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Le indicazioni per gli altri enti di diritto privato

Nel documento Relazione annuale 2015 (pagine 106-111)

Enti in controllo pubblico

Una delle questioni più complesse è quella dell’individuazione dei soggetti che sono stati classificati, dallo stesso legislatore, come “altri enti di diritto privato in controllo pubblico”. Per tali enti l’Autorità ha identificato, sulla scorta della giurisprudenza in materia, una serie di indici, di cui è stato fornito un elenco esemplificativo, in presenza dei quali è stato ritenuto sussistente un controllo pubblico.

Nella determinazione è stato precisato come, affinché possa considerarsi sussistente un controllo dell’amministrazione occorra, pur in presenza di indici sintomatici, procedere, comunque, a un’analisi in concreto del rapporto tra amministrazione ed ente (fondazione o associazione). Sempre in via generale, può avere rilievo, ai fini dell’individuazione della categoria, il carattere delle attività svolte, quali la finalizzazione delle medesime alla realizzazione di un interesse pubblico: gli enti in questione, pur avendo natura privatistica, svolgono funzioni che rientrano nell’ambito dei compiti tipicamente appartenenti ai pubblici poteri, ossia funzioni cui le PA, in loro mancanza, dovrebbero sopperire. Rientrerebbero, dunque, tra gli enti di diritto privato in controllo pubblico i soggetti sulla cui attività l’amministrazione ha il potere di influire fortemente e che presentano i requisiti funzionali (esercizio di funzioni amministrative, erogazione di servizi pubblici, svolgimento di attività strumentali) e i requisiti di controllo o di influenza strutturale (partecipazione maggioritaria,

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potere di nomina dei vertici, etc.), che l’amministrazione è tenuta a verificare di volta in volta per ciascuno degli enti.

Gli enti di diritto privato in controllo pubblico sono, pertanto, tenuti ad applicare, alla pari delle società in controllo pubblico, la normativa sulla prevenzione della corruzione, dovendo conseguentemente adottare un autonomo PTPC anche qualora abbiano già adottato il modello 231 e nominare un RPC nell’ambito del personale in servizio. Il PTPC è strettamente correlato al modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. 231/2001, anche se è opportuno che i contenuti dei due siano chiaramente distinti. A detti enti si applicano in modo integrale tutti gli obblighi di trasparenza previsti dal decreto 33, sia per quanto concerne l’organizzazione che per quanto riguarda l’attività di pubblico interesse svolta.

Ai fini dell’attuazione del d.lgs. 33/2013, gli enti di diritto privato in controllo pubblico adottano il PTTI, nominano il RT (di norma coincidente con il RPC), assicurano l’esercizio dell’accesso civico e istituiscono sul proprio sito istituzionale una sezione denominata “Amministrazione trasparente”.

Enti partecipati

Altra categoria individuata nella det. 8/2015 è quella degli “altri enti di diritto privato partecipati” rappresentati da enti di natura privatistica diversi dalle società (cioè le fondazioni e le associazioni) non sottoposti a controllo pubblico e cioè quelli le cui decisioni e la cui attività non risultano soggette al controllo dell’amministrazione. Pur avendo natura di diritto privato, tali enti si possono configurare come strutture organizzative di rilievo pubblico, deputate a svolgere funzioni amministrative ovvero attività di interesse generale. Nonostante l’autonomia statutaria e gestionale loro riconosciuta, all’amministrazione sono attribuiti poteri di vigilanza in ragione della natura pubblica dell’attività svolta che possono sostanziarsi nell’approvazione degli atti fondamentali, nella formulazione di rilievi sui bilanci, nei compiti di verifica dell’effettiva tutela dei beneficiari, secondo le forme individuate negli statuti.

Nonostante le finalità istituzionali perseguite - che potrebbero indurre a ritenerli soggetti alla normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza in quanto comunque partecipati dalle amministrazioni -, tali enti non sono considerati in controllo pubblico e pertanto non sono tenuti ad adottare un PTPC, né a nominare un RPC. Spetterà alle PA partecipanti promuovere simili “iniziative” (in special modo nel caso in cui l’amministrazione contribuisca con forme di finanziamento a vario titolo riconosciute) affinché siano disciplinati gli specifici obblighi di prevenzione della corruzione e trasparenza, seppur diversamente calibrati in base alla tipologia di poteri che la stessa amministrazione esercita. In questi casi i protocolli di legalità devono disciplinare, ad esempio, gli obblighi di trasparenza e di informazione sull’uso delle risorse pubbliche da parte dei beneficiari. Nel caso di esercizio dei soli poteri di vigilanza, occorre che i protocolli prevedano modalità per rendere tale attività efficace e trasparente, assicurando la conoscibilità degli esiti. In questi casi è anche compito delle amministrazioni che a vario titolo vi partecipano promuovere, da parte di questi soggetti,

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l’adozione di modelli come quello previsto nel d.lgs. 231/2001, laddove ciò sia compatibile con la dimensione organizzativa degli stessi. Non essendo tali enti destinatari diretti delle disposizioni contenute nell’art. 11, co. 3, del d.lgs. 33/2013, le amministrazioni partecipanti sono tenute a promuovere, all’interno dei protocolli di legalità, l’applicazione anche da parte di tali enti degli obblighi di trasparenza individuati per le società a partecipazione pubblica non di controllo.

Infine, la normativa per la prevenzione della corruzione e la trasparenza è considerata applicabile agli enti pubblici economici i quali, ancorché svolgano attività di impresa, perseguono finalità pubbliche. Gli enti pubblici economici, d’altra parte, sono da subito stati inclusi dal PNA tra i soggetti cui applicare le disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza della legge 190. La delibera CIVIT n. 50 del 4 luglio 2013 aveva chiarito l’applicabilità ad essi delle misure di trasparenza, anche se allora, limitatamente alle previsioni dei co. da 15 a 33, dell’art. 1, della l. 190/2012. Da ultimo, a ulteriore conferma, è intervenuta la modifica dell’art. 11 del d.lgs. 33/2013, che al co. 2, lett. a), si riferisce agli «enti di diritto pubblico non territoriali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati», tra cui rientrano gli enti pubblici economici, come ha precisato l’Autorità con la delibera n. 144 del 7 ottobre 2014.

Attività interpretativa successiva all’emanazione della det. 8/2015

All’indomani della pubblicazione della det. 8/2015 l’ANAC è stata destinataria di numerosi quesiti da parte sia delle amministrazioni pubbliche controllanti, sia da parte di soggetti privati. Le questioni hanno riguardato prevalentemente l’inquadramento da operare nei confronti di soggetti che presentano caratteristiche ibride o comunque incerte ai fini della loro riconduzione nell’una ovvero nell’altra categoria individuata nella medesima determinazione. La categoria su cui, particolarmente, è stato richiesto all’ANAC di pronunciarsi è quella relativa ai c.d. “altri enti di diritto privato partecipati”, nella quale ricadono una serie eterogenea di soggetti.

Inoltre, è stato richiesto all’Autorità di pronunciarsi in ordine al soggetto deputato più idoneo a ricoprire il ruolo di RPC nei casi che presentavano fattispecie diverse da quelle illustrate in via esemplificativa nella det. 8/2015. È stata l’occasione per l’Autorità di appurare l’esistenza di gruppi societari controllati da enti locali nei quali la capogruppo non aveva dipendenti e, pertanto, in contrasto con quanto stabilito dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, anche nota come Legge di stabilità 2015) che ha disposto la soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti.

Ad ogni buon conto, poiché il d.lgs. 97/2016 ha modificato l’ambito soggettivo di applicazione del medesimo decreto 33, la disciplina contenuta nella det. 8/2015 potrà subire

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variazioni, in quanto dovrà necessariamente tenere conto delle modifiche introdotte dalla novella normativa.

4.2 L’attività di vigilanza

L’attività di vigilanza va correlata alla ratio della legge 190, come dettagliata nel PNA dal quale emerge la fondamentale distinzione tra la nozione di “prevenzione del rischio” da un lato, e quella di “repressione della corruzione” dall’altro.

In tale ottica, il PTPC di una amministrazione deve contenere quegli accorgimenti organizzativi finalizzati ad evitare il verificarsi di episodi corruttivi, eventuali e futuri, ovvero a ridurre l’impatto che gli stessi potrebbero avere sull’organizzazione.

Il PTPC, pertanto, lungi dal configurarsi come un mezzo di investigazione/sanzione di condotte illecite, è da intendersi come uno strumento in grado di ridurre, nel tempo, la possibilità di accadimento di eventi ascrivibili alla nozione ampia di corruzione, fatta propria dal PNA. Conseguentemente, considerata la natura delle misure anticorruzione previste dal legislatore, anche l’attività di vigilanza è, tendenzialmente, orientata non, in chiave repressiva, all’individuazione di specifici atti o comportamenti illeciti, ma alla verifica dell’avvenuta previsione e attuazione di presidi organizzativi idonei a prevenirli; pertanto, essa si sviluppa attraverso la verifica complessiva sulle modalità con le quali le amministrazioni gestiscono il rischio nell’area specifica alla quale va ricondotto l’evento considerato.

L’attività di vigilanza sulle PA e sugli altri soggetti tenuti al rispetto delle norme in materia di prevenzione della corruzione è attivata d’ufficio o su segnalazione.

Nell’anno 2015 l’attività di vigilanza d’ufficio è stata svolta in esito delle visite ispettive svoltesi presso il MISE, il Comune di Palermo, il Comune di Ancona e Roma Capitale.

Ulteriore attività svolta d’ufficio ha riguardato il rispetto delle norme in materia di prevenzione della corruzione da parte degli ordini professionali.

La vigilanza su segnalazione è stata senz’altro quella che ha maggiormente impegnato l’Autorità. Nel complesso, nel corso del 2015 sono stati avviati 929 procedimenti, dei quali 223 sono stati definiti dal Consiglio nel merito:

 115 sono riconducibili ad adempimenti di cui alla l. 190/2012. Tali procedimenti hanno avuto a oggetto la discordanza tra le misure di prevenzione adottate dagli enti vigilati e la reale condotta amministrativa e hanno dato luogo all’avvio di procedimenti volti all’adozione di provvedimenti di ordine finalizzati a garantire il rispetto da parte delle amministrazioni delle misure di prevenzione della corruzione;

 54 sono relativi a procedimenti ex d.lgs. 39/2013 (sussistenza di eventuali cause di inconferibilità e/o incompatibilità di cariche e incarichi), per i cui dettagli si rimanda al par. 4.4;

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 54 sono procedimenti sanzionatori avviati ai sensi del Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell’ANAC, di cui 10 conclusi con l’irrogazione della sanzione prevista nel citato Regolamento.

Le segnalazioni hanno riguardato per circa il 42% i comuni; il resto ha avuto a oggetto, per lo più, enti di rilievo locale. Le società partecipate e gli enti sono stati principalmente oggetto di procedimenti ai sensi del d.lgs. 39/2013.

L’elevato numero di segnalazioni riferibili a comuni può avere un duplice significato: da un lato la previsione e l’attuazione di misure di prevenzione della corruzione sembrerebbero essere rivolte alle amministrazioni più prossime ai cittadini, dall’altro l’elevato numero dei comuni condiziona fortemente il dato percentuale.

Le segnalazioni hanno riguardato principalmente gli incarichi professionali, le progressioni di carriera, il conflitto di interessi, la rotazione del personale e l’omessa adozione di PTPC, PTTI e Codici di comportamento.

Le regioni sulle quali si è concentrato il maggior numero di segnalazioni sono nell’ordine: Campania (19,5%), Lazio (12,9%), Sicilia (10,8%) e Puglia (7,9%), come anche rappresentato nella figura 4.1.

Figura 4.1 Distribuzione delle segnalazioni per regione (2015)

Fonte: ANAC

Poco più del 50% dei procedimenti avviati nel corso del 2015 ha riguardato la discordanza tra le misure di prevenzione adottate dagli enti e la reale condotta amministrativa. Essi hanno dato luogo, secondo quanto stabilito dalla delibera n. 146 del 18 novembre 2014, all’avvio di procedimenti volti all’adozione di provvedimenti di ordine finalizzati a garantire il rispetto, da parte degli enti obbligati, delle misure di prevenzione della corruzione. Come si vedrà nel par. 4.3, il fondamento di tale tipo di provvedimento è dato dall’interesse pubblico inteso come

0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00%

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rapido ristabilimento di situazioni di legalità; con esso le amministrazioni sono aiutate a ripristinare rapidamente l’interesse pubblico non curato conseguentemente a propri comportamenti. Momento finale del procedimento è dato dalla pubblicazione del provvedimento sul sito dell’Autorità e su quello dell’amministrazione destinataria, rappresentando pertanto una sorta di “sanzione reputazionale”.

La conferma della capacità dissuasiva/collaborativa del potere di ordine dell’ANAC è costituita dal fatto che dei 115 procedimenti avviati e definiti in Consiglio dell’Autorità solo uno ha avuto come esito finale l’adozione di un provvedimento di ordine, laddove in tutti gli altri casi le amministrazioni si sono conformate alle richieste dell’Autorità nel corso dell’istruttoria.

Nell’ambito delle attività in materia di vigilanza anticorruzione rientra anche la gestione delle comunicazioni ricevute dalle Procure ai sensi dell’art. 129, co. 3, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), come modificato dall’art. 7, co. 1, l. 69/2015 di cui si è parlato nel par. 1.1.3, a seguito delle quali l’Autorità procede alla verifica del corretto adempimento degli obblighi di rotazione dei dipendenti interessati. In questi casi, infatti, l’amministrazione, ricevuta la notizia formale di avvio del procedimento penale e/o in caso di avvio di procedimento disciplinare a carico di un dipendente per fatti di natura corruttiva - ferma restando la possibilità di adottare la sospensione del rapporto - procede:

 per il personale dirigenziale, alla revoca dell’incarico in essere e al passaggio ad altro incarico, con atto motivato, ai sensi del combinato disposto dell’art. 16, co. 1, lett. l-quater, e dell’art. 55-ter, co. 1, del d.lgs. 165/2001;

 per il personale non dirigenziale, all’assegnazione ad altro servizio ai sensi del citato art. 16, co. 1, lett. l-quater.

Allo scopo, l’Autorità rivolge ai RPC delle amministrazioni interessate, inviata per conoscenza all’organo di governo, la richiesta di produrre una dettagliata relazione informativa e idonea documentazione in merito alle situazioni di cui ha avuto notizia ed alle iniziative intraprese.

4.2.1 Fattispecie ricorrenti e vigilanza puntuale

Nel documento Relazione annuale 2015 (pagine 106-111)