II. HONG KONG DAL SECONDO DOPOGUERRA ALLA DICHIARAZIONE
7. I Negoziati Sino-Britannici e la Joint Declaration
Sir Edward Youde, successore di MacLehose, assunse la carica di governatore nel maggio del 1982. Il suo insediamento avvenne in un periodo difficile e di grande ansia. Dopo la visita della Thatcher, la borsa di Hong Kong aveva perso il 25% del suo valore e il dollaro di Hong Kong, in un mese, era stato svalutato del 12%. Tuttavia, pare che, nonostante il senso di tradimento derivato dal British National Act del 1981, la maggioranza della popolazione di Hong Kong continuasse a preferire l’amministrazione britannica e chiedesse a gran voce una soluzione in questo senso per il futuro di Hong Kong231.
Per Londra, Youde era la persona più adatta a trovare un accordo con la RPC. Il nuovo governatore parlava mandarino fluentemente ed era stato ambasciatore a Pechino, inoltre si era occupato del negoziato con i Comunisti cinesi nel 1949 per il rilascio della HMS Amethyst232.
La prima fase dei negoziati durò dall’ottobre 1982 a giugno 1983. Per i cinesi, l’obiettivo di questa prima fase era assicurarsi la cooperazione britannica per mantenere stabilità e prosperità sull’isola. La Cina pretendeva che la Gran Bretagna riconoscesse la sovranità della RPC su Hong Kong, ma Londra rifiutava. Nel frattempo, la RPC approvò una nuova costituzione che, all’Articolo 31, prevedeva l’istituzione di regioni amministrative speciali a Hong Kong, Macao e Taiwan. L’ambasciatore britannico Sir Percy Cradock dichiarò che la Gran Bretagna rischiava in questo modo di essere esclusa dalle discussioni più significative, mentre il futuro di Hong Kong veniva deciso a Pechino233.
I dibattiti procedettero a lungo senza che si trovasse una soluzione. L’impasse venne risolto solo dopo che Margaret Thatcher fece un passo indietro rispetto alla sua posizione iniziale, accettando che la sovranità di Hong Kong tornasse alla Cina. L’unica condizione
231 Cfr. Tsang, Steve, A Modern History of Hong Kong, I. B. Tauris, London 2007, p. 220.
232 Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States
2007, p. 180.
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posta dal primo ministro inglese fu che la gente di Hong Kong avrebbe dovuto accettare questo passaggio di sovranità.
Secondo Shigong Jiang, un teorico politico cinese, Deng Xiaoping riuscì a smontare la posizione della Thatcher. L’atteggiamento iniziale del primo ministro inglese era dovuta alla vittoria britannica contro l'Argentina nelle isole Falkland. Quindi forte di questa dimostrazione di forza, la Thatcher credeva di avere una possibilità di convincere Deng. Era chiaro però, che la Cina non fosse l'Argentina e Hong Kong non fosse le isole Malvina (pare che lo stesso Deng una volta l'avesse detto al suo staff ). Per Deng e i suoi funzionari la guerra delle Falkland e la vittoria britannica non dimostravano niente, la situazione di Hong richiedeva forza politica, non forza militare. Uno scontro armato era fuori discussione. L’altro punto su cui insisteva la Thatcher era quello economico. Lei affermava che la prosperità di Hong Kong fosse necessariamente legata all'amministrazione britannica. Deng Xiaoping, che vedeva la sovranità come la questione di maggior peso rispetto alla prosperità economica, sosteneva invece che, quest’ultima dipendesse non tanto dal governo britannico, ma dall’introduzione del sistema capitalista. Inoltre, lui affermava che non ci fosse mai stata una cessione della sovranità di Hong Kong ai britannici da parte della Cina e, che i Trattati Ineguali erano stati il frutto di un’imposizione del governo britannico al governo Qing con la diplomazia delle cannoniere234. Se la Gran Bretagna non avesse fatto un passo indietro, Pechino sarebbe andata avanti anche senza un accordo, e questo Cradock l’aveva compreso.
La seconda fase dei negoziati iniziò nel luglio del 1983. Il team di negoziazione cinese era inizialmente guidato dal vice-ministro degli Esteri Yao Gang, poi sostituito dall’assistente del ministro degli Esteri Zhou Nan. Il team inglese era guidato da Cradock, anche lui sostituito, nel 1983, dall’ambasciatore Richard Evans.
«C’era un tacito accordo negli ambienti inglesi e di Hong Kong che il governatore Youde avrebbe rappresentato Hong Kong. Tuttavia, quando Youde lo confermò in un’intervista, il governo cinese si oppose. Il ministero degli Esteri cinese pubblicò una dichiarazione di rifiuto affermando che Youde non rappresentava Hong Kong ed era accettabile per la RPC solo come membro della delegazione britannica»235.
Per la RPC i negoziati dovevano svolgersi unicamente tra la Gran Bretagna e la Cina, la quale avrebbe rappresentato la popolazione di Hong Kong. I cittadini della colonia non presero parte ai negoziati, non avendo rappresentanti eletti che potessero
234 Cfr. Jiang, Shigong, China’s Hong Kong: A Political and Cultural Prospective, Springer and Foreign
Language Teaching and Research Press, Singapore 2017, p. 75-84
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parlare per loro. Fu il governo cinese a scegliere un rappresentante de facto per Hong Kong: Xu Jiatun, membro del Partito Comunista e direttore della Xinhua News Agency sull’isola.
La maggioranza dell’opinione pubblica a Hong Kong si opponeva al ritorno al dominio cinese; tuttavia, Deng Xiaoping era convinto che in realtà non fosse così. A nulla valse il tentativo fatto da alcuni membri del Consiglio Esecutivo, sotto la spinta di Xu, di far capire a Deng quale fosse effettivamente il pensiero dei cittadini di Hong Kong. «Deng insistette che lui conosceva la popolazione di Hong Kong meglio di quanto questa conoscesse se stessa e che agiva nel suo interesse»236.
La seconda fase dei negoziati incontrò fin da subito diverse difficoltà. L’ostacolo principale era dato dalla speranza della Gran Bretagna di amministrare l’isola dopo il 1997. Londra non voleva conservare la sovranità ma rinunciare a essa in cambio della possibilità di amministrare Hong Kong il più a lungo possibile dopo il 1997, anche se sotto il dominio cinese. Naturalmente, i cinesi rifiutarono l’idea, sostenendo che sovranità e amministrazione non potessero essere separate237. Alla fine del 1983, Deng comunicò
che se i negoziati non fossero stati completati al 1° ottobre del 1984 la RPC avrebbe emanato una dichiarazione unilaterale. Davanti all’intransigenza cinese, i britannici alla fine accettarono il fatto che non avrebbero amministrato Hong Kong dopo il 1997, dichiarando nel novembre 1983 che non ci sarebbe stato nessun legame di autorità tra l’isola e Londra. Un altro ostacolo sorse nell’estate del 1984, quando i cinesi suggerirono l’istituzione di una commissione congiunta a Hong Kong per supervisionare la transizione. «Sebbene i cinesi non volessero che la commissione diventasse un governo ombra, quando le notizie trapelarono la maggior parte delle persone a Hong Kong temettero che questo fosse esattamente ciò che sarebbe successo»238. Per il governatore Youde la creazione di una simile istituzione era inaccettabile, per cui propose invece il Sino-British
Joint Liaison Group, un gruppo di lavoro con funzione strettamente consultiva.
«Firmata dalla Thatcher e dal premier Zhao Ziyang il 19 dicembre del 1984, e ratificata il 28 maggio 1985, la Sino-British Joint Declaration delineava i principali termini dell’accordo riguardo il futuro status politico di Hong Kong. Tutta Hong Kong sarebbe tornata sotto il dominio cinese il 1° luglio 1997. La Gran Bretagna avrebbe amministrato Hong Kong fino ad allora e avrebbe aiutato a mantenere la prosperità economica e la stabilità sociale; la RPC avrebbe cooperato nel processo. Hong Kong sarebbe diventata
236 Ivi p. 223, cita Deng, Deng Xiaoping Wenxuan, vol. 3, p. 60.
237 Cfr. ibid.
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zona SAR con grande livello di autonomia, ad eccezione della difesa e degli affari esteri»239.
Il sistema economico e sociale e la maggior parte delle norme in vigore sarebbero rimasti invariati. Lo stile di vita, i diritti e le libertà di parola, stampa, associazione, sciopero e religione venivano assicurati per legge. Come SAR, Hong Kong sarebbe rimasta un porto libero con separato territorio doganale; la città non avrebbe dovuto pagare tasse alla Cina, rimanendo indipendente dal punto di vista finanziario. Hong Kong avrebbe mantenuto anche la capacità di stringere relazioni e concludere accordi in autonomia con altri stati e organizzazioni internazionali, sia per scopi economici che culturali. Il governo di Hong Kong sarebbe stato autonomo anche nel distribuire i documenti di ingresso e uscita dal suo territorio e avrebbe avuto la responsabilità nel mantenere l’ordine pubblico e la sicurezza240. Le truppe della Chinese People’s Liberation Army stazionate a Hong Kong non avrebbero interferito nelle questioni interne
alla SAR241.
«Questo progetto di “un Paese, due sistemi” – che la Thatcher descrisse come “un’idea ingegnosa” e Deng Xiaoping chiamò “prodotto della dialettica marxista e materialismo storico” – sarebbe durato per cinquant’anni dopo il 1997»242.
Dopo due anni di incertezza e tensioni, le reazioni locali furono miste. Anche se, dai sondaggi, la maggior parte della popolazione preferiva che Hong Kong restasse britannica, molti erano arrivati ad accettare che questa non sarebbe stata la realtà. Dopo tutto, l’alternativa era non avere alcun accordo e, nonostante la paura di vivere sotto il dominio cinese, in generale c’era un senso di sollievo e la voglia di guardare al futuro. Non mancava comunque, una certa frustrazione, da parte della popolazione, per non aver avuto la possibilità di intervenire nel processo243.
239 Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States
2007, p. 181.
240 Cfr. Tsang, Steve, A Modern History of Hong Kong, I. B. Tauris, London 2007, p. 226, e Carroll, John
M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States 2007, p. 181.
241 Cfr. Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States
2007, p. 181.
242 Ibid.
243 Carroll riporta come questa frustrazione fosse stata ben rappresentata da Zunzi, un vignettista politico,
il quale aveva raffigurato la Thatcher e Deng Xiaoping come genitori e Hong Kong come una ragazza in procinto di sposarsi con un rotolo di carta, ossia la Joint Declaration. Con questo il vignettista voleva lasciar intendere che il ritorno di Hong Kong alla Cina era come un tradizionale matrimonio cinese organizzato, in cui la sposa non ha voce.
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Per i cinesi, la Joint Declaration era la strada giusta per preparare Hong Kong ad una riunificazione che fosse il più fluida possibile e assicurare alla popolazione di Hong Kong che non ci sarebbero stati cambiamenti nello stile di vita. Per i britannici, l’accordo era un modo per proteggere Hong Kong dopo il loro ritiro nel 1997, ma soprattutto volevano che tutto ciò non apparisse come una resa da parte di Londra o come un tradimento della gente dell’isola. Questo, secondo John M. Carroll, aiuta a spiegare perché i britannici fecero piccoli tentativi di introdurre la democrazia a Hong Kong durante i negoziati, sia per proteggere Hong Kong, sia per rendere il passaggio al dominio cinese più accettabile al parlamento inglese244.
«Nell’ultimo giorno dei negoziati prima della firma della Sino-British Joint Declaration su Hong Kong nel 1984, Sir David Wilson245, [membro del team di negoziato britannico e] futuro governatore di Hong Kong, uscì dalla stanza dove si svolgevano i negoziati agitando il pugno in trionfo. Egli annunciò ai suoi compagni della delegazione britannica: “We got elections!”»246.
Ciò a cui si riferiva Wilson era il processo per la selezione del Legislative Council (LegCo) di Hong Kong dopo la cessione. I cinesi concessero solo alla fine dei negoziati che il LegCo fosse costituito sulla base di elezioni. In cambio, i britannici accettarono che il capo dell’esecutivo, ruolo equivalente a quello di governatore per il dopo 1997, sarebbe stato deciso da Pechino sulla base di elezioni o consultazioni da tenersi sempre a Hong Kong247. Non potendo introdurre le elezioni in maniera immediata, nel 1984, l’idea del
governo di Hong Kong fu di sviluppare gradualmente il sistema elettorale, partendo dall’elezione diretta di pochi membri del LegCo nel 1988, fino a raggiungere un numero più significativo di eletti nel 1997248. Nonostante i britannici avessero presentato nella maniera più chiara possibile quale fosse la loro idea di democratizzazione, i quadri cinesi trovavano difficoltoso capire ciò che i britannici tentavano di raggiungere. Si procedette quindi con i negoziati fino alla fine senza lamentele da parte della RPC.
«L’implementazione della Joint Declaration dipendeva in definitiva dalla buona volontà, dalla sincerità e dalle capacità cinesi di interpretare correttamente i suoi termini. Non c'è bisogno di dubitare dei primi due fattori. Il governo cinese non sarebbe entrato in trattative così lunghe e difficili solo per ridurre il suo prodotto finale a un pezzo di carta 244 Cfr. Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States
2007, p. 182.
245 Dopo la morte del governatore Youde, avvenuta nel dicembre 1986 per un attacco cardiaco, e la sua
sostituzione temporanea da parte del capo segretario David Akers-Jones (governatore provvisorio fino all’aprile del 1987), Sir David Wilson assunse la carica di governatore di Hong Kong.
246 Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group, Australia
2017, p. 21.
247 Cfr. Ibid.
248 Cfr. Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States
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senza valore. Tuttavia, l'interpretazione rimane un grosso problema […]. In un certo senso, [i cinesi] non sapevano davvero cosa si erano impegnati a mantenere invariato per cinquanta anni. La Joint Declaration avrebbe dovuto assicurare il futuro di Hong Kong, ma non lo ha fatto, almeno non del tutto o in modo sicuro»249.
Nel 1985, dopo la ratifica della Joint Declaration, i cinesi iniziarono a vedere la democratizzazione come un complotto dei britannici, un tentativo per permettergli di continuare a governare Hong Kong dopo il 1997. Nel novembre 1985, Xu Jiatun, rappresentante della RPC a Hong Kong, accusò i britannici di violare gli accordi. I britannici, come compromesso, acconsentirono a non realizzare grandi riforme fino a dopo il 1990, anno di promulgazione della Basic Law, e che comunque, le riforme introdotte non l’avrebbero violata. In realtà il governo di Pechino e di Londra avevano stretto un accordo segreto che prevedeva il rinvio delle maggiori riforme costituzionali al 1991.