Le dinamiche di sviluppo individuali e sociali, in considerazione anche del continuo emergere di nuove e vecchie minoranze, porranno sempre di più la questione dell’inclusione come tema culturale, politico e metodolo- gico. L’educazione rappresenta indubbiamente uno dei principali strumenti strategici nei processi di sviluppo di tutti i Paesi. In tal senso, sia la ver- sione originale dell’Index sia quella dell’Index for inclusion and empower-
ment presentano un costrutto teorico volto a promuovere lo sviluppo dei contesti educativi valorizzando le differenze, per garantire il diritto all’e- ducazione a tutti attraverso l’abbattimento delle barriere alla partecipazione ed all’apprendimento. A fianco dell’Index, sono vari i documenti interna- zionali che nel corso degli ultimi decenni hanno segnato l’evoluzione del concetto stesso di inclusione, sottolineando il passaggio da un modello di
5. La capacità di individui, gruppi e/o comunità di assumere il controllo delle pro- prie condizioni, esercitare potere e raggiungere i propri obiettivi; e il processo attraverso il quale, individualmente e collettivamente, sono in grado di aiutare se stessi e gli altri a massimizzare la qualità delle loro vite (trad. dell’autrice).
lettura di tipo medico assistenziale della disabilità ad un modello sociale (Oliver, 1990) e fondato sui diritti umani della disabilità (ONU, 2006) e sul rispetto di tutte le differenze che possono caratterizzare gli esseri umani6.
In particolare, il modello sociale e quello fondato sui diritti sottolineano come, per promuovere veramente processi inclusivi, sia necessario, da un lato, riconoscere la centralità del soggetto, o meglio del cittadino, con tutte le sue peculiarità e, dall’altro, avere la consapevolezza che l’inclusione è il risultato di un’assunzione di corresponsabilità sociale, per evitare la deri- va dell’assistenzialismo. Partecipazione ed empowerment7 rappresentano
i pilastri fondamentali di questa interpretazione dell’inclusione: infatti, solamente una volta che tutti diventano consapevoli delle proprie potenzia- lità, queste possono essere rafforzate dai soggetti stessi ed essere messe a disposizione della comunità all’interno di un progetto di vita che, inevita- bilmente, deve tener conto delle reali opportunità di scelta e di sviluppo. Il mancato investimento nei processi di inclusione sociale va a liquefare le possibilità di realizzazione di un nuovo modello di sviluppo8.
Quanto affermato trova una risposta pragmatica nella agenda 2030 delle Nazioni Unite (ONU, 2015) dove il paradigma dell’inclusione è trasver- sale, sebbene con sfumature ed accenti diversi, ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. In particolare, l’obiettivo 4 “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva ed opportunità di apprendimento per tutti” sottolinea l’importanza strategica dell’educazione nel migliorare le condizioni di vita delle persone e nel contribuire ad uno sviluppo sostenibile costruito sulle competenze dei cittadini.
L’elemento innovativo dell’SDG 49, rispetto a quello degli Obiettivi del
Millennio, è l’aver esplicitato che per uno sviluppo sostenibile non basta, pur essendo fondamentale, garantire l’accesso all’istruzione a tutti10, ma è
6. Tra i principali si ricordano: la Convention of the Rights on the Persons with Disabilities (ONU, 2006), Dichiarazione di Salamanca (Unesco, 1994), Policy Guidelines on Inclusion in Education (Unesco, 2009).
7. Rappaport (1981), il primo autore a coniare e a definire il termine di empowerment, indica come esso sia un processo di “acquisizione del potere inteso come crescita delle possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita”. Questa, che può essere considerata la prima definizione di empowerment è stata perfezionata, negli an- ni dall’autore stesso e da altri teorici e arricchita con maggiori dettagli (Dallago, 2012, p. 36).
8. Friedman (1992) suddivide l’empowerment in tre tipologie: empowerment sociale- economico (inteso come accesso alle risorse come il tempo, le conoscenze, le reti sociali etc), empowerment politico (accesso alle decisioni)ed empowerment psicologico (senso di potenza individuale). Le tre tipologie devono essere promosse congiuntamente per ottenere risultati più efficaci e duraturi in contesti svantaggiati.
9. SDG è l’acronimo di Sustainable Development Goals.
10. Secondo dati ONU 2015, l’iscrizione nella scuola primaria nei Paesi in via di svi- luppo ha raggiunto il 91%, tuttavia 57 milioni di bambini sono ancora esclusi.
necessario anche assicurare un’educazione di qualità, richiedendo, quindi, ai Paesi di tutto il mondo di impegnarsi nel qualificare l’offerta educativa nel suo complesso, rispettando in particolare i criteri di equità e di inclu- sione. Ciò implica una revisione, ad esempio, delle politiche educative, della formazione degli insegnanti, degli investimenti sull’accessibilità: ri- chiede azioni di sensibilizzazione verso la comunità educativa e la ridistri- buzione delle risorse all’interno del sistema educativo.
L’empowerment suggerisce un preciso approccio allo sviluppo degli interventi e stimola l’attivazione di processi che mirano al cambiamento sociale, all’attivazione di risorse e competenze, attraverso modelli di azione che richiedono la ricerca del miglioramento, di sviluppare negli individui e nei gruppi la voglia di esprimere i propri bisogni e di cercare di soddisfarli contrastando atteggiamenti passivi inclini ad accettare status quo e inegua- glianze (Dallago, 2012).
L’empowerment è anche la conquista di un senso di padronanza e di controllo verso la propria vita e rappresenta quindi un antidoto alla logica dell’assistenzialismo costruita, invece, su relazioni di potere basate sulla dipendenza di soggetti più deboli rispetto ad altri più forti. Sulla base di queste riflessioni è evidente che inclusione ed empowerment sono due con- dizioni imprescindibili per intraprendere il percorso di uno sviluppo soste- nibile a livello globale.
Se si pensa ai Paesi in conflitto o, comunque, in condizioni di grande sofferenza sociale ed economica, bisognerebbe chiedersi quale sia il potere di definizione di sé che le persone hanno e come agire attraverso l’educa- zione per contrastare le diseguaglianze. Ancora, che cosa significa vivere ed educare in un contesto connotato da molti e diversi elementi di fragilità? Da quelli di natura sociale ed economica a quelli di natura esistenziale il cui confine spesso tende a confondersi fino a confluire in una situazione complessiva di disagio (Lizzolla, 2011). Su quel confine andrebbe costruito un percorso nel quale le dimensioni di forza e fragilità possano intrecciarsi in una prospettiva costruttiva, orientata a progettare opportunità attraverso le quali rafforzare le proprie capacità, poiché la condizione di fragilità non è priva di capacità, di risorse e di possibilità.
Alla luce di questa lettura, la vulnerabilità, che caratterizza sempre di più gli attuali contesti di vita, può essere percepita come un “luogo abitabi- le” in cui cercare e costruire un senso compiuto della propria esistenza sia individuale sia insieme alla collettività.
Quanto affermato si collega ad una lettura che pone l’accento sulla di- mensione pedagogica dell’empowerment, mettendo al centro “il contributo soggettivo alla costruzione della propria esistenza” attraverso un intervento pedagogico che prevede la partecipazione del soggetto “alla costruzione
del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo” (Bertolini e Caronia, 2015, pp. 57-58)11.
In un contesto connotato da esperienze di deprivazione e violenza come quello della Palestina vi è il rischio che la realtà costringa il processo di costruzione di una visione del mondo (soprattutto in età evolutiva) entro confini prefigurati. Secondo Caronia, certamente determinate condizioni di vita possono “limitare la scelta dei significati loro attribuibili entro una gamma piuttosto angusta”, questo però non implica che la capacità di attri- buire significato da parte del soggetto sia annullata e che quindi “quei fat- tori – sempre che presenti – determinino meccanicisticamente le forme di comportamento assunte” dall’individuo e dal gruppo (Bertolini e Caronia, 2015, p. 59).
Tale prospettiva evidenzia come l’attivazione di processi di empower-
ment diventino strategici nello stimolare il contributo del soggetto nel co- struire e attribuire significati nuovi alla propria esperienza di vita, aprendo alla progettazione di futuri scenari esistenziali non per forza riconducibili a quello attuale, pur conservando attenzione per le reali condizioni di vita12.
Il processo di empowerment, in tal senso, dovrebbe essere orientato alla costruzione di un percorso sviluppato tra l’oggettività dei confini dell’at- tuale e l’orizzonte del possibile. Si tratta evidentemente di un compito che appartiene nello stesso tempo alla sfera dei percorsi di crescita dei singoli soggetti e a quella dei gruppi sociali di cui tali soggetti fanno parte.