Maria Beatriz Rodrigues**, Elisa Cirilli*
2. Questione di “abilità”
Un ulteriore aspetto dei Social Robot da tener in considerazione, spes- so utilizzato anche per classificare le diverse proposte sul mercato, attiene l’osservazione delle abilità che essi sollecitano nel trattamento con bambini con Disturbo dello Spettro Autistico.
L’uso dei Social Robot, come evidenziano anche Cabibihan, Javed, Ang, Aljunied (2013), permette di favorire il potenziamento delle abilità che so- no deficitarie nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico, come quel- le dell’imitazione, del rispetto della turnazione, del riconoscimento delle emozioni e del potenziamento delle abilità sociali.
Ci sono diverse sperimentazioni di Robot sociali utilizzati per promuo- vere queste abilità nell’intervento con bambini dello Spettro Autistico.
Tra le abilità che possono essere implementate grazie all’interazione con i Robot sociali, vi sono quelle dell’eye contact e dell’eye gaze. Le esperienze condotte nel segno del miglioramento di queste abilità sono state plurali. Tra queste sperimentazioni le più significative hanno visto il coinvolgimento dei diversi dispositivi robotici: Keepon, NAO, HOAP-2 e KASPAR.
Nello specifico, dalle osservazioni effettuate durante l’interazione tra Keepon e bambini con Disturbo dello Spettro Autistico, è emerso che, dopo l’iniziale assenza del contatto visivo, i bambini hanno iniziato ad in- staurare un contatto oculare con il Robot, man mano che si familiarizzava con esso.
L’interazione creata tra NAO e i bambini con Disturbo dello Spettro Autistico è stata favorita da una specifica caratteristica del Robot, ovvero la capacità di cambiare il colore degli occhi. Tale variazione avviene men- tre il bambino parla o effettua dei movimenti in classe. Le ricerche hanno, quindi, rilevato che l’attenzione che questa trasformazione suscita nel bam- bino può condurre ad una implementazione del contatto visivo e ad una ri- duzione di alcuni comportamenti tipici del Disturbo dello Spettro Autistico (Shamsuddina, Yussof, Ismail, Mohamed, Hanapiah e Zahari, 2012).
Dalle sperimentazioni effettuate con il Robot HOAP-2 è, invece, risulta- to come bambini con Disturbo dello Spettro Autistico, dopo aver preceden- temente assistito all’interazione con il Robot, abbiano favorito il contatto visivo con i compagni del proprio gruppo.
KASPAR, studiato nell’interazione avvenuta tra il Robot e un bambino con un livello di Disturbo dello Spettro Autistico molto grave, permette di attivare nei bambini un forte interesse verso gli occhi e le palpebre del Robot.
Ulteriore abilità che risulta essere sollecitata grazie all’utilizzo dei Ro- bot sociali, è la joint attention, ovvero il mantenimento dell’attenzione su un singolo oggetto o persona, soffermando lo sguardo. In questo caso, il Robot può guidare l’attenzione del bambino verso uno specifico oggetto, per giungere successivamente al compito di far guidare al bambino il Ro- bot verso l’oggetto di riferimento, estendendo infine questo comportamento all’operatore. Cabibihan, Javed, Ang e Aljunied (2013) ritengono Keepon e KASPAR i Social Robot in grado di sollecitare al meglio tale abilità.
Il turn-taking, o scambio del turno, è un’altra delle abilità che può es- sere potenziata grazie all’interazione Robot-bambino. Durante le conver- sazioni risulta molto difficile per il bambino con Disturbo dello Spettro Autistico ascoltare gli altri e attendere il proprio turno, infatti, concentra maggiormente la conversazione sulle sue idee ignorando gli altri. Il Robot, in questo caso, può proporre al bambino semplici giochi propedeutici, fina- lizzati all’attesa delle risposte dell’interlocutore. Dalle sperimentazioni con
i Robot Keepon e Labo-1/Mel è emerso che il comportamento del Robot viene imitato da bambini con Disturbo dello Spettro Autistico, avvian- do negli stessi la ripetizione delle azioni per imitazione. Il Social Robot KASPAR, invece, oltre a promuovere l’abilità del turn-taking, tenta una generalizzazione di tale abilità, grazie all’inserimento dell’interazione con un secondo bambino.
L’emotion recognition, o il riconoscimento delle emozioni, risulta essere un’ulteriore abilità che i dispositivi robotici possono incrementare in bam- bini con Disturbo dello Spettro Autistico. Nello specifico, le difficoltà lega- te alla lettura e all’interpretazione delle espressioni facciali e il linguaggio del corpo possono essere potenziate da Robot che vengono progettati usan- do un design semplice e una limitata espressione facciale per far emergere emozioni minimali. I Robot utilizzati da Cabibihan, Javed, Ang e Aljunied (2013) più adeguati in tale direzione sono Keepon e FACE. Il primo espri- me le emozioni fissando lo sguardo sul soggetto, il secondo simula le emo- zioni stesse.
Alcune specifiche caratteristiche dei Social Robot possono favorire le abilità delle self-initiated interactions, ovvero l’interazione cosciente e au- tonoma finalizzata alla richiesta di oggetti o domande che, nel caso di sog- getti con Disturbo dello Spettro Autistico suscita comportamenti violenti e capricciosi. Per l’incremento di queste abilità il Robot viene programmato per esortare il bambino a chiedere degli oggetti finalizzati allo svolgimento di un gioco o un’attività, in alcuni casi con tasti o indicazioni che il bam- bino deve premere o eseguire dopo aver svolto una determinata richiesta. Keepon e Labo-1/Mel sono stati testati per sollecitare tale abilità tramite l’osservazione di un’attività di cooperazione tra bambini, con e senza Di- sturbo dello Spettro Autistico.
Infine, gli studi del settore hanno dimostrato che i Robot possono favo- rire la triadic interaction, ovvero l’interazione tra Robot, bambino e una terza persona. Dalle ricerche di Cabibihan, Javed, Ang e Aljunied (2013) i dispositivi che favoriscono maggiormente l’instaurarsi di questa relazione sono Keepon, KASPAR e Labo-1/Mel, ma tale abilità è sollecitata, se pur indirettamente, da tutti i Robot sociali, poiché lo scopo di ogni interazione Robot-bambino è quello di giungere alla generalizzazione dei comporta- menti acquisiti.
In tale direzione iCub1, Robot dalle sembianze umanoidi, progettato
dall’orgoglio italiano “IIT Central Research Lab Genova”, è l’esempio concreto di una vera e propria piattaforma Robotica sociale, pensata anche per avvicinare progressivamente il bambino con Disturbo dello Spettro Au-
tistico a un partner umano. Con il presupposto di contrastare il rischio di un’interazione esclusiva con il Robot, iCub è dotato di un controllo molto sofisticato, ovvero può essere programmato con caratteristiche diverse da modulare in funzione del comportamento del bambino, al fine di introdur- re una complessità crescente, che avvia, progressivamente, all’interazione con un essere umano.
3. Conclusioni
Considerata la velocità con cui le ricerche nel campo delle tecnologie progrediscono, le proposte emerse nel presente contributo rappresentano uno degli scenari attuativi tra le possibilità che possono essere prese in considerazione negli interventi multidisciplinari, in favore di persone con Disturbo dello Spettro Autistico.
I professionisti che lavorano nel campo dell’inclusione sociale possono, pertanto, intraprendere percorsi educativi e laboratoriali supportati dai Social Robot, intendendo tali dispositivi sia come strumento funzionale all’implementazione di determinate abilità che come strategia per l’attiva- zione di dinamiche inclusive2. Le esperienze progettuali da attivare parto-
no, quindi, dalla centralità del soggetto con Disturbo dello Spettro Autisti- co per giungere alla sua piena inclusione nel contesto di riferimento.
In questa prospettiva, i professionisti possono mettere in campo traiet- torie di lavoro che vedono il Social Robot rivestire un doppio ruolo, inteso sia come “attivo” interlocutore nell’interazione con il soggetto, sia come mediatore nella relazione sociale.
Il ruolo “attivo” che il dispositivo tecnologico assume nella relazione con bambini con Disturbo dello Spettro Autistico permette di favorire il potenziamento di alcune specifiche abilità, sollecitate attraverso il canale privilegiato dell’esperienza: la corporeità.
Il soggetto agisce in una realtà in cui non è possibile distinguere arti- ficialmente elementi digitali da elementi naturali e in cui la conoscenza richiede un’operazione di continua restituzione e traduzione (Sibilio, 2012). Inizia quindi a venir meno la schematizzazione “percezione, cognizione, azione” (Sibilio, 2012, p. 331), lasciando spazio all’idea di cognizione co- me attività non simbolica, ma profondamente radicata nel sistema senso- motorio (Paternoster, 2010). In tal senso, i meccanismi e le rappresentazioni mentali divengono embodied, dotati cioè di un formato o codice corporeo
2. Le linee operative di un possibile percorso laboratoriale vengono presentate nel con- tributo Robotic-Lab: nuovi spazi di connessione tra Robotica e inclusione.
(Caruana e Borghi, 2013). L’attenzione viene, pertanto, spostata verso il dominio corporeo e motorio grazie anche alla prospettiva del “meccani- smo mirror”, e, in generale, al tessuto sperimentale al quale fa riferimento, che ha condotto ad alcune delle più interessanti aperture ai disturbi dello sviluppo come il Disturbo dello Spettro Autistico (Gallese, 2006; Gallese
et al., 2007, 2012; Cattaneo et al., 2007; Boria et al., 2009; Fabbri-Destro
et al., 2009; Cossu et al., 2012; Caruana e Borghi, 2013). È proprio la pro- spettiva del “meccanismo mirror” ad attivare le potenzialità dell’Embodied
Cognition su terreni più pragmatici di quello che potrebbe sembrare un dibattito prevalentemente teorico (Caruana e Borghi, 2013). L’interazione “corporea”, che si instaura tra il corpo del bambino e la fisicità del Robot (la presenza fisica, l’aspetto, il contesto condiviso), è fondamentale per cre- are un rapporto di coinvolgimento esteso nel tempo. Tale relazione consente così di sviluppare connessioni che si avvicinano ad una concezione enattiva della conoscenza (Giannandrea, 2018), facilitando, anche in persone con Disturbo dello Spettro Autistico, il passaggio verso processi più complessi.
Le sue caratteristiche fisico-percettive e comportamentali, il suo par- ticolare ritmo circadiano, offrono all’interlocutore umano la possibilità di riempire di significato privato e personale l’esperienza di interazione. Partendo da tale prospettiva, il Robot, in quanto entità altra da esplorare e scoprire, media la relazione tra ciò che è interno ed esterno all’individuo, sia nella relazione diretta tra la persona e la macchina, sia nello scambio persona-persona mediato dalla macchina (Marti, 2005). Il Robot sociale svolge quindi il ruolo di mediatore dell’interazione e catalizzatore dell’at- tività sociale. L’esperienza di interazione è, infatti, percepita non soltanto a livello fisico e funzionale, ma anche percettivo ed emotivo, riconoscendo il ruolo del coinvolgimento emotivo ed empatico nell’attività riflessiva e ra- zionale. Il Robot diviene, pertanto, un mediatore sociale interattivo durante le attività ludiche (Cottini, 2009, 2011), in grado di divenire un “ponte” tra il soggetto con Disturbo dello Spettro Autistico e i suoi pari, da intendersi come interlocutore privilegiato per lo sviluppo dell’interazione sociale du- rante il lavoro di gruppo e l’innescarsi di pratiche inclusive.
Il duplice ruolo che il Social Robot può assumere, durante la progetta- zione e realizzazione di percorsi in cui sono presenti soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico, aiuta ad allargare lo sguardo del professionista ver- so la considerazione di plurali elementi, così da orientare il proprio approc- cio operativo verso obiettivi significativi, sia per l’incremento delle abilità del soggetto, che per la sua piena inclusione nei contesti sociali.
Individuare l’interazione costante tra tutte le sfere costitutive dell’indi- viduo e la dimensione contestuale, conduce il professionista ad una perso- nalizzazione dell’intervento, dove l’utilizzo di dispositivi tecnologici entri in relazione con le caratteristiche del soggetto, incluso nel suo ambiente di riferimento.
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