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La violazione «sufficientemente caratterizzata» del diritto dell’UE

S EZIONE I L E CONDIZIONI D ’ IMPUTABILITÀ DELLA VIOLAZIONE ALLO S TATO 1 Responsabilità

2. La violazione «sufficientemente caratterizzata» del diritto dell’UE

La seconda condizione posta dalla Corte di giustizia per il sorgere della pretesa risarcitoria del singolo, nei confronti dello Stato membro che abbia violato il diritto dell’UE, attiene alle caratteristiche dell’azione lesiva e al suo grado di antigiuridicità138.

Secondo quanto affermato dalla Corte, infatti, «un diritto al risarcimento è

riconosciuto dal diritto comunitario in quanto (...) si tratti di violazione 








137 Per un commento in dottrina su tale pronuncia, e sul ruolo che il principio di buona

amministrazione può rivestire quale base per la definizione di specifici diritti delle imprese, si vedano: P. ARHEL, Activité des juridictions communautaires en droit de la concurrence, in LPA, 2007 (222), pp. 6-8;

J.M.COT, La Commission engage sa responsabilité non-contractuelle du fait d'une violation caractérisée du droit communautaire lors de l'examen d'une concentration, in Concurrences, 2007 (4) pp. 94-96; C.

PESCE, Il potere discrezionale della Commissione e i diritti delle parti nel procedimento di controllo delle

concentrazioni, in DPCE, 2007, pp. 1912-1917; G. PIZZANELLI, Tutela della concorrenza e garanzia del

giusto procedimento: il ruolo della Commissione come autorità antitrust e l'apertura del giudice comunitario alla responsabilità delle Istituzioni comunitarie ed alla risarcibilità del danno per cattivo uso di potere. Il caso Schneider, in RIDPC, 2007, pp. 1419-1443.

138 Possiamo subito anticipare che un’azione lesiva può consistere, come si rileva dalla costante

giurisprudenza della Corte di giustizia, in una molteplicità di comportamenti. A titolo di esempio e d’introduzione al tema, si consideri che buona parte delle violazioni si concretizzano: nella mancata trasposizione di una direttiva (casi Francovich e Dillenkofer); nella non corretta trasposizione di una direttiva (casi British Telecommunications e Denkavic); nell’emanazione, mantenimento in vigore o mancata abrogazione di una norma interna contraria al trattato o ad un atto di un’istituzione comunitaria (caso Brasserie du pêcheur e Factortame); nell’osservanza di una prassi contraria al diritto dell’UE (caso

Hedley Lomas). In dottrina si vedano, a titolo esemplificativo: P. MENGOZZI, La responsabilità dello

Stato per danni causati a singoli da violazioni del diritto comunitario: il caso Gabrielli, in Riv. Dir. Int.,

1994, p. 624 ss; R.CARANTA, La responsabilità dello Stato per danni causati a singoli da violazioni di diritto comunitario, in GI., 1992, I, 1, p. 1179; G. TESAURO, Responsabilità degli Stati per violazione del

diritto comunitario, in La tutela giurisdizionale dei diritti nel sistema comunitario, (Venezia, 30/31 – 5, 1/06, 1996), p. 312 ss; M. CAFAGNO, Ordinamento comunitario e responsabilità per lesioni d’interessi legittimi, in RIDPC, 1992, p. 153; A. CAMPESAN, A. DAL FERRO, La responsabilità dello Stato per violazione degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario alla luce della sentenza Francovich, in RDE,1992, p. 319 ss. Tali autori sottolineano il carattere unitario dei presupposti di

risarcibilità del danno, anche se sono differenti le violazioni alle quale sono applicate. Per una posizione differente, si veda, invece, A.BARAV, The effectiveness of judicial protection and the role of the national courts, in La tutela giurisdizionale dei diritti nel sistema comunitario (Venezia, 30/31 – 5, 1/06, 1996),

sufficientemente caratterizzata»139, indicando contestualmente i fattori che in tal senso il giudice nazionale deve prendere in considerazione140 (para 2.1); tale caratterizzazione, inoltre, è stata tradizionalmente intesa come lesione «grave e manifesta», da parte di uno Stato membro, dei limiti posti al potere di cui gode nell’adempimento degli obblighi comunitari (para.2.2).

2.1. I fattori che concorrono a definire una violazione come «sufficientemente caratterizzata»

La qualificazione di un’azione lesiva come «sufficientemente caratterizzata» è stata tradizionalmente accompagnata dall’indicazione degli elementi che la definiscono in tal senso. In particolare, per valutare se una violazione può essere considerata come «sufficientemente caratterizzata», e quindi idonea a far sorgere la responsabilità dello Stato membro, il giudice nazionale dovrebbe prendere in considerazione: l’ampiezza del potere discrezionale che la norma violata riserva alle autorità nazionali o comunitarie; il grado di chiarezza e precisione di tale norma; il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato; la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto; la circostanza che i comportamenti di un’istituzione comunitaria abbia concorso all’omissione, all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o prassi nazionali contrari al diritto dell’UE141.

Le enunciazioni sopra riferite, posto che non sembra ci sia una gerarchia tra di esse, mantengono un’opacità e una situazione d’incertezza giuridica all’interno della quale, tuttavia, ci si orienta mediante alcuni punti fermi che sono stati progressivamente










139Cfr. sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 51; Hedley Lomas (Ireland) Ltd,

cit., punto 25; Dillenkofer e a., cit., punto 21.

140 Sul punto si veda la sentenza caso Brasserie du pêcheur (punti 51, 55 e 65), che ha precisato

quanto stabilito dalla sentenza Francovich, la quale non aveva offerto particolari indicazioni circa le caratteristiche di illegittimità del comportamento dell’autore del danno. A parere dell’avvocato generale Tesauro, espresso nelle conclusioni del 28 novembre 1995 nel caso Brasserie du pêcheur e factortame, tale circostanza può essere spiegata considerando che nel caso concreto il comportamento dello Stato era all’evidenza illegittimo.

141 Sul punto si vedano, tra la giurisprudenza recente, le sentenze Günter Fuß, cit., punto 51, e la

sentenza Robins e a., del 25 gennaio 2007, punto 70 e 77 (causa C‑278/05, Racc. p. I‑1053). Tra la giurisprudenza meno recente, invece, si vedano le note sentenze: Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 55 e 56; Köbler, cit., punto 55. Va rilevato che l’ultimo elemento che abbiamo menzionato, che secondo la Corte concorre alla qualificazione dell’infrazione come «sufficientemente caratterizzata», vale a dire l’eventuale concorso delle istituzioni comunitarie, apparirebbe inquadrabile, nel sistema dei presupposti stabiliti, anche nel terzo di essi, poiché il “concorso” delle istituzioni comunitarie nell’azione lesiva dello Stato membro è idoneo a incidere sul rapporto di causalità tra azione statale e danno al privato. Sul punto si veda F. FUMAGALLI, La responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto

elaborati dalla Corte di giustizia. In primo luogo, un rilievo significativo è stato attribuito al primo fattore citato, vale a dire al potere discrezionale che la norma violata riserva alle autorità nazionali o comunitarie, la cui esistenza ed ampiezza devono essere apprezzate rispetto al diritto dell’UE e non già con riferimento al diritto nazionale142. Con riferimento all’attività del legislatore, ad esempio, la Corte ha constatato che quest’ultimo, così come del resto le istituzioni dell’UE, non dispone sistematicamente di un ampio potere discrezionale quando operi in un settore disciplinato dal diritto dell’UE; se, in alcuni casi, allo Stato membro è riconosciuto un certo margine di discrezionalità nell’identificazione dei mezzi di attuazione degli obblighi comunitari, il più delle volte ad esso incombono obblighi di risultato o di condotta (o di astensione) che riducono, talvolta in maniera considerevole, il loro margine di valutazione; tanto più ampio è tale margine di valutazione, tanto maggiore sarà il grado di gravità dell’inadempimento richiesto per il sorgere della responsabilità dello Stato nei confronti del privato danneggiato. Pertanto, la semplice trasgressione del diritto dell’UE ne costituisce una violazione sufficientemente caratterizzata quando lo Stato membro, al momento in cui ha commesso l’infrazione, non si trova di fronte a scelte normative e dispone di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente143; ciò avviene, ad esempio, nel caso in cui, in violazione del Trattato, lo










142 Cfr. Corte di giustizia, sentenza 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, cit., nella quale si

afferma esplicitamente che il margine di discrezionalità eventualmente concesso dal diritto nazionale al funzionario pubblico o all’istituzione che hanno commesso la violazione del diritto dell’UE è al riguardo ininfluente (punto 28).

143 Tra tutte, si vedano la sentenza Dillenkofer, cit., punto 25, e la sentenza Hedley Lomas, cit.,

punto 28. Quest’ultima sentenza, in particolare, è stata pronunciata ai sensi dell’ex art. 177 (ora 267 TfUE) del Trattato sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice,

Queen’s Bench Division inglese, vertente sull’interpretazione degli ex art. 34 (ora 40 TFUE) e 36 (ora 42

TFUE) del trattato CE e del principio della responsabilità extracontrattuale dello Stato per violazione del diritto dell’UE. Tali questioni erano state sollevate nell’ambito di una controversia sorta in seguito al diniego opposto dal competente ministero britannico al rilascio di una licenza per l’esportazione di ovini vivi in Spagna, chiesta dalla Hedley Lomas il 7 ottobre 1992. Nel periodo compreso tra il mese di aprile 1990 e il 1° gennaio 1993, in particolare, il Ministero britannico dell’agricoltura, della pesca e dell’alimentazione negava sistematicamente il rilascio di licenze per l’esportazione di animali da macello vivi destinati alla Spagna, adducendo il motivo che questi ultimi sarebbero stati sottoposti nei mattatoi di tale stato ad un trattamento contrastante con la direttiva del Consiglio del 18 novembre 1974, n. 74/577/CEE, relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione, recepita in Spagna con provvedimento del 18 dicembre 1987. Invero, poiché siffatto provvedimento di attuazione non prevedeva sanzioni in caso di violazione delle sue disposizioni, la Commissione aveva aperto un’indagine al fine di verificare l’effettiva osservanza da parte delle autorità spagnole degli obblighi imposti dalla direttiva. Tuttavia, all’esito di tale indagine, alla luce delle assicurazioni ricevute, la Commissione aveva deciso di non promuovere un ricorso ex art. 169 (ora 258 TfUE) del trattato, ed allo stesso tempo, aveva comunicato alle autorità britanniche che considerava il divieto generalizzato applicato dal Regno Unito alle esportazioni di animali vivi in Spagna incompatibile con il trattato. Tale divieto generalizzato, pertanto, veniva ritirato con effetto dal 1° gennaio 1993. In questo quadro, il 7 ottobre 1992, la Hedley

Lomas chiedeva il rilascio di una licenza per l’esportazione di un determinato numero di ovini vivi

Stato membro non prenda alcuno dei provvedimenti necessari per raggiungere il risultato prescritto da una direttiva144, ma anche quando l’inadempimento riguardi una sola disposizione di tale atto di diritto dell’UE145.

Il margine di discrezionalità che la norma violata lascia alle autorità nazionali è un fattore importante nella qualificazione della violazione come «sufficientemente caratterizzata» anche con riferimento all’attività dello Stato-giudice. Così ad esempio, quando non ricorrono le condizioni elencate dalla sentenza Clilft146, che ampliano la

discrezionalità del giudice di ultima istanza nel decidere se utilizzare o meno il rinvio pregiudiziale147, la mancata ottemperanza all’obbligo di rinvio integra gli estremi di una violazione sufficientemente caratterizzata148 e potrebbe in pari tempo ledere i diritti del singolo ad un rimedio giurisdizionale effettivo149.







 licenza non veniva concessa benché, secondo le informazioni ricevute dalla Hedley Lomas il mattatoio indicato applicasse le direttive comunitarie in materia di protezione degli animali e le autorità del regno Unito non disponessero di alcuna prova contraria. La Hedley Lomas pertanto adiva la High Court of

Justice chiedendo una declaratoria dell’incompatibilità con il trattato del rifiuto opposto dal Ministero

Britannico, nonché il risarcimento dei danni subiti.

144 Corte di giustizia, sentenza Dillenkofer, cit., punto 29; la sentenza del 24 settembre 1998, in

causa C-319/96, Brinkmann, in Racc., 1998, I-5255, punto 28. Sul punto si vedano, a titolo esemplificativo: R.MASTROIANNI, Direttive non attuate, rimedi alternativi e principio di uguaglianza, in Dir. Uni. Eur., 1998, p. 81; M. BALBONI, Diritto al risarcimento e adeguamento retroattivo alle direttive non correttamente attuate, in Ibidem, 1998, p. 861.

145 Dato che il danno subito dal singolo può riferirsi al mancato godimento del diritto attribuito

da una specifica disposizione, la responsabilità dello Stato membro può sorgere anche in presenza del tempestivo e puntuale recepimento di tutte le altre disposizioni della direttiva stessa. Sul punto si veda: Corte di giustizia, sentenza 15 giugno 1999, causa 140/97, Rechberger, in Racc., 1999, p. I-3499, punto 53.

146 Cfr. Sentenza della Corte del 6 ottobre 1982, causa 283/81, Srl CILFIT e Lanificio di

Gavardo SpA contro Ministero della sanità, in Racc., 1982, p. 03415.

147 La sentenza CILFIT, ricorrendo alla teoria francese dell’ «atto chiaro», afferma che il dovere

di rinvio pregiudiziale viene meno quando la questione sia materialmente identica ad una già sollevata e decisa in via pregiudiziale dalla Corte, quando vi sia una giurisprudenza costante sul punto oppure, ancora, quando la risposta al quesito non sollevi alcun ragionevole dubbio interpretativo. Prima di giungere a tale conclusione, però, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza s’imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia (punti 13 ss della sentenza CILFIT). Per un commento in dottrina su tale importane pronuncia della Corte, si vedano a titolo esemplificativo: G.BEBR, The Rambling Ghost of "Cohn-Bendit": Acte Clair and the Court of Justice, in CMLR, 1983, p. 439-472; N. CATALANO, La pericolosa teoria dell'"atto chiaro", in GC, 1983, I pp. 12- 14; T.MILLETT, European Court of Justice Adopts Doctrine of Acte Clair, in NLJ, 1983, pp. 443-445; A. TIZZANO, in FI, 1983, IV Col, pp. 63-65; K. LENAERTS, La modulation de l'obligation de renvoi préjudiciel, in Cah. dr. eur., 1983, pp. 471-500; A. CAMPBELL, The Doctrine of "Acte Clair" in the European Court, in JLSS, 1983, pp. 259-260; S. CROSBY, The Doctrine of "Acte Clair", in JLSS, 1983, pp. 343-344; J-CMASCLET,Vers la fin d'une controverse ? La Cour de justice tempère l'obligation de renvoi préjudiciel en interprétation faite aux juridictions suprêmes (art. 177, alinéa 3, CEE), in RMC,

1983, pp. 363-372; S.LAPORTA, Manifesta infondatezza di questioni e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee, in Rass. avv. st., 1983, I Sez.II, pp. 47-54; E. GIRINO, Portata e interpretazione del diritto comunitario nella più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di giustizia delle Comunità europee, in DCSI, 1985, pp. 567-597.

148 Cfr sentenza Köbler (punto 56). Inoltre, si veda la ricostruzione prospettata dall’Avvocato

generale Léger nelle conclusioni al caso appena citato (punto 144) e nel caso Traghetti del Mediterraneo (punti 63-70). In quest’ultimo caso, l’Avvocato riconferma il fatto che il solo inadempimento dell’obbligo

La violazione dei margini posti al potere discrezionale che la norma violata riserva alle autorità pubbliche, tuttavia, non è da consierare una circostanza risolutiva e sufficente, in quanto essa «non basta da sola a ritenere che la violazione di dette

disposizioni sia sufficientemente qualificata, nella fattispecie, per far sorgere la responsabilità (...). Infatti, come già ricordato, spetta al giudice prendere altresì in considerazione, in particolare, la complessità in diritto e in fatto della situazione da disciplinare, nonché le difficoltà di applicazione o di interpretazione dei testi»150. In

altri termini, i giudici di Lussemburgo hanno rilevato che una volta verificato che i pubblici poteri hanno agito violando i margini di discrezionalità loro attribuiti, è necessario prendere in considerazione il secondo fattore che tradizionalmente concorre a definire una violazione come sufficientemente caratterizzata, vale a dire il grado di chiarezza e di precisione della norma violata; secondo una giurisprudenza costante della Corte, infatti, non si può parlare di una violazione «sufficientemente caratterizzata» nell’ipotesi in cui le disposizioni di una direttiva, e più in generale di una norma di diritto dell’UE primario o derivato, possano ricevere diverse interpretazioni, ragionevolmente sostenibili, a causa della loro scarsa chiarezza e dell’assenza di una







 di rinvio sarebbe in grado d’ingenerare la responsabilità dello Stato, pur ponendosi problemi evidenti in ordine alla prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’obbligo di rinvio e l’asserito danno (punto 78 delle conclusioni avv Léger in Traghetti).

149 Sul punto si vedano a titolo esemplificativo: P. BIAVATI, Diritto processuale dell’Unione

europea, Milano, 2005, p. 431; G. STROZZI, Responsabilità degli Stati membri per fatto del giudice interno in violazione del diritto comunitario, cit., p. 895 ss. Quest’ultimo autore sottolinea come anche

quando ad una prima analisi ricorrano le condizioni elencate nel caso CILFIT, un’azione risarcitoria è ipotizzabile anche per omesso rinvio pregiudiziale quando i privati motivino la loro richiesta adducendo e dimostrando la possibilità di una interpretazione diversa (eventualmente alla luce di una giurisprudenza incerta della Corte di giustizia), o l’esistenza di un dubbio fondato dovuto alla poca chiarezza della norma di cui il giudice non tiene conto e che, anzi proprio per questo gli imporrebbe di rivolgersi alla Corte. In questi casi, si configurerebbero gli estremi di una violazione dei diritti della difesa, in quanto il giudizio viene sottratto al suo giudice naturale esclusivamente competente in materia d’interpretazione del diritto dell’UE. L’organo interno, in questo caso di ultima istanza, travalicherebbe così i limiti posti al suo potere discrezionale in materia d’interpretazione della norma comunitaria, che è inesistente o fortemente ridotto alla sola valutazione della non sussistenza di alcun ragionevole dubbio, rendendo così manifesta la violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale. Non deve dimenticarsi che tale obbligo ha appunto la funzione di consentire ai privati di ottenere dal giudice comunitario un’interpretazione esatta del diritto dell’UE per la tutela dei loro diritti prima che la pronuncia del giudice interno divenga definitiva privandoli di ogni ulteriore tutela. A tal riguardo possiamo rilevare anche che la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata su alcuni ricorsi fondati sulla violazione dell’art. 6 CEDU (diritto ad un equo processo) per omesso rinvio pregiudiziale da parte di un giudice nazionale di ultima istanza, pur escludendo che possano fondarsi su una norma della Convenzione europea, non avendo l’obbligo di rinvio carattere assoluto. Su quest’ultimo punto e sulla giurisprudenza della Corte EDU relativa si veda C. SCHEPISI, La responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte dei giudici di ultima istanza: da Kobler a Lucchini, in Studi in onore di U. Leanza, Napoli 2008, p. 1301.

150 Cfr. sentenza del Tribunale del 23 novembre 2011, Causa T-341/07, Jose Maria Sison contro

giurisprudenza chiarificativa151. In tal senso, ad esempio, è significativa la sentenza Jose

Maria Sison contro Consiglio dell'Unione europea, dove il Tribunale ha respinto la

domanda di risarcimento danni proposta da Jose Maria Sison a seguito dell’illegittimo congelamento dei suoi capitali da parte del Consiglio poiché, anche se la violazione era










151 Il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, quale importante elemento che il

giudice competente può prendere in considerazione, al fine di valutare se la violazione sia sufficientemente caratterizzata, è stato preso in considerazione, in maniera risolutiva, a partire dalla pronuncia British Telecomunications. Tale sentenza, del 26 marzo 1996, in causa C-392/93, in Racc., 1996, I-1631, è stata resa sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dalla High Court

of Justice, Queen’s Bench Division, Divisional Court inglese vertente sull’interpretazione dell’art. 8 n. 1

della direttiva del Consiglio del 17 settembre 1990, n. 90/531/CEE, relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazione. In particolare, tale questioni erano sorte nell’ambito di un giudizio promosso dalla British Telecommunications avverso il governo del Regno Unito, mirante all’annullamento dell’allegato 2 degli Utilities Supply and Works Contracts Regulations 1992, i quali avevano dato attuazione all’art. 8 n. 1 della direttiva. Nell’operare la trasposizione dell’art. 8 (che così disponeva: 1. «La presente direttiva non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori… assegnino per

acquisti esclusivamente destinati a permettere loro di assicurare uno o più servizi di telecomunicazione, qualora altri enti siano liberi di offrire gli stessi servizi nella stessa zona geografica e a condizioni sostanzialmente identiche…»), i regolamenti del 1992 avevano esonerato dall’obbligo di conformarsi a

quest’ultima quasi tutti gli operatori del settore, compresa la Mercury Communications Ltd (la principale concorrente della British Telecommunications), per quanto concerne la fornitura di servizi di telecomunicazione. Solo la British Telecommunications, e un altro soggetto minore, rimaneva soggetta alle disposizioni della direttiva, per i servizi di base di telefonia vocale, i servizi di base di trasmissione dati, la fornitura di circuiti privati in locazione e i servizi marittimi. Attraverso il ricorso alla Divisional

Court, la British Telecommunications, pertanto chiedeva l’annullamento dell’allegato 2 dei regolamenti

del 1992, in quanto avrebbero costituito una trasposizione erronea dell’art. 8 della direttiva, ed inoltre, chiedeva il risarcimento del danno che asseriva di avere subito in ragione della non corretta trasposizione della direttiva. Proprio con riferimento a quest’ultima richiesta, la Corte sostenne che l’eventuale lesione posta in essere dall’allegato 2 dei regolamenti contestati non potesse giudicarsi una violazione grave e

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