle inconferibilità
Con particolare riferimento alla disciplina delle inconferibilità in caso di precedenti condanne, nell’atto di segnalazione 4/2015 si è invitato il legislatore a coordinare l’art. 3 del d.lgs. 39/2013, con le ipotesi di sospensione dalla carica politica di cui al decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190, nel seguito anche decreto 235).
La legge 190, come noto, ha attribuito al Governo due distinte deleghe: la prima per disciplinare i casi di incandidabilità alle elezioni per coloro che abbiano riportato condanne definitive, nonché di sospensione dalla carica elettiva per condanne non definitive per determinate tipologie di reati (delega attuata con il d.lgs. 235/2012); la seconda per disciplinare i casi di inconferibilità di incarichi amministrativi in caso di condanna, anche non definitiva (delega attuata con il d.lgs. 39/2013). In entrambi i casi, l’intento è quello di impedire l’accesso o la permanenza in cariche politiche o in incarichi amministrativi di persone che non hanno i necessari requisiti di moralità e imparzialità; tuttavia, da un lato si rileva che i reati rilevanti ai fini della inconferibilità degli incarichi amministrativi e quelli per la sospensione dagli incarichi politici non sono gli stessi; inoltre, mentre l’art. 3 del decreto 39 prevede una graduazione delle conseguenze in rapporto alla “gravità” dei reati, il decreto 235 prevede la conseguenza della sospensione dalla carica per condanne non definitive per un’ampia serie di reati, specificamente elencati, ma senza alcuna distinzione, né graduazione in rapporto alla loro gravità e indipendentemente dalla pena inflitta. Vista la comune ratio delle due normative, l’Autorità ha segnalato l’opportunità che il legislatore proceda a una loro armonizzazione, anche se per la modifica del decreto 235, sarebbe necessaria una specifica delega. Infine, è stata proposta l’estensione dell’ipotesi del reato tentato anche alle inconferibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013, in analogia a quanto previsto dallo stesso decreto 235.
Altri interventi richiesti al legislatore hanno riguardato la precisazione di alcune delle definizioni contenute nel decreto 39 che continuano a dar luogo a rilevanti questioni interpretative, nonostante lo sforzo ermeneutico assicurato attraverso l’attività consultiva e di vigilanza; si tratta, in particolare, della definizione di “ente di diritto privato in controllo pubblico” o “a partecipazione pubblica non maggioritaria”, di quella di “enti di diritto privati regolati o finanziati” e di quella di “incarichi dirigenziali” che, in particolare, dovrebbe includere anche i componenti di alcuni organi consultivi e tecnici le cui valutazioni hanno una incidenza diretta e significativa sulla decisione amministrativa, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione.
Autorità Nazionale Anticorruzione
Osservazioni sulla disciplina delle incompatibilità
Anche con riferimento alla disciplina delle incompatibilità sono state individuate diverse lacune che in alcuni casi derivano dal mancato rispetto di quanto previsto nella legge delega. Così, nell’atto di segnalazione 4/2015 si evidenzia che l’art. 9, co. 1, del d.lgs. 39/2013 disciplina le incompatibilità con le cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati solo per gli incarichi di vertice e dirigenziali nelle amministrazioni e non si occupa degli incarichi di amministratore di ente pubblico e di ente di diritto privato in controllo pubblico. L’art. 12, poi, non detta una disciplina omogenea quanto alle incompatibilità tra incarichi amministrativi diversi. Al co. 2 non vengono considerati i casi di incompatibilità tra incarichi diversi in PA, enti pubblici ed enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale. Al co. 3, lett. c), si considera l’incompatibilità con la carica di amministratore di ente privato in controllo pubblico regionale ma non con la carica di amministratore di ente pubblico. Lo stesso avviene al co. 4, lett. c), per le cariche di livello locale.
Inoltre, l’Autorità ha chiesto di risolvere definitivamente la questione del rapporto tra amministrazione o ente controllante ed ente controllato, evidenziando che il funzionario “distaccato” presso l’ente controllato continua spesso ad esercitare le funzioni di regolazione e controllo per conto dell’amministrazione ed anche se non svolge direttamente funzioni di controllo nell’amministrazione, è naturalmente indotto a portare all’interno della stessa amministrazione la “voce” e gli interessi dell’ente controllato. Il criterio suggerito nella segnalazione - che era stato accolto nel regolamento adottato con decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133), in esecuzione della normativa in materia di servizi pubblici locali (art. 23-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, TUEL)), poi travolta dai referendum del giugno 2011 - è quello della netta separazione tra controllati e controllori, proprio a livello locale, dove il fenomeno è ancora lungi dall’essere adeguatamente regolato.
Infine, è stato proposto di valutare l’estensione delle incompatibilità per incarichi e attività professionali e di consulenza svolte da congiunti del titolare dell’incarico, ovvero ai casi in cui il conflitto di interessi riguardi non il titolare dell’incarico, ma una persona a lui particolarmente vicina.
Nell’ultima parte della segnalazione 4/2015 è stato chiesto di intervenire sul decreto 39 anche per razionalizzare i poteri di vigilanza, accertamento, sospensione e sanzione dell’ANAC, approfondendo la stessa tematica, particolarmente delicata, nel successivo atto di segnalazione n. 5 del 9 settembre 2015. In tale atto è stato segnalato come, nel corso dell’attività di vigilanza dell’ANAC, sono emerse diverse criticità che derivano, innanzitutto, dalla mancata individuazione dei soggetti che hanno il potere di accertare le situazioni di inconferibilità e di incompatibilità, atteso che il decreto 39 affida tale accertamento alla stessa amministrazione, in particolare al RPC, che ha il potere di contestare le situazioni all’interessato.
Autorità Nazionale Anticorruzione
Inoltre, sebbene sia prevista all’art. 15 una “contestazione” della situazione di inconferibilità, nulla si dice sul procedimento che il RPC deve seguire per provvedervi e sul procedimento che l’ANAC deve seguire quando riceve una segnalazione dei cittadini e dell’amministrazione sul mancato rispetto del decreto 39.
L’attuale disciplina non chiarisce, poi, se sia effettivamente necessaria e a chi spetti la competenza della dichiarazione di nullità prevista per gli incarichi assegnati in situazioni di inconferibilità.
Altra criticità deriva dall’automatica applicazione della misura della sospensione in conseguenza della dichiarazione di nullità dell’incarico, in quanto il RPC e l’organo di indirizzo, consapevoli dell’applicazione automatica, tendono a non accertare o ad accertare in ritardo la situazione di inconferibilità. Ulteriore grave limite della sanzione automatica è che essa si applica senza alcuna valutazione dei comportamenti individuali dei componenti dell’organo che ha conferito l’incarico.
Infine, nell’atto di segnalazione 5/2015 è stata rilevata anche la grave incertezza relativa alle conseguenze della violazione della sanzione della sospensione di tre mesi. Qualora l’organo sospeso automaticamente continui, soprattutto in assenza di una esplicita dichiarazione di nullità, a conferire incarichi di sua competenza, si pongono diversi ordini di problemi in merito a chi e come debba intervenire per accertare e porre un limite alla violazione; quale sia il destino dei conferimenti, comunque, disposti ovverosia se gli stessi debbano intendersi anch’essi nulli per difetto assoluto di competenza dell’organo sospeso ovvero annullabili. Tutte le criticità evidenziate potrebbero essere superate mediante l’eliminazione del carattere automatico della sanzione in caso di conferimenti dichiarati nulli e l’affidamento all’ANAC di un potere suppletivo di accertamento delle situazioni di inconferibilità e incompatibilità e del conseguente potere sanzionatorio.
Ulteriori criticità segnalate sul decreto 39
Nell’atto di segnalazione n. 6 del 23 settembre 2015, nel riprendere la tematica generale - già trattata nella segnalazione 4/2015 - del rapporto tra la disciplina prevista dal d.lgs. 235/2012 ed il d.lgs. 39/2013, si è evidenziata una questione interpretativa molto specifica.
Il d.lgs. 235/2012, pur avendo ad oggetto le cariche elettive e di governo, contiene, al pari del decreto 39, delle disposizioni concernenti il conferimento di incarichi amministrativi. Infatti, in tema di incandidabilità alle cariche elettive regionali, l’art. 7 prescrive che coloro che siano incorsi in una condanna per uno dei reati considerati non possono partecipare alla competizione elettorale, ne tantomeno possono ricoprire le cariche di «[…] amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali». Anche con riferimento alle cariche elettive degli enti locali, l’art. 10, co. 1, del decreto 235 configura per i soggetti condannati in via definitiva per i reati indicati, oltre al divieto di partecipare alle elezioni, anche l’inconferibilità di incarichi, inclusi quelli di «[…] presidente del consiglio di amministrazione dei consorzi, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende
Autorità Nazionale Anticorruzione
speciali e delle istituzioni di cui all’art. 114 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Le richiamate disposizioni si pongono evidentemente in conflitto con la disciplina del decreto 39, che all’art. 3, co. 1, definisce “amministrativi” gli incarichi di “amministratore di ente pubblico” (lett. b)), e quelli di “amministratore di ente privato in controllo pubblico” (lett. d)). La contestuale applicabilità alle medesime fattispecie delle due diverse discipline è ancor di più determinata per effetto di quanto previsto dal co. 2 dell’art. 7 e dal co. 2 dell’art. 10 del decreto 235, in forza dei quali è anche vietato il conferimento di qualsiasi altro incarico per cui l’elezione o la nomina è di competenza rispettivamente: «[…] del consiglio regionale, della giunta regionale, dei rispettivi presidenti e degli assessori regionali», «[…] del consiglio provinciale, comunale o circoscrizionale; della giunta provinciale o del presidente, della giunta comunale o del sindaco, di assessori provinciali o comunali». Si tratta, in buona sostanza, di clausole generali, in base alle quali agli organi politici regionali e locali è precluso il conferimento di tutti gli incarichi - anche quelli definiti amministrativi dal decreto 39 - se l’interessato ha subito una condanna definitiva per tutti i reati elencati nel decreto 235; in questi casi, l’eventuale assegnazione dell’incarico è nulla.
Le antinomie rilevate nell’ambito della attività di vigilanza derivano evidentemente dalle sostanziali differenze che vi sono tra i regimi disciplinati dai due decreti. Nella segnalazione, peraltro, si è evidenziato che è già stata proposta una soluzione interpretativa nella delibera n. 54 del 1 luglio 2015, in base alla quale quando si tratta di incarichi che rientrano nella definizione del d.lgs. 39/2013 deve ritenersi prevalente la disciplina speciale ivi prevista e non quella di cui al d.lgs. 235/2012.
Sempre con riferimento al d.lgs. 39/2013, nell’ulteriore atto di segnalazione n. 7 del 4 novembre 2015, sono state messe in rilievo le criticità derivanti dalla preesistente normativa contenuta nel TUEL in tema di esimenti alle cause di incompatibilità e di conflitto di interessi. Sul punto, il d.lgs. 39/2013 non prevede alcuna norma di raccordo con il TUEL, sebbene quest’ultimo contenga, a sua volta, delle disposizioni in tema di incompatibilità per le cariche elettive degli enti locali che non sembrano più coerenti con i principi ispiratori ai quali è improntata la riforma.
Sicché, nel TUEL si rinvengono alcune disposizioni non conformi all’impostazione accolta nel decreto 39, come nel caso dell’art. 67, richiamato da diversi comuni interessati dall’attività di vigilanza svolta da questa Autorità a sostegno della legittimità del proprio operato. Si tratta dell’esimente alle cause di ineleggibilità o incompatibilità in base alla quale «Non costituiscono cause di ineleggibilità o di incompatibilità gli incarichi e le funzioni conferite ad amministratori del comune, della provincia e della circoscrizione previsti da norme di legge, statuto o regolamento in ragione del mandato elettivo».
Nell’esercizio della facoltà prevista nell’art. 67, i comuni hanno potuto introdurre nei propri statuti disposizioni in base ai quali gli amministratori comunali sono legittimati a ricoprire
Autorità Nazionale Anticorruzione
incarichi e funzioni presso specifici enti controllati, mentre come è noto, questa situazione è vietata dal decreto 39 in quanto ritenuta sintomatica di un conflitto d’interesse.
L’Autorità e la recente giurisprudenza hanno fornito una soluzione interpretativa secondo cui le disposizioni del TUEL in contrasto con il d.lgs. 39/2013, ivi incluso l’art. 67, devono ritenersi implicitamente abrogate da tale successiva fonte normativa di attuazione degli artt. 54 e 97 della Costituzione (Cost.). Tuttavia, nell’atto di segnalazione 7/2015, si è auspicato, un intervento del legislatore diretto ad abrogare in modo esplicito le disposizioni contenute nel TUEL e in altri testi normativi che risultino in contrasto con la disciplina introdotta dal d.lgs. 39/2013 e in particolare l’art. 67.