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I sistemi incentivant

Gli effetti della quotazione

7. I sistemi incentivant

Abbiamo avuto modo di osservare, nei precedenti paragrafi, i fondamenti e le linee guida alla base dell’agency theory. Esse venne formulata nel 1976 dagli autori Jensen e 44 Comitato per la corporate governance, Codice di Autodisciplina, Borsa Italiana S.p.A., 2006, p. 27.

Meckling all’interno di un articolo la cui portata fu epocale, intitolato così: Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs, and ownership structure45.

Il primo merito della teoria dell’agenzia consiste sicuramente nel mettere in risalto il difficile rapporto (di agenzia) che si genera tra manager ed azionisti, sottolineando come i primi dovrebbero sempre porsi come obiettivo personale la massimizzazione del profitto dei secondi.

In realtà, abbiamo ampiamente dimostrato come in ogni contratto caratterizzato da delega, e in particolar modo per effetto di quest’ultima, si verifichi la presenza di asimmetria informativa tra le parti coinvolte, definite principale e agente delegato. Dal momento che quest’ultimo gode di maggiori informazioni, ed occupa una posizione che gli conferisce potere decisionale, non è detto che agisca nell’interesse del principale; anzi, si manifesta il rischio che egli, sfruttando l’asimmetria informativa presente, adotti comportamenti egoistici volti a soddisfare la propria funzione di utilità, arrivando a danneggiare, talvolta, il soggetto principale. Ciò accade, a maggior ragione, in una public company dove gli obiettivi divergono poiché gli azionisti prediligono la massimizzazione del ritorno finanziario legato all’investimento a differenza dei manager che puntano ad ottenere performance rilevanti nel breve periodo in modo da rafforzare la propria posizione all’interno dell’impresa, incrementando così la retribuzione personale.

Se analizziamo in ottica puramente finanziaria le due posizioni divergenti ed i relativi obiettivi, nonostante tale analisi si discosti dal contenuto del presente lavoro, non possiamo dimenticarci di sottolineare la differente propensione al rischio che caratterizza le due figure. Gli azionisti, infatti, nonostante la presenza di un problema informativo, sono avvantaggiati dalla possibilità di poter comunque diversificare il proprio investimento in più imprese, differentemente dai manager i quali, giocoforza, sono costretti a concentrare tutto l’investimento dei propri redditi (futuri) nella singola impresa che guidano46. In realtà ciò non è del tutto vero dal momento che anch’essi potrebbero diversificare, comunque, il proprio investimento sfruttando, ad esempio, i rapporti con le parti correlate e danneggiando in tal modo gli azionisti stessi. Al di là di ciò questi ultimi, potendo beneficiare di strategie di diversificazione, riescono sicuramente a tollerare maggiori livelli di rischio rispetto ai manager.

45 M.C. Jensen, W.H. Meckling, Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs, and ownership

structure, «Journal of Financial Economics», 3, 1976, pp. 305-360.

46 F. Zona, Il governo delle imprese: meccanismi di funzionamento e sistemi Paese a confronto, Egea, Milano 2012.

Indipendentemente dalla propensione al rischio dei soggetti coinvolti, la teoria dell’agenzia distingue due categorie di comportamento opportunistico adottabili da parte dell’agente: azzardo morale e selezione avversa. La prima è una forma di opportunismo che si manifesta in seguito alla stipula del contratto e con la quale l’agente persegue i propri interessi personali a discapito del principale, sfruttando l’impossibilità di quest’ultimo di verificare la presenza di negligenza o dolo. L’adverse selection, invece, è una forma di opportunismo che si verifica nella fase pre-contrattuale attraverso cui l’agente sfrutta il vantaggio informativo a disposizione per indurre in errori di valutazione il principale, nascondendo o modificando le informazioni che possono influenzare la decisione di assunzione dell’agente stesso.

In generale, in presenza di asimmetria informativa e divergenza di obiettivi, il manager tenderà ad adottare comportamenti opportunistici atti a massimizzare la propria utilità personale anche a danno della ricchezza degli azionisti. Questa condizione porta alla luce il primo costo di agenzia, che si concretizza nel minor valore azionario della società (residual loss). In sostanza, tutte le imprese sarebbero sottovalutate rispetto al loro potenziale, e tale sottovalutazione è primariamente dovuta a comportamenti opportunistici che, in misura più o meno significativa, i manager pongono in essere nella guida delle imprese47.

La teoria dell’agenzia identifica (anche) gli strumenti a disposizione del soggetto economico per cercare di ridurre i comportamenti opportunistici messi in atto dall’agente, definendo i meccanismi ed i sistemi che possono alterare la tendenza di quest’ultimo a comportarsi in tal modo. Il principale incentivo si manifesta attraverso il rafforzamento del potere di controllo, ovvero destinando una parte delle risorse in funzione di un maggior monitoraggio dell’operato e dei comportamenti messi in atto da parte dei manager, nel tentativo di ridurre le asimmetrie informative presenti all’interno dell’organizzazione. Ciò si traduce, ovviamente, in un costo che l’impresa si trova a dover sostenere ed è strettamente legato alla volontà del principale di far fronte o meno a tale spesa. Tali costi, che si manifestano ad esempio nella predisposizione di un efficiente sistema di controllo interno o nella costituzione di un consiglio di amministrazione composto da amministratori indipendenti, possono essere sostenuti fintanto che i benefici ed i risparmi derivanti dalla riduzione della residual loss siano maggiori dei costi di monitoraggio e controllo stessi.

Infine, vi è una terza categoria di costi di agenzia che la teoria stessa mette in luce, ovvero quei costi connessi alla volontà, da parte dell’agente, di ‘rassicurare’ il principale circa il proprio operato. Essi si manifestano, in termini pratici, in un aumento dei costi di bonding e assicurazione necessari per sottoporre (volontariamente) l’agente a controlli più stringenti. Intendiamo far riferimento, ad esempio, all’adesione ai codici di autodisciplina circa l’adozione di regole di corporate governance maggiormente stringenti oppure alla redazione del bilancio sociale. Si tratta di adempimenti implementati sotto la spinta dell’agente il quale, intenzionalmente, propone un controllo più rigoroso del funzionamento dell’azienda. Come afferma Zona, egli «avrà un interesse a sostenere tali costi allorquando, consapevole di non avere intenzione di porre in essere comportamenti opportunistici, ma di volersi comportare correttamente, secondo le prescrizioni e le attese del principal, vuole segnalare la propria distinzione al mercato e agli investitori, per attrarre nuovo capitale e ridurre il costo di accesso e di raccolta del capitale di rischio»48.

La teoria dell’agenzia, quindi, definisce tre tipologie di costo: il costo di monitoraggio, la residual loss ed il costo di assicurazione, quest’ultimo proposto e sostenuto volontariamente dall’agente per rassicurare azionisti ed investitori circa la bontà del proprio comportamento futuro.

Una volta definite le tipologie di costo ed i principi alla base dell’anzidetta teoria, è opportuno sottolineare l’importanza che i sistemi incentivanti rivestono in un simile contesto. L’incentivazione manageriale, infatti, è uno strumento con finalità deterrenti ampiamente utilizzato in contesti caratterizzati da asimmetria informativa dal momento che, in assenza di una adeguata remunerazione del manager legata alle performance dell’azienda, si amplifica la possibilità che egli metta in atto comportamenti opportunistici, talvolta manipolatori, volti ad aumentare la propria ricchezza personale. Al contrario, conferendo al manager quote del capitale sociale, ad esempio in maniera indiretta mediante assegnazione di stock option, è possibile allineare gli obiettivi dell’agente alle attese degli azionisti, scongiurando possibili comportamenti negligenti che danneggerebbero in primis egli stesso poiché comporterebbero una riduzione del patrimonio personale, oltre che una diminuzione della ricchezza dei diversi soggetti possessori del capitale di rischio societario.

L’agency theory, pertanto, presuppone che i sistemi di incentivazione manageriale possano ridurre i costi legati a possibili comportamenti devianti, incrementando così, di fatto, il valore dell’organizzazione. Tuttavia, va ricordato che un sistema retributivo incentivante ha senso di esistere e di essere implementato fintanto che i benefici marginali da esso derivanti siano superiori, o quantomeno uguali, ai costi connessi all’attuazione dello stesso.