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di Rosita Deluigi*

3. I linguaggi narrativi tra saperi ed emozion

Veicolare la narrazione attraverso la lettura a voce alta non significa necessariamente limitarsi all’utilizzo del linguaggio orale. È importante, infatti, declinare il linguaggio nelle sue diverse forme e renderlo plurale, anche a seconda dei soggetti a cui ci rivolgiamo.

Lo sguardo inclusivo passa attraverso i cinque sensi tra cui si può spa- ziare per promuovere coinvolgimento e partecipazione. L’esperienza della

narrazione deve essere accessibile a tutti ed è essenziale valorizzare con cura e attenzione alcuni dettagli delle storie che raccontiamo per colorare leggere sfumature di senso. Oltre a comprendere le pluralità compresenti, è necessario sviluppare percorsi e itinerari in grado di supportare relazioni e legami tra le differenze. E, quindi, tra le persone.

Narrare per includere, allora, richiede uno sfondo pedagogico attento ai processi partecipativi e non alla performance univoca. Significa non “ag- gredire” in modo invasivo e completamente strutturato i soggetti a cui ci rivolgiamo, ma eleggere preferibilmente strategie di contatto che veicolino l’interazione diretta con altri.

Ed ecco che una semplice proboscide di cartoncino grigio ci trasforma in elefanti e alcuni strumenti musicali, rievocando i suoni degli animali, ci portano a fare un concerto nel bosco. Con tempera verde, bucce di arancia e cubetti di ghiaccio scopriamo i colori con il lupo nero. Un vaso di vetro può custodire le nostre paure mentre Lillo e Pepe passeggiano sui tetti nel- la notte scura. Un sassolino bianco da mettere in tasca diventa un amuleto per provare ad essere più coraggiosi, chissà quanti ne abbiamo incrociati lungo la via!

La narrazione deve avvicinarsi ai destinatari e liberare la loro fantasia, non solo individuale, ma anche collettiva, soprattutto se pensiamo ad attivi- tà e proposte realizzate a scuola.

Anche “dietro le quinte” della narrazione si potenzia la creatività, in primis degli adulti, che si sporgono sugli scenari che i bambini abitano e descrivono più facilmente e che, nel tempo, rischiano di disperdersi, a fron- te di una razionalità sempre più a-stringente. Tale aspetto non è per nulla trascurabile perché richiede a educatori e insegnanti, così come ai genitori, di avvicinarsi maggiormente ad altri punti di vista, di interpretare perso- naggi da scoprire con i bambini, di farsi più prossimi alle rappresentazioni fantastiche e metaforiche con cui i più piccoli disegnano la realtà.

Attraverso il pensiero narrativo impariamo ad organizzare il sapere e a conoscere il mondo, a partire dall’esperienza vissuta e dalla possibilità di esprimere più significati (Bruner, 1990). I racconti ci supportano nella scoperta e definizione di visioni plurali, di prospettive ibride, di versioni differenti della storia che aprono alla molteplicità. Partendo dall’ascolto delle differenze, attraversiamo i sentieri del dialogo interculturale, dell’in- clusione, dell’attenzione agli altri e della capacità di sperimentare e attuare logiche cooperative. La dimensione interpretativa del pensiero narrativo, infatti, non monopolizza la conoscenza ma, anzi, la rende maggiormente rizomatica. In tal modo, si supporta la creazione di una cultura in grado di rinnovarsi continuamente, così come di una definizione narrativa del sé do- ve le interdipendenze tra identità personale e dialogo con l’altro diventano essenziali (Bruner, 2002).

La narrazione permette di effettuare dei viaggi di andata e ritorno tra storie e realtà e, nelle dinamiche di conoscenza dei bambini, la costruzione di ponti significativi tra mondo della fantasia ed elementi di familiarità, costituisce un passaggio importante, a cui dare spazio adeguato e su cui in- nescare processi interpretativi dell’esperienza. Nelle dimensioni di scambio tra gruppo di pari e adulti si generano apprendimenti condivisi, spesso ine- diti e inaspettati rispetto alle trame scelte, ed è proprio qui che si co-abita- no tempi e luoghi significativi per cui raccontare è raccontarsi, regalandosi reciprocamente spaccati di conoscenze, competenze e curiosità.

La pratica delle narrazioni partecipate permette a tutti di contribuire con il proprio punto di vista, di mettere al centro interrogativi, osservazio- ni, richiami alle quotidianità che ciascuno attraversa, senza perdere di vista la trama, ma arricchendola di itinerari personali e collettivi in un’alternan- za continua tra reale e immaginario.

Le storie, inoltre, suscitano emozioni che affiorano grazie a personaggi allegri, tristi, impauriti, arrabbiati e consentono di creare degli specchi emotivi in cui riflettersi e descriversi con uno sguardo esterno che può ricondurci agli effettivi percorsi di vita che stiamo attraversando. Le emo- zioni narrate permettono di tracciare la nostra identità, di esprimerla e tra- sformala, anche nella sua descrizione, così come di entrare maggiormente in contatto con le altre identità, coinvolgendo l’intera persona (Iannotta e Martini, 2012).

Sviluppare competenze emotive consente ai bambini di imparare ad esprimere e percepire empaticamente stati d’animo, riconoscendo se stessi e comprendendo gli altri in quelle descrizioni. Tali abilità sono veicolate anche attraverso rappresentazioni concrete di emozioni non sempre facil- mente definibili (Llenas, 2014).

Partendo dal paradigma delle intelligenze multiple (Gardner, 1983), pos- siamo progettare itinerari narrativi volti a sviluppare l’intelligenza emotiva, dal riconoscimento alla gestione dei vissuti (Goleman, 1996, 2006). Si trat- ta di mettere in campo iniziative che favoriscano un allenamento costante, da praticare non solo singolarmente. Pensando al contesto scolastico, la presenza di un gruppo di pari permette di esercitare una mediazione dell’e- spressione di sé, affinché ci siano spazi e tempi per ogni soggetto.

Attraversando esperienze emotive e sviluppando un pensiero critico è possibile cogliere diverse sfumature, proprie e degli altri, e condividerle, acquisendo più competenze e chiavi interpretative per dare senso – sempre plurale – all’immensità delle cose che costellano l’esperienza di vita reale (Eco, 1994).