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IV. DOPO IL 1997: HONG KONG IN CINA

8. La rivolta dei localisti

In seguito alla Rivoluzione degli Ombrelli, incentrata principalmente sulla richiesta di una democrazia rappresentativa, nuovi e diversi gruppi di protesta diventarono sempre più attivi. Si trattava di quei gruppi che sono stati definiti “localisti”. Al loro interno si trovavano una frangia più moderata, che chiedeva semplicemente una minore intromissione di Pechino a Hong Kong, e una più radicale, che domandava l’indipendenza dell’isola. Con il termine “localisti”, in generale, si descrivevano coloro che volevano preservare l’identità di Hong Kong e la sua unicità in tutti gli aspetti possibili. Per molti di loro, i partiti pro-democrazia, protagonisti delle manifestazioni del 2014, non avevano fatto molto per rappresentare gli interessi di Hong Kong. È proprio a causa di questa insoddisfazione che i “localisti” spingevano per il passaggio da una resistenza non- violenta a una radicale, in quanto ritenevano che la polizia avesse inflitto ai manifestanti non armati livelli di violenza inaccettabili. L’uso della forza da parte di chi protestava era pertanto giustificato, dato che essi dovevano proteggere se stessi, l’identità e la dignità stessa di Hong Kong418.

Nel 2016, i localisti ricevettero grande supporto soprattutto dai giovani hongkonghesi, frustrati per i risultati delle manifestazioni degli anni precedenti. È da questa insoddisfazione che nacquero le proteste e gli scontri con la polizia nella notte tra l’8 e il 9 febbraio 2016, giorno del Capodanno Lunare, conosciute come il “Mong Kok Riot” o “Fishball Riot” (la “Rivoluzione delle polpette di pesce”). I disordini iniziarono quando alcuni agenti di polizia inasprirono i controlli sui venditori ambulanti senza licenza a Mong Kok, area commerciale popolare. Lo street market ha una lunga tradizione in Cina, e le autorità di Hong Kong, per molto tempo, avevano chiuso un occhio sui

417 Wong, Joshua, Ng, Jason Yi, Noi siamo la rivoluzione: Perché la piazza può salvare la democrazia,

Feltrinelli Editore, Milano 2020, p. 64.

418 Cfr. Kwong, Ying-ho, «State-Society Conflict Radicalization in Hong Kong: the Rise of ‘Anti-China’

Sentiment and Radical Localism», in Asian Affairs, (2016), 47:3, 428-442, DOI: 10.1080/03068374.2016.1225897. link: https://doi.org/10.1080/03068374.2016.1225897

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negozianti senza licenza che vendevano snack locali come polpette di pesce e tofu puzzolente durante le festività419. Tuttavia, in quell’occasione, gli agenti del Hong Kong’s Food and Enviromental Hygiene Department cercarono di allontanarli. Questo spinse poche centinaia di attivisti all’azione, sotto la guida del gruppo politico localista Hong Kong Indigenous, per “proteggere” i venditori. La conseguenza fu uno scontro violento con la polizia, con l’uso di bastoni e spray al peperoncino, mentre gli attivisti risposero con il lancio di oggetti. Ci furono anche degli spari, che al termine degli scontri furono confermati dal sovrintendente della polizia Yau Siu-kei. Si trattò, secondo le sue parole, di due colpi di avvertimento per disperdere la folla420.

«I protestanti e la polizia si impegnarono in scontri con un livello di ostilità di gran lunga superiore a quello che si era visto durante la Rivoluzione degli Ombrelli. I manifestanti diedero fuoco ai bidoni della spazzatura e fecero a pezzi più di 2000 mattoni di pavimentazione per lanciarli alla polizia»421.

Il capo dell’esecutivo Leung condannò gli scontri sottolineando l’intollerabilità dell’evento e avvertendo che la polizia avrebbe fatto di tutto per arrestare i rivoltosi422.

Anche da parte della comunità ci fu una disapprovazione generale; la violenza non veniva giustificata nè da parte dei manifestanti né da parte della polizia. Le forze dell’ordine stimarono la presenza di circa 700 civili coinvolti nella protesta, che durò per circa 10 ore. Più di 120 persone, inclusi 90 agenti di polizia, vennero ricoverati all'ospedale per le lesioni. Ci furono 75 arrestati, la maggior parte dei quali vennero accusati di aver preso parte ad una sommossa che sotto la Sezione 19 della Public Order Ordinance poteva condurre fino a 10 anni di carcere423.

Il Wall Street Journal definì questi eventi come la dimostrazione di un cambiamento radicale nelle proteste, con il passaggio dal pacifismo della Rivoluzione degli Ombrelli del 2014 alla violenza del Mong Kok Riot424.

419 Cfr. Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group,

Australia 2017, p. 97-98.

420 Cfr. «Gli scontri di stanotte a Hong Kong», il Post, 9 febbraio 2016, disponibile al link:

https://www.ilpost.it/2016/02/09/hong-kong-scontri/

421 Dapiran, Anthony, City of Protest: A Recent History of Dissent in Hong Kong, Penguin Group, Australia

2017, p. 98.

422 Cfr. «Gli scontri di stanotte a Hong Kong», il Post, 9 febbraio 2016, disponibile al link:

https://www.ilpost.it/2016/02/09/hong-kong-scontri/

423 Cfr. Kwong, Ying-ho, «State-Society Conflict Radicalization in Hong Kong: the Rise of ‘Anti-China’

Sentiment and Radical Localism», in Asian Affairs, (2016), 47:3, 428-442, DOI: 10.1080/03068374.2016.1225897. link: https://doi.org/10.1080/03068374.2016.1225897

424 Cfr. Khan, Natasha, Fan, Wenxin, «‘Prepared to Die’: Hong Kong Protesters Embrace Hard-Core

Tactics, Challenge Beijing», Wall Street Journal, 6 agosto 2019, disponibile al link: https://www.wsj.com/articles/prepared-to-die-hong-kong-protesters-embrace-hard-core-tactics-challenge- beijing-11565038264

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Nel corso del 2016 ci furono altre proteste, anche se meno “spettacolari”. Una protesta fu quella contro le “Dancing Aunties”, donne cinesi di mezza età che si riunivano a Mong Kok per cantare e ballare musica rivoluzionaria cinese ad alto volume. Un’altra protesta fu, invece, la marcia davanti al consolato giapponese, per protestare contro la modifica del nome del personaggio di Pikachu dei Pokémon, che dalla forma cantonese era stato traslitterato in cinese mandarino. Per i manifestanti anche i nomi dei personaggi in cantonese di un cartone animato erano parte dell’identità collettiva di Hong Kong425. Un’altra protesta, riportata dall’Hong Kong Free Press, riguardò una donna che accusò un agente di polizia di averla molestata sessualmente. La donna, in seguito, passò dall’essere la vittima ad essere accusata, e poi condannata ingiustamente, dal tribunale di aver aggredito l'agente con il suo seno. Circa 200 manifestanti, a quel punto, si riunirono davanti all'Alta Corte di Hong Kong con cartelloni, urlando “Breast is not a weapon!” e “The rule of law is dead”426.