Ilaria D’Angelo*, Noemi Del Bianco*
2. Motivazioni fondant
Per poter comprendere la centralità del costrutto di Qualità della Vita per persone con disabilità, potremmo partire dalla sua definizione seman- tica. Il termine “Qualità” si avvicina all’idea di “eccellenza, “standard ottimali” associati a caratteristiche umane e valori positivi come la felicità, il successo, il benessere, la salute e la realizzazione” (Schalock e Verdugo Alonso, 2006, p. 47), mentre l’espressione “della Vita” rimanda agli aspetti più essenziali delle sfere umane. Questo campo semantico spiega perché tale costrutto è in grado di influenzare scelte educative, sociali e politiche tali da cambiare sia il modo in cui i professionisti si relazionano con i soggetti con disabilità, sia le loro vite in una prospettiva di miglioramento e inclusione. La letteratura internazionale incentrata sul fenomeno multidi- mensionale della Qualità della Vita, ha identificato numerosi domini basi- lari per operazionalizzare l’intero costrutto, in particolar modo il consenso maggiore si è registrato nei seguenti ambiti: “Benessere Emozionale”, “Relazioni Interpersonali”, “Benessere Materiale”, “Sviluppo Personale”, “Benessere Fisico”, “Autodeterminazione”, “Inclusione Sociale” e “Diritti” (Schalock e Verdugo Alonso, 2006).
Il concetto della Qualità della Vita, per via della sua elusività e multidi- mensionalità, reca, però, diverse problematiche sul piano della misurazio- ne. Nello specifico, la maggior parte delle difficoltà si registrano a carico delle ricerche che indagano il grado di soddisfazione che le persone con di- sabilità esprimono (Penne et al., 2012; Giaconi, 2015). Pochi sono gli studi che sono stati condotti intervistando direttamente le persone con disabilità, ciò è dovuto sia a delle problematiche relative alle procedure sia a limita- zioni fisiche dei soggetti.
Essa è tuttavia un momento necessario per comprendere a quali livelli le persone, anche con disabilità, fanno esperienza di una vita di qualità. La misurazione è, dunque, un momento topico dell’applicazione del concetto poiché ne influenza inevitabilmente i risultati e, quindi, le scelte educative e le politiche sociali che a loro fanno riferimento (Giaconi, 2015).
Le strategie di misurazione maggiormente utilizzate per rilevare la Qualità della Vita, soprattutto nel campo dell’educazione speciale, sono modelli multidimensionali, volti a indagare sia aspetti soggettivi che ogget- tivi delle persone con disabilità, utilizzando, laddove non è possibile una risposta diretta della persona interessata, la prospettiva di una persona in
stretta relazione con essa. Il coinvolgimento dei familiari, caretakers e/o operatori, con l’accortezza di sottolineare che quella che si sta valutando è la percezione dell’informatore e non quella della persona con disabilità, consente di giungere ad una procedura di analisi congiunta delle risposte, al fine di ridurre alcune criticità metodologiche come i bias di risposta. Ri- levare, dunque, le informazioni che provengono da più “informatori chia- ve” permette di accingersi ad una triangolazione delle risposte, per poter giungere ad una convalida condivisa (Giaconi, 2015).
Tra gli strumenti da utilizzare, la Scala San Martín (Verdugo Alonso et
al., 2014), viene pensata e sperimentata proprio con la volontà di realizzare uno strumento valido, in grado di rispondere alla crescente domanda di programmi di approccio completo alla Qualità della Vita, da parte di una fetta della popolazione disabile, quella delle disabilità gravi e gravissime, che genera sfide importanti e difficili. Il lavoro della Scala San Martín fa ri- ferimento al modello delle otto dimensioni proposto da Schalock e Verdugo. Essa rappresenta, per i professionisti del settore, uno strumento per eseguire delle verifiche grazie alla valutazione dei risultati dati dalla somministra- zione della scala; fornisce una guida per programmare servizi ed interventi centrati sulla persona e permette di valutare i programmi realizzati e, quin- di, di apportare cambiamenti organizzativi nelle progettazioni (Verdugo Alonso et al., 2014). La scala viene consegnata per la compilazione ad un osservatore esterno che conosce bene la persona da almeno tre mesi e che ha la possibilità di osservarla in contesti diversi e per periodi di tempo ab- bastanza lunghi. Per la compilazione non sono necessarie particolari com- petenze, se non una attenta lettura dei quesiti, delle informazioni riguardanti le opzioni di scelta che devono essere fornite prima del momento della com- pilazione e una certa dimestichezza con il concetto di Qualità della Vita.
Lo strumento nel suo insieme è elaborato in cinque sezioni:
1. un quadro per raccogliere i dati della persona esaminata e altri due per i dati degli informatori;
2. una tabella in cui sono raccolti i 95 item suddivisi per gli otto domini, in cui si offrono quattro opzioni di scelta di frequenza (mai, qualche volta, frequentemente, sempre);
3. una sezione aperta in cui inserire qualsiasi tipo di informazione che possa essere rilevante ai fini della valutazione;
4. un quadro riassuntivo per i punteggi diretti totali, standard e percentili; 5. il “Profilo della Qualità della Vita” che permette di illustrare grafica-
mente i risultati della valutazione.
La correzione della scala parte con il calcolo del punteggio diretto to- tale in ogni dimensione attraverso la semplice addizione dei punteggi di ciascun item. I punteggi diretti totali vengono poi trasformati in punteggi
Per ottenere l’indice della Qualità della Vita, detto anche “punteggio standard composito”, bisogna prima sommare i punteggi standard delle ot- to dimensioni, per poi convertire il valore ottenuto attraverso una specifica tabella ed, infine, viene elaborato il Profilo della Qualità della Vita.
Partendo da tali presupposti teorici la prima fase della ricerca si è in- centrata sulla rilevazione della percezione della Qualità della Vita di una ragazza adulta di 32 anni (che nel presente lavoro chiameremo F.). Inserita dal 2002 all’interno di un centro diurno della Regione Marche, alla ragaz- za all’età di cinque anni è stato diagnosticato un Disturbo dello Spettro Autistico ascritto al livello 3 del DSM-V (2014) ed epilessia. Per ricostruire le percezioni di F., sono stati intervistati i suoi caregiver, ovvero persone a lei particolarmente vicine. Lo strumento che ha permesso le rilevazioni è stato la Scala San Martìn, somministrato all’educatrice referente, alla ma- dre e al coordinatore della struttura di F. La comparazione di queste etero- valutazioni, hanno messo in luce, in un’ottica intersoggettiva, i punti di for- za, ma anche i limiti e le debolezze della Qualità della Vita del caso preso in analisi. Successivamente, sulla base dei risultati ottenuti dalla Scala San Martìn si è pensato di sviluppare e attuare, all’interno del centro diurno, il progetto educativo “orologio murale” volto a incrementare i domini più carenti della Qualità della Vita di F., per favorirne, inoltre, una migliore inclusione sociale all’interno della struttura di riferimento.
Nel dettaglio tale ricerca verrà presentata nel paragrafo “Rilevare la Qualità della Vita in adulti con disabilità: uno studio di caso”.
Entro le plurali dimensioni del costrutto della Qualità della Vita, la nostra attenzione si è concentrata, in una seconda fase di indagini, su una specificità caratterizzante l’età adulta, ovvero l’integrazione lavorativa. Af- ferente, in modo trasversale, a più domini, quali ad esempio “Inclusione Sociale”, “Relazioni Interpersonali”, “Benessere Materiale”, “Autodeter- minazione”, tale scelta è stata diretta dall’importanza che questo aspetto ricopre nelle vite di adulti con disabilità, essendo concepito come un per- corso evolutivo nella direzione di un miglior funzionamento globale della persona, sia a livello soggettivo che intersoggettivo. La possibilità di assu- mere un ruolo lavorativo costituisce per le persone con disabilità una delle variabili per la determinazione di un’autentica autonomia. All’interno della riflessione pedagogico-speciale il tema della possibilità di inserimento la- vorativo e, ancor più, dell’orientamento al lavoro per la persona disabile, costituiscono parte integrante di una concettualizzazione più ampia, quella relativa all’assunzione di un’identità adulta, alla costruzione identitaria, all’autodeterminazione, alla socializzazione e alla cittadinanza del soggetto disabile (Boffo, Falconi e Zappaterra, 2012).
L’importanza per l’adulto disabile di essere inserito in un contesto lavo- rativo è stata esaminata prendendo in considerazione uno strumento quali-
tativo, cioè le interviste strutturate brevi, composte da sei domande. Al fine di avere una visione più ampia dell’effettiva condizione analizzata, entro il territorio marchigiano, sono state somministrate le interviste al personale amministrativo di tre strutture sociali: un centro diurno socio educativo e riabilitativo, una struttura sanitaria residenziale che accoglie persone con disabilità fisica medio-grave o con problemi a livello psichico e l’UMEA, ovvero l’Unità Multidisciplinare dell’Età Adulta rivolta a persone adulte in condizioni di disabilità dai 18 ai 65 anni. Nello specifico sono stati inter- vistati il coordinatore e il direttore sanitario del centro diurno, la responsa- bile di un laboratorio (che si occupa nello specifico di lavorare il pellame) della struttura sanitaria residenziale e il responsabile dell’UMEA.
Tale ricerca, esaminata nel paragrafo “L’integrazione lavorativa degli adulti con disabilita”, è stata condotta al fine di rilevare, da un lato, la cor- relazione tra l’istituzionalizzazione e la conseguente formazione del disabi- le, nonché l’inserimento reale nel contesto lavorativo, dall’altro, la relazione che si instaura tra il grado di disabilità riportato e la possibilità effettiva di inserimento lavorativo.