Casi e fattispecie particolari
4.3 I provvedimenti sanzionatori e il potere di ordine
4.4.2 Le misure di pre-employment
Inconferibilità da condanna penale per incarico in un ente di diritto privato in controllo pubblico
L’Autorità ha affrontato la questione concernente l’applicazione della causa di inconferibilità derivante da condanna penale a coloro che rivestono la carica di direttore generale ovvero un incarico amministrativo di vertice in un ente di diritto privato in controllo pubblico.
Al riguardo è stato osservato, da un lato, che nella definizione di “incarichi amministrativi di vertice” di cui all’art. 1, co. 2, lett. i), del d.lgs. 39/2013 è da includersi l’incarico di direttore generale: la norma, infatti, ricomprende gli incarichi di livello apicale, quali quelli di segretario generale, capo dipartimento, direttore generale o posizioni assimilate nelle PA e negli enti di
Autorità Nazionale Anticorruzione
diritto privato in controllo pubblico, conferiti a soggetti interni o esterni all’amministrazione o all’ente che conferisce l’incarico, che non comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione. Dall’altro, l’art. 3 del decreto 39 prescrive che a coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal Capo I del Titolo II del libro secondo del Codice Penale, non possono essere attribuiti incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali. Tuttavia, il citato art. 3 si riferisce ai soli incarichi di vertice ricoperti presso le amministrazioni statali regionali e locali (lett. a)), mentre per gli enti privati in controllo pubblico il legislatore delegato ha considerato solo i semplici incarichi dirigenziali esterni e interni (lett. c)), escludendo, invece, quelli di vertice.
Nel caso esaminato, l’Autorità, pur rilevando che l’impostazione non è del tutto conforme con la ratio della disciplina di cui al medesimo decreto 39 né con la legge 1907, si è pronunciata nel senso di ritenere inapplicabili, in base al tenore letterale dell’art. 3, le disposizioni ivi contenute, ritenendo opportuno al contempo segnalare al Governo e al Parlamento la lacuna normativa emersa dalla fattispecie esaminata, come meglio descritto nel par. 2.1.1.
Inconferibilità dell’incarico nel caso di un direttore generale proveniente da un consorzio
L’incarico di direttore generale di un ente locale ovvero di amministrazione regionale deve essere annoverato, come già previsto nel caso poc’anzi esaminato, in quello di “incarico amministrativo di vertice”.
Per ritenere configurata l’ipotesi di inconferibilità di cui all’art. 7, co. 2, lett. a), del decreto 39, tuttavia, è stato necessario verificare in quale delle definizioni previste dall’art. 1 del medesimo decreto deve essere annoverato un consorzio originariamente costituito ai sensi dell’art. 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), attualmente sostituito dall’art. 31 del TUEL, tra i comuni per la gestione associata del servizio di trasporti pubblici locali. Tali enti sono assimilati alle aziende speciali di cui all’art. 114 del medesimo TUEL, secondo cui l’azienda speciale è ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, ed è legato all’amministrazione che la istituisce da stretti vincoli relativi alla formazione degli organi, all’indirizzo, al controllo ed alla vigilanza. Attraverso l’azienda speciale, infatti, l’ente locale persegue i propri fini istituzionali, che consistono nell’erogazione di un servizio pubblico, secondo principi di economicità, efficacia ed efficienza gestionale.
È stato osservato che sotto il profilo sostanziale le aziende speciali, così come le società in-house, possono essere considerate come enti che rappresentano delle vere e proprie articolazioni della PA, atteso che gli organi di queste sono assoggettate a vincoli gerarchici facenti capo alla medesima amministrazione. In altri termini, seguendo anche la
7 In via generale, la legge 190, richiedeva l’applicazione del criterio della non conferibilità per coloro che sono stati condannati e con riferimento a tutti gli incarichi dirigenziali, di responsabilità amministrativa.
Autorità Nazionale Anticorruzione
giurisprudenza in materia, le aziende speciali costituite per la gestione di servizi pubblici locali economici sono enti pubblici titolari di impresa, che agiscono con gli strumenti di diritto comune.
Sulla base delle caratteristiche sopra delineate è stato escluso che le aziende speciali costituite per la gestione dei servizi pubblici locali possano rientrare nella nozione, individuata di “ente di diritto privato in controllo pubblico ai sensi dell’art. 2359 del Codice Civile”; al contrario, è stato invece affermato che tali aziende rientrano nella definizione di ente pubblico ossia tra “gli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla PA che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati” (art. 1, co. 2, lett. b), del decreto 39).
L’Autorità ha più volte evidenziato che i consorzi costituiti ai sensi dell’art. 31 del TUEL sono riconducibili alla nozione di ente pubblico di cui all’art. 1, co. 2, lett. b), del decreto 39 (si vedano in proposito, l’orientamento n. 23 del 23 settembre 2015 e il parere sulla normativa del 30 aprile 2015); non potendosi annoverare il suddetto consorzio nella definizione di cui all’art. 1, co. 2, lett. c), del d.lgs. 39/2013, ma dovendosi bensì considerare come un ente pubblico, ai sensi dell’art. 1, co. 2 lett. b) del d.lgs. 39/2013, l’Autorità ha ritenuto non sussistente l’ipotesi prospettata di inconferibilità ai sensi del decreto 39, nel caso in cui l’incarico dirigenziale di vertice sia conferito a colui che, in provenienza, è stato un amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico, ma non nel caso in cui il soggetto nominato sia stato un amministratore di ente pubblico.
La sospensione dell’incarico in corso di conferimento e i poteri di intervento dell’ANAC
L’Autorità ha affrontato la delicata questione della sospensione in corso di conferimento dell’incarico dirigenziale esterno assegnato nel medesimo settore nei confronti del quale l’interessato aveva esercitato attività di consulenza stabile nei due anni precedenti.
Nello specifico, all’esito di un procedimento di ricerca di professionalità rivolto a soggetti esterni a un’amministrazione regionale per l’affidamento dell’incarico di dirigente dell’area gestione delle procedure di gara della direzione regionale centrale acquisti di una regione, il candidato prescelto, nel curriculum presentato, dichiarava di essere partner di una “S.r.l.” e di prestare la propria attività di consulenza presso la medesima regione, garantendo il supporto strategico alla medesima direzione regionale centrale acquisti e alle aree di interesse presso cui avrebbe ricoperto l’incarico dirigenziale esterno. Nelle more della stipula del contratto individuale di lavoro a tempo pieno e determinato, è stato chiesto all’Autorità di intervenire ritenendo sussistente una situazione di inconferibilità di cui all’art. 4 del decreto 39.
L’Autorità ha deliberato la sussistenza dell’ipotesi di inconferibilità prevista dall’art. 4, co. 1, lett. c), del decreto 39, nei confronti dell’interessato, in relazione al quale era in corso di conferimento un incarico dirigenziale esterno, in quanto il medesimo svolgeva, a favore della regione, un’attività professionale di consulenza come socio della società che erogava servizi di consulenza specializzata a favore della direzione regionale centrale acquisti della regione
Autorità Nazionale Anticorruzione
stessa. La procedura di conferimento dell’incarico è stata sospesa ai sensi dell’art. 16, co. 2, del decreto 39, attesa l’accertata situazione di inconferibilità, senza dar luogo, dunque, alla sottoscrizione di alcun contratto individuale di lavoro.
Inconferibilità del commissario straordinario di azienda sanitaria
Il caso esaminato dall’Autorità ha riguardato l’applicabilità della norma di cui all’art. 8, co. 1, del decreto 39 al commissario straordinario di un’azienda sanitaria, già candidato sindaco di un comune nei due anni precedenti al conferimento dell’incarico. La norma in esame prevede che «gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali non possono essere conferiti a coloro che nei cinque anni precedenti siano stati candidati in elezioni europee, nazionali, regionali e locali, in collegi elettorali che comprendano il territorio della ASL».
Il primo aspetto esaminato dall’Autorità è il carattere tassativo o meno delle cause di inconferibilità, previste non solo dalla norma di cui all’art. 8 ma anche dalle inconferibilità/incompatibilità contemplate da tutte le disposizioni del decreto 39. In linea di principio, l’Autorità ha concordato con la necessità di evitare interpretazioni analogiche della disposizione in esame, nonché di tutte le altre disposizioni contenute nel decreto, anche se le stesse non necessariamente devono essere considerate eccezionali in quanto sono diretta attuazione dei principi costituzionali, in particolare dell’art. 97 della Cost.. Si tratta, comunque, di norme limitative di facoltà soggettive di accesso a “uffici pubblici”, garantite dall’art. 51, co. 1, della Cost. e per questa ragione insuscettibili di analogia. Tale affermazione di principio ha imposto, quindi, di ritenere che la causa di inconferibilità di cui all’art. 8, co. 1 sia applicata ai soli soggetti che nell’ambito delle ASL svolgono le funzioni di “direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo”. L’impossibilità di applicare ad altre figure la causa di inconferibilità è, altresì, confermata dalla lettura dei principi di delega, contenuti nel co. 50, dell’art. 1, della l. 190/2012, secondo cui fra gli incarichi da ricomprendere nella disciplina delle inconferibilità/incompatibilità vi debbono essere anche «gli incarichi di direttore generale, sanitario ed amministrativo delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere», con il chiaro ed inequivoco obiettivo di voler, per le aziende sanitarie, individuare le limitazioni alle assunzioni di quegli specifici incarichi.
Quanto detto, però, non impone affatto di utilizzare un rigido criterio nominalistico da parte dell’interprete e, quindi, di far riferimento al solo, mero ruolo formale assunto dai soggetti nell’ambito dell’azienda sanitaria. Un’impostazione di tal tipo, oltre ad apparire rigidamente formalistica, consentirebbe un facile aggiramento di una norma che, come si è osservato, è di diretta attuazione di un fondamentale principio costituzionale, cioè del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione. Basterebbe, cioè, cambiare il nome formale per rendere inapplicabile una norma che svolge una funzione di prevenire conflitti di interesse e di evitare che attraverso essi l’immagine della PA risulti compromessa.
Autorità Nazionale Anticorruzione
L’Autorità ha, quindi, valutato di dover esaminare in concreto se le funzioni svolte potessero rientrare in una di quelle tipologie indicate dal legislatore. La necessità di far riferimento alle attività in concreto svolte deriva, oltre che da un generale principio di razionalità che deve guidare l’interprete, anche dalla norma delegata, che non fa generico riferimento al ruolo formale assunto all’interno delle aziende sanitarie ma all’“incarico” svolto, incentrando, cioè, l’attenzione sulle funzioni concretamente assunte.
Affermato, dunque, il principio secondo cui per stabilire se ad un soggetto deve essere riconosciuto il ruolo di direttore generale si è proceduto a verificare le specifiche funzioni e non la formale denominazione data dall’autorità che attribuisce l’incarico, valutando se il commissario straordinario dell’azienda sanitaria possa essere ritenuto a tutti gli effetti un direttore generale. Facendo riferimento alle norme giuridiche che prevedono la nomina del commissario straordinario e all’atto di nomina del commissario in questione, l’Autorità ha concluso che anche a tale figura si estendono le ipotesi di inconferibilità previste a carico del direttore generale di un’azienda sanitaria ai sensi dell’art. 8 del decreto 39. Sul punto, in senso conforme all’interpretazione dell’ANAC, si è pronunciato il TAR Lazio, con l’ordinanza cautelare n. 5117/2015 del 18 novembre 2015.
Applicazione della sanzione per l’accertamento dell’inconferibilità e la conseguente nullità dell’incarico È stata posta all’attenzione dell’Autorità la questione relativa all’applicazione della sanzione ai componenti dell’organo che ha proceduto al conferimento di un incarico, con particolare riferimento al profilo dell’elemento “psicologico”, nonché all’individuazione degli incarichi ricadenti nell’ambito di applicazione del decreto 39.
L’Autorità ha più volte evidenziato che la normativa citata pone diversi problemi ermeneutici ed applicativi (come anche osservato negli atti di segnalazione 4 e 5/2015 di cui si è parlato nel par. 2.1.1), auspicando un intervento emendativo teso a sciogliere i principali nodi interpretativi sino ad oggi sorti.
La competenza all’applicazione della sanzione ex art. 18 del d.lgs. 39/2013 è posta in capo al RPC dell’ente interessato, il quale, qualora ritenga configurabile una violazione del decreto, accerta, ai sensi dell’art. 15, che la nomina sia inconferibile o incompatibile, con la conseguente nullità dell’incarico e la valutazione se ad essa debba conseguire l’applicazione delle misure inibitorie di cui al medesimo articolo.
Malgrado il legislatore sembri aver costruito come automatica la sanzione inibitoria, l’Autorità ha ritenuto che essa non possa essere irrogata senza che sia apprezzato anche il profilo psicologico di “colpevolezza” da parte dell’autore, pena, tra gli altri, la sua incostituzionalità per contrasto ai principi di razionalità e pari trattamento, di cui all’art. 3 Cost.. Tale profilo psicologico potrà essere costituito dal dolo o anche dalla colpa, ai sensi dell’art. 3 della l. 689/1981.
Ai fini della valutazione del profilo psicologico, l’Autorità ha ritenuto non sufficiente il rilascio da parte del nominando della dichiarazione di assenza di cause di inconferibilità ex art.
Autorità Nazionale Anticorruzione
20 del decreto 39 per far ritenere insussistente la colpa dell’autore della nomina. La dichiarazione, che richiama un momento di responsabilità di un soggetto a cui si sta per conferire un incarico pubblico, non può far venir meno il dovere di accertare i requisiti necessari alla nomina ed in particolare un requisito - quello dell’assenza di cause di inconferibilità ed incompatibilità - che rappresenta una chiara e concreta esplicazione del principio costituzionale di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 e che richiede, quindi, da parte dell’amministrazione conferente una particolare cautela e diligenza. Il RPC deve, quindi, apprezzare l’esistenza di profili colposi, verificando se, in base agli atti conosciuti o conoscibili, l’autore del provvedimento di nomina avrebbe potuto - anche con un accertamento delegato agli uffici e/o con una richiesta di chiarimenti al nominando - conoscere la causa di inconferibilità/incompatibilità.
All’esito di questa valutazione, il RPC deve concludere il procedimento mediante un provvedimento che, con congrua anche se sintetica motivazione, dichiari in via definitiva la nullità del conferimento e l’eventuale sussistenza delle responsabilità degli organi nominanti. Con la comunicazione di questo provvedimento all’interessato opera l’inibizione per tre mesi dalle nomine, periodo quest’ultimo che non potrà essere in alcun modo graduato, atteso che il legislatore ha chiaramente optato per una sanzione fissa.
Il predetto provvedimento oltre ad essere pubblicato sul sito istituzionale dell’amministrazione dovrà essere trasmesso all’ANAC sia in funzione dell’esercizio dei poteri di vigilanza di cui all’art. 16 del decreto 39 sia in funzione dei più generali poteri di vigilanza che la legge 190 riserva all’Autorità sull’attività dell’amministrazione e del RPC.
Questioni interpretative ed applicative delle disposizioni contenute nell’art. 3, co. 1, lett. c), del decreto 39 Il Segretario Generale di un Comune ha presentato all’Autorità una richiesta di parere in merito ai rapporti tra la disciplina dell’art. 3, co. 1, lett. c), del d.lgs. 39/2013 e quella dell’art. 166 del Codice Penale. Più precisamente, in qualità di RPC dell’ente, il richiedente ha contestato al responsabile del settore tecnico edilizia, urbanistica e lavori pubblici del Comune la sussistenza della causa di inconferibilità di cui all’art. 3, co. 1, lett. c), del decreto 39. Nei confronti di quest’ultimo, infatti, è stata emessa sentenza di condanna non definitiva alla pena della reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici con beneficio della sospensione condizionale della pena principale ed accessoria.
Nell’esaminare la questione, l’Autorità ha confermato quanto già espresso con gli orientamenti n. 54 e 58 del 2014, secondo cui non rileva ai fini dell’inconferibilità di incarichi in caso di condanna, anche non definitiva, per reati contro la PA, la concessione della sospensione condizionale della pena.
Le pronunce dell’Autorità si fondano sull’assunto che il fine perseguito dal legislatore è proprio quello di evitare che l’esercizio della funzione amministrativa avvenga per mano di soggetti che abbiamo dimostrato la propria inidoneità alla spendita di poteri pubblici in conformità ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost..
Autorità Nazionale Anticorruzione
L’inconferibilità, quindi, non costituisce una misura di natura sanzionatoria penale o amministrativa ma è la condizione in cui viene a trovarsi colui che è stato condannato, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati commessi contro la PA. Si tratta, in altri termini, di una condizione soggettiva del reo conseguente a una valutazione compiuta ex ante direttamente dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità, senza che sia rimesso all’amministrazione alcun margine di apprezzamento.