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I limiti alla competenza statale in materia procedurale

S EZIONE I I LIMITI ALL ' AUTONOMIA PROCEDURALE DEGLI STATI IN MATERIA DI DIRITTI UMANI E

3. I limiti alla competenza statale in materia procedurale

Proprio alla luce dei principi generali appena illustrati, la Corte di giustizia, in qualità di centro di elaborazione e di sintesi dei principi comuni che reggono e rendono coerente l’intero sistema giuridico dell’UE, ha limitato e relativizzato la libertà organizzativa degli Stati attraverso la valutazione della compatibilità comunitaria di diverse norme di procedura nazionale89; si vera sunt exposita, qualunque sia l’interpretazione del carattere giuridico della nozione di autonomia procedurale nazionale, la competenza statale in materia procedurale, al pari di quanto accade nel sistema CEDU, per quanto possa essere ampia non equivale al riconoscimento di un «dominio riservato» ai sensi dell’art. 2, § 7 della Carta della Nazioni Unite.

Tuttavia, la valutazione delle norme di procedura nazionale operata dalla Corte di giustizia differisce notevolmente da quella esercitata dalla Corte EDU, non solo per le diverse modalità procedurali attraverso le quali le due Corti si esprimono, ma soprattutto per i diversi criteri di valutazione impiegati per verificare la compatibilità delle disposizioni nazionali con i rispettivi ordinamenti.

In particolare, accanto al controllo di proporzionalità e di legittimità formale










88Cfr. Corte giust. 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, in Racc, 1978, p. 629.

89 Sebbene il sistema giurisdizionale dell’UE si articoli su due livelli, come noto, quest’ultimo è

pur sempre unitario e retto da principi comuni. S. Cassese parlava già della Comunità europea come un

«unico sistema giudiziario, prima ancora di un unico sistema giuridico» in ragione del legame offerto dal

rinvio pregiudiziale. Cfr. S. CASSESE, Il diritto amministrativo comunitario e la sua influenza sulle amministrazioni pubbliche nazionali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, M.P. CHITI, G. GRECO,I Parte generale, Milano, 1997, p. 22 ss.

che, come vedremo nei capitoli successivi, emerge nella valutazione del rispetto del principio di tutela giurisdizionale piena ed effettiva, la Corte di giustizia ha valutato la compatibilità delle disposizioni procedurali nazionali con il diritto dell’UE sulla base di tre principi che si articolano in altrettanti controlli di adeguatezza del tutto tipici del sistema dell’UE: il principio di equivalenza (para. 3.1); il principio di effettività (para. 3.2); ed il principio di non discriminazione (3.3)90. Controlli di adeguatezza che producono effetti che si presentano come determinati dal carattere unico e sui generis del sistema giuridico dell’UE (para. 3.4).

3.1 Il principio di equivalenza

Prendendo le mosse dal principio di equivalenza, secondo quanto si ricava dalle sentenze Rewe e San Giorgio, il controllo che ne discende costituisce la prima verifica di una norma procedurale nazionale che pone problemi di compatibilità con i principi generali del diritto dell’Unione europea.

La Corte di giustizia, in particolare, si è espressa per la prima volta in tema di limiti dei procedimenti amministrativi nazionali nella sentenza Rewe, che riguardava la restituzione d’imposte illegittimamente percette91; considerando che i termini stabiliti in Germania per la restituzione di siffatte imposte erano già decorsi, la Corte di Cassazione amministrativa federale aveva rinviato la questione sulla compatibilità di siffatte disposizioni con il diritto comunitario. In proposito, la Corte ha affermato che per le garanzie delle posizioni giuridiche che le persone possono derivare dalle disposizioni comunitarie aventi effetto diretto, in assenza di una regolamentazione comunitaria della materia, le forme della tutela giurisdizionale (inclusive dell’individuazione della giurisdizione competente e delle modalità procedurali) sono rimesse al legislatore nazionale; allo stesso tempo, la Corte ha posto due condizioni: che i detti procedimenti non possono essere aggravati rispetto alle analoghe procedure di diritto nazionale; e che










90 La formulazione dei criteri di valutazione dell’adeguatezza delle norme procedurali nazionali è

tradizionalmente ricondotta a due note pronunce: la sentenza Rewe del 16 dicembre 1976 (cfr. Corte giust. 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, in Racc, 1976, p. 1989); la sentenza San Giorgio, del 9 novembre 1983 (cfr. Corte giust. 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio, in Racc, 1983, p.3595).

91 Le imposizioni in questione erano in contrasto con il preveggente art. 13 del Trattato, dunque,

configgevano con un divieto che era immediatamente efficace e che conseguentemente fondava dei diritti per i cittadini comunitari, che i giudici nazionali hanno il dovere di tutelare.

le norme nazionali ed i termini ivi previsti non possono rendere praticamente impossibile la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento comunitario92.

La prima di tali condizioni, indicata come «principio di equivalenza» rispetto ai mezzi di ricorso nazionali, stabilisce che «le condizioni … previste dalle legislazioni

nazionali… non possono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna»93. Con questo primo criterio, evidentemente, si vuole evitare che le situazioni soggettive conferite dal diritto dell’UE siano tutelate in modo meno efficace rispetto a quelle conferite da norme nazionali, pregiudicando, così, l’applicazione effettiva del diritto dell’UE94.

L’organo competente a porre in essere una tale comparazione è, in linea di principio, il giudice nazionale95, in virtù del fatto che è quest’ultimo a disporre delle conoscenze procedurali interne necessarie a una tale valutazione96; tuttavia, la Corte di giustizia, in quanto organo al vertice del sistema giurisdizionale dell’UE, è pur sempre competente a fornire alle giurisdizioni nazionali gli elementi relativi all’interpretazione del diritto dell’UE97, o a formulare osservazioni che li guidi nella loro valutazione98. A

tale titolo, in particolare, la Corte di giustizia ha stabilito che la valutazione del giudice nazionale si deve articolare su un duplice piano: determinare i criteri che permettono d’identificare un ricorso analogo di natura interna; in secondo luogo, verificare se le modalità che reggono il ricorso analogo siano più o meno favorevoli rispetto a quelle che si applicano al ricorso fondato sulla violazione del diritto dell’UE.

La determinazione dei “ricorsi analoghi” nel diritto interno si rileva un’operazione delicata. Così, una legislazione nazionale che si applica a due tipi di domande comparabili, l’una fondata sul diritto dell’UE, l’altra sul diritto nazionale, non è di per sé «suscettibile di essere il fondamento appropriato della comparazione al fine










92 Cfr. Rewe, causa 33/76, del 16 dicembre 1976, cit., punto 5 e 6; Comet, causa 45/76, del 16

dicembre 1976, in Racc, 1976, p. 2043, punto14.

93 La formula appena citata, è stata ripresa da molte altre pronunce della Corte di giustizia; tra le

tante, a titolo esemplificativo, si veda: corte giust. 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, in Racc, 1997, p. I-4307.

94 Per un quadro generale sull’applicazione del principio di equivalenza nella giurisprudenza

della Corte di giustizia, si veda, a titolo esemplificativo: V.HATZOPOULOS , Le principe communautaire d’équivalence et de reconnaissance mutuelle dans la libre prestation de services, Athènes/Bruxelles,

1999.

95 Cfr. Corte giust. 1 dicembre 1998, causa 326/96, B.S. Levez et T.H. Jennings (Harlow Pools)

Ltd, in Racc, 1998, p. I-7835, punto 39; causa C-261/95, Palmisani, punto 33.

96 Cfr. Corte giust. 16 maggio 2000, causa C-78/98, Shirley Preston, in Racc, 2000, p. I-3201,

punto 56; causa 326/96, B.S. Levez et T.H. Jennings (Harlow Pools) Ltd, cit., punto 43.

97 Cfr. Levez et T.H. Jennings (Harlow Pools) Ltd, cit., punto 40. 98 Cfr. causa C-261/95, Palmisani, cit., punto 33.

di assicurare il rispetto del principio di equivalenza»99, in quanto si tratterebbe, secondo la Corte, della stessa via di ricorso e non di un ricorso analogo100; diversamente, «il rispetto del principio dell'equivalenza presuppone che la norma

controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull'inosservanza del diritto interno aventi un oggetto e una causa analoghi»101. Tale esigenza, dunque, conduce il giudice nazionale a

verificare l’analogia dei ricorsi di cui trattasi guardando al loro «oggetto, alla loro finalità e ai loro elementi essenziali»102; sulla base di un analisi prettamente sostanziale, di conseguenza, se ne ricava che il principio di equivalenza non richiede agli Stati membri di estendere le loro regole procedurali più favorevoli a tutte le azioni fondate sul diritto dell’UE, ma unicamente in relazione alle azioni che presentino oggetto, finalità e elementi essenziali analoghi. In materia di tributi, ad esempio, la Corte ha stabilito che «il rispetto del principio di equivalenza presuppone, per parte sua, che la

modalità controversa si applichi indifferentemente, per lo stesso tipo di tasse o canoni, ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull'inosservanza del diritto interno. Viceversa, questo principio non può essere interpretato nel senso che obblighi uno Stato membro a estendere a tutte le azioni di ripetizione di tasse o canoni riscossi in violazione del diritto comunitario la sua disciplina interna più favorevole in materia di rimborso»103.

Quanto al carattere più favorevole del ricorso interno, il giudice nazionale dovrà considerare il ruolo della norma procedurale nell’insieme del procedimento, nonché lo svolgimento e le peculiarità dello stesso104. Ciò significa che il giudice dovrà operare un










99 Cfr. causa 326/96, B.S. Levez et T.H. Jennings (Harlow Pools) Ltd, punto 48. 100 Ibidem, punto 47, e causa C-78/98, Shirley Preston, punto 51.

101 Cfr. causa 326/96, B.S. Levez et T.H. Jennings (Harlow Pools) Ltd, punto 41. Si veda anche,

mutatis mutandis, sentenza 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis, in Racc., 1998, p. I-04951, punto

34.

102 Cfr. Corte giust. 14 dicembre 1995, von Schijndel, causa C 430/93, in Racc. I-4705. Così, ad

esempio, la Corte di giustizia, in ottemperanza di tali criteri, ha ritenuto, nella sentenza Singhara e

Radion, che non possano essere comparati i mezzi di ricorso previsti riguardo a violazioni del diritto

d’ingresso commesse da un cittadino di un altro Stato membro, con quelli consentiti per il caso in cui un’analoga violazione sia posta in essere da un cittadino dello Stato del foro, sostenendo che «il diritto di

ricorso concesso ai cittadini degli altri Stati membri nelle situazioni contemplate dalla direttiva… non può essere valutato con riferimento al ricorso apprestato ai cittadini per quanto riguardo il loro diritto d’ingresso. Queste due situazioni, infatti, non sono in alcun modo assimilabili. Pertanto, l’obbligo imposto agli Stati membri è ottemperato se i cittadini degli Stati membri dispongono degli stessi mezzi di ricorso esperibili in tale Stato membro contro gli atti amministrativi in generale» (Corte giust. 17 giugno

1997, causa C-65/95, Singhara e Radion, in Racc,1997, p. I-3343, punto 30).

103 Cfr. sentenza Edis, cit., punto 36, e sentenza 27 marzo 1980, cause riunite 66/79, 127/79 e

128/79, Salumi, in Racc., 1980, p. 1237, punto 21.

104 Nel caso von Schijndel, in particolare, la Corte sottolinea che, sotto tale profilo, si devono

apprezzamento in concreto, valutando non il contenuto della norma procedurale, ma il risultato al quale l’applicazione della norma stessa conduce, non valutandola isolatamente ma nel contesto generale. Ad esempio, non basterà che le stesse modalità procedurali siano applicabili a tutte e due i tipi di domande analoghe, ma bisognerà anche considerare se l’interessato debba affrontare spese e attese ulteriori in rapporto ad un attore il quale, basandosi su un diritto di natura interna che possa essere considerato analogo, possa proporre un ricorso più semplice e, in teoria, economicamente meno oneroso105.

L’applicazione del principio di equivalenza, dunque, si realizza attraverso una complessa valutazione di natura prettamente sostanziale che è largamente esercitata dal giudice nazionale, il quale è «meglio piazzato» rispetto al giudice di Lussemburgo per operare una comparazione del tipo sopra richiamata; la Corte di giustizia, in linea di principio, non potrà che limitarsi a formulare principi, e a fornire indicazioni che facilitino l’esame del giudice nazionale106. In ogni caso, avremo modo di approfondire nei capitoli successivi, e con riferimento all’azione risarcitoria, l’applicazione del principio di equivalenza da parte del giudice nazionale e del giudice europeo; in particolare, avremo modo di porre in evidenza le implicazioni che l’applicazione di tale principio comportano in temini di salvaguardia delle competenza statali e di armonizzazione dei sistemi di procedura nazionali.

3.2 Il principio di effettività

La seconda condizione posta dalla sentenza Rewe, indicata come principio di effettività, stabilisce che le norme nazionali e i termini ivi previsti non possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela delle situazioni conferite dal diritto dell’UE.

La Corte di giustizia ha chiarito i termini d’applicazione di tale principio e, attraverso la formulazione di un’analisi comparabile a quella utilizzata nel quadro del concetto di equivalenza, ha specificato due importatni profili del controllo che discende







 tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento. A tal proposito si vedano anche: la sentenza Peterbroeck, causa C-312/93, del 14 dicembre 1995, cit.; e la sentenza Levez, causa 326/96, del 1 dicembre 1998.

105 Cfr. sentenza della Corte di giustizia del 16 maggio 2000, causa C-78/98, Shirley Preston,

cit., punto 60.

106 Cfr. P.GIRERD, Les principes d’équivalence et d’effectivité: encadrement ou désencadrement

dal principio in commento: in primo luogo, i giudici del Kircheberg hanno precisato le modalità di valutazione della norma procedurale che si assume in conflitto con il diritto dell’UE; in secondo luogo, sono stati posti in evidenza i parametri sulla base dei quali stabilire quando le norme nazionali rendono praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela delle situazioni conferite dal diritto dell’UE.

L’organo competente a porre in essere una tale valutazione rimane, in prima battuta, il giudice nazionale; tuttavia, rispetto alla valutazione del principio di equivalenza, nell’apprezzamento del principio di effettività, il giudice nazionale sembra avere un margine di potere più ristretto107. Nei casi in cui la Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi, il giudice di Lussemburgo ha operato un’analisi particolarmente precisa del contenuto delle norme procedurali nazionali contestate108, lasciando nel dispositivo poco spazio al margine di apprezzamento del giudice nazionale109; a tal riguardo, ad esempio, il dispositivo della sentenza Levez è rivelatore della portata, a volte molto differente, che il controllo del giudice nazionale riveste a seconda del principio al quale si applica. L’esame di una regola nazionale rispetto al principio di equivalenza , in particolare, conduce la Corte a concludere con la formula: «Il diritto

comunitario osta all'applicazione di una norma di diritto nazionale che (..). Spetta al giudice nazionale valutare se ricorra un’ipotesi del genere» (punto 2 del dispositivo);

l’esame di una regola nazionale rispetto al principio di effettività, viceversa, lascia il posto a una formula molto più lapidaria: « Il diritto comunitario osta all'applicazione di

una norma di diritto nazionale (..)…», che non conclude con l’affermazione che spetta

al giudice nazionale operare la valutazione del caso (punto 1 del dispositivo).

Per quanto riguarda le modalità di valutazione, Il giudice nazionale dovrà collocare le disposizioni procedurali, di cui si contesta la compatibilità rispetto al diritto dell’UE, nel contesto generale del sistema di tutela giurisdizionale. Egli, quindi, dovrà










107 Sul diverso ruolo che il giudice nazionale svolge nella valutazione del principio di effettività

rispetto a quella operato con riferimento al principio di equivalenza, nel quadro di casi in cui si contestino norme procedurali nazionali, si veda: P. GIRERD, Les principes d’équivalence et d’effectivité: encadrement ou désencadrement de l’autonomie procédurale des Etats membres?, cit., pp. 80 e 81.

108 È il caso, ad esempio, delle sentenze: Peterbroeck, causa C-312/93, del 14 dicembre 1995,

cit., punto 15 e 20; e Van Schijndel e Van Veen, cause riunite C-430/93 e C431/93, del 14 dicembre 1995, cit., punto 20 e 21.

109 Nel dispositivo della sentenza Peterbroeck, ad esempio, troviamo la formula «il diritto

comunitario si oppone all’applicazione di una norma nazionale»; nella sentenza Palmisani, a sua volta,

la Corte ha stabilito che «Per quanto riguarda la compatibilità di una condizione relativa ai termini come

quella prevista dal decreto legislativo con il principio dell'effettività del diritto comunitario, si deve constatare che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza risponde, in linea di principio, a tale esigenza in quanto costituisce l'applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto…» (punto 28). In quest’ultimo caso, il giudice di Lussemburgo si è arrogato il potere di

fare affidamento sui principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quale la protezione del diritto alla difesa, il principio della certezza del diritto e del buon andamento della procedura110 e, allo stesso tempo, dovrebbe tenere conto anche della tutela garantita a livello comunitario111. Riguardo a tale modalità di valutazione, a partire dalla sentenza Peterbroeck e Van Schijndel, si è altresì sostenuto che la Corte abbia voluto introdurre una vera e propria rule of reason per stabilire quando le condizioni enunciate dalla giurisprudenza non risultino soddisfatte112, in particolare, riferendosi entrambi i casi a norme nazionali che limitavano o escludevano il potere del giudice nazionale di sollevare d’ufficio argomenti nuovi, ivi compresi quelli tratti dal diritto dell’UE, la Corte di giustizia non si è accontentata di constatare che l’applicazione di tali norme avrebbe comportato il rigetto delle istanze e quindi reso «praticamente impossibile o eccessivamente difficile» la tutela di diritti di derivazione comunitaria, ma ha inteso valutare anche il ruolo della norma procedurale in questione «nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso», offrendo così un’ulteriore opportunità per considerare la norma procedurale interna compatibile con il diritto dell’UE.

Quanto ai parametri sulla base dei quali stabilire quando le norme nazionali rendono «praticamente impossibile o eccessivamente difficile» la tutela delle situazioni conferite dal diritto dell’UE, il primo, e il più evidente, attiene alla presenza o meno di una via di ricorso; il principio dell’effettività comporta, anzitutto, l’esigenza che il sindacato giurisdizionale sia assicurato anche quando esso non sia previsto dall’ordinamento nazionale in questione. Una tale esigenza, ad esempio, è stata chiaramente affermata nella sentenza resa nel caso Borrelli, nel quale la Corte ha dichiarato che anche un atto preparatorio emanato da un autorità nazionale deve poter










110 Si vedano: Peterbroeck, causa C-312/93, del 14 dicembre 1995, cit., punto 14; Van Schijndel

e Van Veen, cause riunite C-430/93 e C431/93, del 14 dicembre 1995, cit., punto 19.

111 La Corte accenna quest’ultima questione nella sentenza Johnston, laddove, indicando che le

persone devono avere accesso a una corte indipendente e imparziale, ha precisato «comunitaria o nazionale» (cfr. Johnston, causa C-222/84, del 15 maggio 1986, cit., punti 13-21). Allorché non sussistano rimedi giurisdizionali nazionali, la Corte, invece di richiedere che mezzi di ricorso siano comunque assicurati dagli ordinamento degli Stati membri, potrebbe ammettere che la tutela giurisdizionale sia garantita a livello comunitario, anche attraverso un’interpretazione meno rigorosa dei presupposti di legittimazione attiva delle persone. Quest’ultima via potrebbe consentire una più efficace tutela del singolo, considerando che la decisione di proporre alla Corte la questione pregiudiziale di validità non spetta a quest'ultimo, ma è soggetta alla valutazione, in ordine alla sua pertinenza e necessità, effettuata dal giudice nazionale. Tuttavia, va rilevato che fino ad oggi la Corte ha privilegiato la prima soluzione preferendo richiedere un controllo giurisdizionale a livello interno, anche quando non previsto, piuttosto che allargare le maglie del ricorso di annullamento regolato dall’art. 263 TFUE (ex art. 230 TCE).

112 In tal senso S.PRECHAL, Community law in National courts: the lesson from Van Schijndel,

essere impugnato, con le modalità di controllo giurisdizionale applicabili a qualsiasi atto definitivo adottato dalla medesima autorità, allorché si collochi nell’ambito di un procedimento normativo che da luogo all’emanazione di un atto comunitario113; ciò impone, di conseguenza, una modifica significativa delle regole procedurali nazionali che non prevedono l’impugnabilità dell’atto preparatorio.

La formula «praticamente impossibile o eccessivamente difficile», inoltre, comporta che il giudice non valuti solo la “giustiziabiltà” dei diritti conferiti dal diritto dell’UE, ma valuti la sostanza del procedimento, verificando che sia garantita anche una tutela minima sufficientemente adeguata secondo i parametri individuati dalla Corte; nella sentenza Heylens, infatti, la Corte di giustizia ha esplicitamente stabilito l’obbligo degli Stati membri di proteggere i diritti conferiti da norme di diritto dell’UE nelle migliori condizioni possibili114. La Corte di giustizia, in buona parte dei casi su cui ha avuto modo di pronunciarsi, ha spesso ritenuto che norme procedurali indistintamente applicabili fossero ragionevoli, senza dimostrare di voler svolgere un controllo penetrante sul livello di tutela garantito dagli ordinamenti nazionali; tuttavia sono molti i casi in cui è giunta a una diversa conclusione, affermando che certe disposizioni non raggiungevano il livello minimo di tutela richiesta. Come avremo modo di approfondire nei capitoli successivi, ad esempio, certe presunzioni o mezzi di prova che impongano al ricorrente l’onere di dimostrare che i tributi indebitamente versati non siano stati

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