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II. HONG KONG DAL SECONDO DOPOGUERRA ALLA DICHIARAZIONE

4. I tumulti degli anni Sessanta

Agli inizi degli anni Sessanta, Hong Kong aveva recuperato la sua fama di luogo di incontro tra Oriente e Occidente, grazie allo sviluppo dell’industria leggera, in particolare nel campo dell’elettronica con la produzione di radio a transistor. Con il benessere iniziale arrivarono però anche le tensioni. A causa del denso flusso migratorio, la popolazione aveva raggiunto i cinque milioni: il maggiore incremento si verificò tra il 1958 e il 1960, durante il Grande Balzo in Avanti172 nella RPC, ma anche durante i tre anni di carestia successivi. In molti si spostarono verso la colonia alla ricerca di condizioni di vita migliori, ma la maggior parte non trovava lavoro e viveva in estrema povertà. Anche chi trovava impiego spesso veniva sfruttato, senza vedersi garantito alcun diritto173. Perché tutto ciò? Il sentimento di incertezza, dovuto allo status di migrante, spingeva molti ad accettare anche condizioni di vita e lavoro precarie: la parola d’ordine era sopravvivenza e la flessibilità la chiave per sopravvivere. L’incertezza era stata ben descritta da un consulente del lavoro britannico alla fine degli anni Cinquanta:

169 Ibid. 170 Ivi p. 146. 171 Cfr. ibid.

172 Programma di sviluppo economico voluto da Mao Zedong che avrebbe dovuto modernizzare la Cina,

ma che si rivelò un fallimento.

173 Cfr. Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group,

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«[…] i sindacati, e i diversi operai non sono mai sicuri del lavoro, dell’alloggio, del cibo o perfino il diritto di stare a Hong Kong. I capitalisti (proprietari di fabbriche e abitazioni) desiderano ritorni rapidi […] per paura che qualcosa possa accadere prima. Nessuno sa quanto a lungo Hong Kong esisterà, o quanto a lungo potrà prosperare»174.

La realtà indusse molti immigrati a fare di tutto per ottenere il massimo da ciò che avevano. C’era chi investiva in piccole imprese e chi lavorava come operaio non qualificato, ma non si trattava quasi mai di lavori permanenti. Le imprese nascevano e cambiavano produzione con rapidità, a seconda delle richieste del mercato; per quanto riguarda la forza lavoro, lo stipendio era basato sulla qualificazione degli operai e sul numero di pezzi prodotti. Le ore di lavoro erano estremamente lunghe e gli standard di salute e sicurezza bassi, ma la maggior parte preferiva lavorare piuttosto che restare senza uno stipendio. I sindacati in generale non aiutavano a migliorare le condizioni dei lavoratori, la loro azione era stata indebolita dalla polarizzazione dei sindacati più grandi e forti come la Federazione dei Sindacati dominata dai comunisti e il Consiglio Sindacale dominato dal Guomindang. La vicinanza di questi ultimi alla politica aveva impaurito i leader dei sindacati che temevano di venire allontanati dal governo coloniale se avessero adottato un approccio troppo attivista. Inoltre, la debolezza dei sindacati aumentava il senso di insicurezza dei lavoratori175.

«Con abitazioni affollate, estremi divari nella ricchezza, cattive condizioni lavorative, mancanza di rappresentanza politica e la predominanza di un’amministrazione corrotta, specialmente nelle forze di polizia, non sorprende che si verificarono delle rivolte nella primavera del 1966»176.

Una di queste proteste nacque quando, nel 1966, la Star Ferry Company, una compagnia di traghetti passeggeri, decise di aumentare il prezzo del biglietto. Il 4 Aprile dello stesso anno, un ragazzo, So Sau-chung, in opposizione alla decisione presa dalla compagnia, si recò al molo e dichiarò lo sciopero della fame. Il traghetto era un servizio pubblico fondamentale, in quanto unico collegamento tra l’isola di Hong Kong e la penisola di Kowloon, per cui non stupisce la reazione da parte della comunità. L’arresto di So Sau-chung, il giorno successivo, non fermò le proteste. In molti si riunirono a Kowloon per richiedere il suo rilascio. L’intervento della polizia ebbe come conseguenza quattro giorni di sommosse, saccheggi e incendi. Ci fu un morto e 1465 giovani furono

174 Tsang, Steve, A Modern History of Hong Kong, I. B. Tauris, London 2007, p. 168, cita CO1030/763,

‘Comments for the Colonial Office on some points in the report’ by Ogilvie, 27 August 1958, p. 7.

175 Cfr. Ivi p.170

176 Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

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arrestati177. I manifestanti alla fine ottennero ciò che era stato richiesto: il prezzo del biglietto venne aumentato di poco, ma solo per la prima classe. Nonostante tutto,

«la causa delle rivolte non sembrava essere economica. Né, malgrado la crescita di movimenti anticoloniali in tutto il mondo, sembrava essere anti-britannica. Piuttosto, i manifestanti esprimevano il loro malcontento sociale, così come i loro omologhi stava facendo in Gran Bretagna, Europa e altre parti del mondo»178.

Un’altra serie di proteste, immediatamente successive e legate al caso della Star Ferry Company, sono quelle conosciute come “Elsie’s Riots”. Elsie Elliot, avvocatessa della giustizia sociale e membro dell’Urban Council di Hong Kong, aveva guidato la campagna contro l’incremento dei biglietti ed era stata critica nei confronti della gestione delle proteste da parte del Segretario Coloniale. Dopo un’inchiesta ufficiale, la Elliot venne imputata di incitare i dimostranti e di fare accuse senza fondamento contro la polizia. Nonostante anche la commissione d’inchiesta avesse evidenziato le difficoltà e l’insicurezza della vita nella Colonia, l’amministrazione coloniale non lo tenne in considerazione. Le tensioni sociali, in particolare dovute alla mancanza di diritti per i lavoratori, continuarono a inasprirsi fino a intensificarsi meno di un anno dopo179.

Mentre nel 1967 in Cina, Mao portava avanti la Rivoluzione Culturale180, a Hong

Kong nel maggio dello stesso anno un confronto sui salari e le ore di lavoro si intensificò fino a sfociare in violenze. Con la Rivoluzione Culturale in atto,

«buona parte della Cina si trovava nel caos, il che portò al crollo nel governo nella vicina provincia del Guangdong così come anche a violente proteste anticoloniali nella portoghese Macao. Sentimenti anti-imperialisti e anticapitalisti presto si diffusero oltre i confini e dentro Hong Kong»181.

177 Cfr. Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group,

Australia 2017, p. 12.

178 Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

2007, p. 150.

179 Cfr. Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group,

Australia 2017, p. 12-13.

180 La Rivoluzione Culturale o Grande Rivoluzione Culturale Proletaria fu una campagna politica voluta da

Mao Zedong. La finalità del leader cinese era di rafforzare la sua posizione all’interno del Partito Comunista Cinese (PCC), dopo che si era indebolita a causa del fallimento del Grande Balzo in Avanti. Mao invitò i giovani studenti e figli di operai e contadini ad unirsi alla sua causa con l’obiettivo di realizzare la Rivoluzione Culturale. Mao li invitava a mettere in discussione la dirigenza del partito, ogni volta che il loro comportamento fosse ritenuto sbagliato. I giovani risposero numerosi e si organizzarono in gruppi autonomi con il nome di Guardie Rosse. La mobilitazione delle Guardie Rosse spesso si traduceva in violenze contro i rappresentanti politici, ma anche contro intellettuali e altri personaggi accusati di minare la rivoluzione. Mao era appoggiato in questa nuova campagna politica da Lian Biao, Ministro della Difesa, e dall’esercito. Fu proprio grazie a quest’ultimo che riuscì a riportare sotto controllo le Guardie Rosse, i quali con le loro azioni rischiavano di far scoppiare una nuova guerra civile. La fine della Rivoluzione venne sancita dal IX Congresso del PCC nell’aprile del 1969 e Mao riassunse la dirigenza del partito.

181 Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group, Australia

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Le proteste, che durarono per più di sei mesi, vennero organizzate e supportate da sindacati di ispirazione comunista, come la Hong Kong Federation of Trade Unions (FTU), o anche dal ramo locale del PCC, la Hong Kong and Macau Work Commitee. Quindi, sotto la spinta degli eventi in corso, anche a Hong Kong gli attivisti si scontrarono con la polizia coloniale. «I manifestanti bruciavano le macchine e attaccavano la polizia, mentre le scuole di sinistra incoraggiavano i loro studenti a partecipare con bombe fabbricate nei laboratori scolastici di scienze e piazzate in tutta la colonia»182.

Nell’aprile del 1967, la Hong Kong Artificial Flower Company nel distretto di San Po Kong, Kowloon, annunciò nuove pesanti condizioni per i lavoratori, che avrebbero ridotto la sicurezza sul lavoro e gli stipendi. Il tentativo di negoziare con la dirigenza non andò a buon fine e, in risposta alle proteste, 600 operai vennero licenziati. I lavoratori venivano supportati dalla FTU e presto gli scioperi si trasformarono in confronti violenti con l’intervento della polizia.

A maggio, sotto la guida della sede di Hong Kong della Xinhua News Agency183, gli scioperi divennero politici: venivano appesi poster di condanna delle autorità coloniali, i lavoratori sfoggiavano il Libretto Rosso di Mao, urlavano slogan anti-britannici e cantavano canzoni rivoluzionarie davanti al Palazzo del Governo. Anche in questo caso si arrivò allo scontro violento con la polizia. Nello stesso periodo, si svolsero manifestazioni anti-colonialismo anche a Pechino. Il Vice Ministro per gli Affari Esteri della RPC, Luo Cuibo, presentò all’Incaricato d’affari britannico a Pechino, Donald Hopson, una protesta formale e una lista di richieste:

«accettare tutte le richieste dei lavoratori, liberare tutti gli arrestati, mettere fine alle “misure fasciste”, chiedere scusa alle vittime e risarcirle, garantire che non ci sarebbero più stati incidenti simili. Luo condannava le “atrocità” e la “oppressione sanguinaria” britannica come parte della “collusione con l’imperialismo statunitense contro la Cina” del governo britannico e accusava gli inglesi di lasciare che gli Stati Uniti usassero Hong Kong come “base per l’attacco contro il Vietnam”»184.

Quindi, la Cina sosteneva che le atrocità commesse ad Hong Kong fossero parte di un piano contro la Repubblica Popolare messo in atto da britannici e statunitensi. Questi ultimi, dal canto loro, non vollero interferire; essi ritenevano infatti che fosse una questione riguardante la RPC e la Gran Bretagna e, inoltre, non era coinvolto nessun

182 Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

2007, p. 150.

183 L’ambasciata de facto di Pechino a Hong Kong prima del 1997.

184 Cfr. Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

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cittadino americano. Inizialmente il governo britannico si rifiutò di commentare la lista di richieste di Pechino e, il 18 maggio, rilasciò una dichiarazione nella quale ribadiva il suo supporto al governo di Hong Kong nella sua attività di mantenimento dell’ordine.

Dalla fine di maggio fino ai primi di giugno, gli scioperi si erano diffusi in molti settori: nei trasporti, nella produzione di cibo e nel settore del commercio al dettaglio, nelle fabbriche tessili e anche in alcuni dipartimenti governativi185. Il 22 giugno, la Camera dei Lord discusse della situazione nella colonia: la Gran Bretagna veniva richiamata a mantenere la sicurezza nell’isola, ma anche a migliorare le condizioni lavorative dei suo abitanti.

I mesi di luglio e agosto furono caratterizzati da una serie di attentati terroristici con bombe nascoste in tutta la città. In uno di questi attentati morirono due bambini, uccisi mentre giocavano per strada. L’evento portò l’opinione pubblica, per la prima volta, a schierarsi in supporto all’amministrazione coloniale contro i manifestanti.

Il governo cinese era estremamente preoccupato per la pesante risposta della polizia e dell’esercito nei confronti dei manifestanti a Hong Kong. Ma ciò che più sembrava turbare Pechino era l’arresto dei giornalisti cinesi, a cui rispose con il fermo di corrispondenti britannici. Inoltre, quando la polizia di Hong Kong faceva incursione nei negozi pro-Pechino, chiudeva i giornali e arrestava i sostenitori delle proteste, le Guardie Rosse rispondevano con violenza186. Un’altra risposta del governo cinese fu sospendere i privilegi diplomatici per gli inglesi, e Londra fece altrettanto con i cinesi.

A settembre, le relazioni tra Gran Bretagna e Cina cominciarono a migliorare. I manifestanti stavano perdendo il supporto di Pechino ed erano divisi tra chi chiedeva minor violenza e chi spingeva per ulteriori attacchi. Il governo coloniale era riuscito a far chiudere molti quartieri generali dove si riunivano gli scioperanti, ed ebbe un atteggiamento indulgente verso coloro che promettevano di non attaccare di nuovo. Alla fine del mese si arrivò vicini ad un termine negli scontri:

«cinquantuno persone erano state uccise (inclusi dieci agenti di polizia) e 832 feriti. La polizia denunciò più di 8000 possibili bombe, di cui più di 1000 erano vere. Quasi 2000

185 Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

2007, p. 153.

186 Ivi p. 156. Per esempio, il 22 agosto, le Guardie Rosse incendiarono la missione britannica a Pechino,

aggredirono fisicamente Hopson e due donne della missione, finché non intervennero soldati cinesi per scortare i diplomatici verso un luogo sicuro.

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persone furono dichiarate colpevoli di diversi crimini, inclusi sommosse, assemblee non autorizzate e reati connessi ad esplosivi»187.

Nel periodo conclusivo delle proteste, la Cina era diventata sempre più critica nei confronti delle tattiche dei manifestanti e alla fine aiutò i britannici a tenerli a bada, in maniera che non diventassero troppo forti188. Per esempio, dopo che le Guardie Rosse interruppero i rifornimenti per l’isola, la RPC li reindirizzò verso l’isola e continuò a resistere ad ogni richiesta di «rovesciare il sistema coloniale e capitalista di Hong Kong»189. Fino a dicembre non mancarono alcuni conflitti a Hong Kong, Kowloon e nel confine con la Cina. Le denunce per la presenza di ordigni e i disordini in generale si attenuarono intorno al gennaio del 1968.

Come ha scritto John M. Carroll, non è difficile comprendere perché i partecipanti alle proteste non avessero trovato un supporto totale da parte della comunità di Hong Kong. La popolazione della colonia includeva moltissime persone scappate dal governo comunista cinese e che «vedeva la Rivoluzione Culturale con terrore e repulsione»190. La

maggior parte dei giovani manifestanti partecipava alle proteste in risposta al trattamento ricevuto dalla polizia nei tumulti del 1966, non tutta la comunità studentesca supportava le manifestazioni.

«La Federation of Students chiese la fine delle violenze, l’Unione degli Studenti dell’Università di Hong Kong mandò al governo un messaggio di supporto. Molte organizzazioni della comunità, associazioni professionali e scuole espressero il loro supporto, mentre un sacco di persone si unì all’Hong Kong Auxiliary Police Force»191.

I disagi creati dalle manifestazioni violente portarono molti ad appoggiare il governo coloniale. Anche la polizia, che all’inizio delle proteste era considerata causa della violenza e sproporzionata nei metodi, ora veniva trattata da eroe. «Per il suo leale

187 Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group, Australia

2017, p. 15.

188 Al governo cinese erano arrivate voci sulla vita sfarzosa di alcuni personaggi prominenti tra i

manifestanti e questo veniva molto criticato. Inoltre, c’erano stati alcuni episodi che avevano imbarazzato il governo della RPC come quando si scoprì che alcune relazioni sulle atrocità della polizia erano state falsificate, o che uno dei leader della Anti-British Struggle Committee (comitato pro-Pechino nato nel 1967 il cui bersaglio era il governo di Hong Kong) aveva disertato per Taiwan.

189 Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

2007, p. 156.

190 Ivi p. 157. 191 Ibid.

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servizio, nel 1969 la Regina Elisabetta ribattezzò le forze di polizia in Royal Hong Kong Police Force»192.

Gli effetti delle proteste del 1966-1967 furono diversi e importanti. Il movimento Comunista locale aveva subito un duro colpo ma, allo stesso tempo, aveva guadagnato diversi sostenitori pro-Pechino. In questo contesto, il trattamento riservato agli oppositori dal governo e dalla polizia di Hong Kong aveva avuto un ruolo fondamentale. Comunque, per la maggioranza degli abitanti, le agitazioni avevano garantito al governo coloniale nuova popolarità e legittimazione193. Ancora una volta «le proteste del 1967 sembrarono la prova che la vita a Hong Kong era migliore rispetto al continente e che le persone a Hong Kong non avevano molto da guadagnare da qualsiasi tipo di campagna anti- britannica»194. In una situazione in cui gli individui erano forzati a scegliere tra la RPC e

Hong Kong, la maggioranza decise di schierarsi con la colonia.

Un altro punto da considerare è che, nonostante le violenze e i morti, le dimostrazioni fecero da catalizzatore per le riforme degli anni Settanta.

«[Le proteste] evidenziarono profondi problemi sociali a Hong Kong: povertà, disuguaglianza, mancanza di diritti sul lavoro e inadeguate educazione e abitazioni. Hong Kong a quel tempo non aveva nessun sistema di sicurezza sociale né previdenza pubblica o un regime di pensionamento»195.

Quindi, le dimostrazioni attirarono l’attenzione del governo coloniale e spinsero per un miglioramento nei rapporti di lavoro, favorirono un senso di appartenenza, perfezionarono la comunicazione tra il governo e gli abitanti, e ampliarono l’educazione196. In particolare, per quanto riguardava gli operai, «le ore lavorative furono

ridotte e venne promulgata una nuova legge sull’impiego. Una miriade di riforme per il lavoro migliorarono la salute e gli standard di sicurezza, vennero introdotte anche tutele per la retribuzione dei lavoratori e per il contratto d’impiego»197.

192 Ivi. P. 158.

193 Cfr. Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

2007, p. 158.

194 ibid.

195 Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group, Australia

2017, p. 15.

196 Cfr. Carroll, John M., A Concise History of Hong Kong, Rowman & Littlefield Publishers, United States

2007, p. 158.

197 Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group, Australia

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