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Teoria dell’agenzia e imprese familiari: la Stewardship Theory

Gli effetti della quotazione

5. Teoria dell’agenzia e imprese familiari: la Stewardship Theory

Abbiamo potuto osservare, nei precedenti paragrafi, come l’agency theory mostri l’esistenza di un problema informativo (e conseguentemente comunicativo) all’interno di imprese caratterizzate da sistemi di corporate governance in cui proprietà- amministrazione-controllo sono elementi scissi e distinti, come nel caso delle imprese quotate su mercati di capitali.

Va osservato, tuttavia, che tale impostazione non è interamente confacente a quelle che sono le caratteristiche delle imprese a conduzione familiare. Come abbiamo visto in precedenza, infatti, esse si fondano sulla centralità «del sistema di valori condiviso, basato sul rapporto affettivo che lega i soci familiari coinvolti o meno nella gestione»29 e sull’allineamento/sovrapposizione delle funzioni di controllo e proprietà dal momento che i membri della famiglia, nonché proprietari, in moltissimi casi rivestono un ruolo di primo piano nella gestione amministrativa d’impresa riducendo al minimo il meccanismo della delega. In tali contesti il problema informativo e il conflitto di interessi perdono rilevanza, riducendo pertanto la portata del problema di agenzia dal momento che, solitamente, gli interessi degli amministratori sono strettamente connessi a quelli dell’organizzazione.

Possiamo pertanto affermare che le imprese a conduzione familiare sostengano costi di agenzia inferiori rispetto alle altre tipologie di organizzazioni.

Secondo numerosi studi, tuttavia, la relazione ownership-management-control all’interno del contesto economico-familiare può essere analizzata, e meglio compresa, attraverso i principi alla base della stewardship theory dove

[…] the model of man is based on a steward whose behavior is ordered such that pro-organizational, collectivistic behaviors have higher utility than individualistic, self-serving behaviors. Given a choice between self-serving behavior and pro-organizational behavior, a steward’s behavior will not depart from the interests of his or her organization […] According to stewardship theory, the behavior of the steward is collective, because the steward seeks to attain the objectives of the organizations (e.g. sales growth or profitability)30.

Tali fondamenti sembrano descrivere appieno le caratteristiche delle imprese familiari di tipo monolitico che, come già visto in precedenza, sono caratterizzate da un elevato grado di accentramento delle funzioni di gestione in capo ai membri della famiglia.

In simili contesti, i comportamenti individuali sono orientati al bene dell’intera azienda con lo scopo di massimizzare l’utilità della stessa dal momento che un incremento delle performance aziendali comporta, solitamente, un aumento della ricchezza personale dei membri familiari che ne fanno parte. Tale comportamento,

29 C. Devecchi, G. Fraquelli, Dinamiche di sviluppo e internazionalizzazione del family business, il Mulino, Bologna 2008, p. 329.

30 J.H. Davis, F.D. Schoorman, L. Donaldson, Toward a stewardship theory of management, «Academy of Management Review», XXII (1), 1997, p. 24.

inoltre, deriva dal legame molto forte che si pone alla base del rapporto tra familiari ed organizzazione: legame non soltanto economico, ma anche emotivo31.

Diversamente, nella fase di evoluzione dell’impresa verso un archetipo aziendale maggiormente ‘temperato’, che può portarla anche alla decisione di intraprendere una IPO, si manifestano notevoli problemi e complessità nella ridefinizione del legame gestione-proprietà. L’impresa si troverà, infatti, a dover ristabilire le modalità di assegnazione e di esercizio della funzione di gestione dal momento che, nella fase antecedente la quotazione, essa presenta una struttura proprietaria chiusa a soggetti esterni alla famiglia, concentrata nelle mani dei familiari che detengono la maggioranza delle quote rappresentative del capitale sociale.

Va osservato, tuttavia, che in situazioni simili si hanno notevoli vantaggi in termini di semplificazione dell’assetto di corporate governance poiché il capitale è detenuto da pochi azionisti ed è pertanto più semplice giungere ad accordi sulla gestione dell’organizzazione. Il legame familiare dovrebbe agevolare la comunicazione e incentivare i rapporti interpersonali in fase di pianificazione e programmazione della strategia, uniformando le linee di pensiero sulle modalità di gestione aziendale e sulla tutela, quindi, del patrimonio netto32.

Nonostante ciò, non sono da escludere possibili alterazioni che si possono generare in contesti caratterizzati da una struttura proprietaria fortemente accentrata. Il rischio maggiore è dato dalla possibilità della messa in atto di comportamenti opportunistici da parte dei familiari che, sfruttando la propria posizione, tentano di ottenere benefici personali a discapito dei soci di minoranza33.

A titolo di esempio possiamo considerare i casi in cui i componenti della famiglia si attribuiscono remunerazioni sproporzionate, o durante lo svolgimento delle operazioni di gestione aziendale favoriscono terze parti vicine al nucleo familiare o, ancora, decidono di trasferire parte della ricchezza del patrimonio aziendale a se stessi, generando in quest’ultimo caso un inevitabile aumento dei costi di agenzia per l’impresa stessa34.

31 S. Sciascia, Risorse familiari e risultati aziendali, Giuffrè, Milano 2011.

32 Devecchi, Fraquelli, Dinamiche di sviluppo e internazionalizzazione del family business, cit.

33 M. Faccio, L.H.P. Lang, L. Young, Dividends and Expropriation, «American Economic Review», XCI (1), marzo 2001.

34 Minichilli A., Corbetta G., Macmillan I.C., Top Management Teams in Family-Controlled Companies:

Familiness, Faultlines, and Their Impact on Financial Performance, «Journal of Management Studies»,

In seguito al percorso di quotazione, nella fase post IPO, si assiste inesorabilmente ad una maggior diffusione del capitale sociale attraverso la cessione di pacchetti azionari a soggetti esterni non facenti parte del nucleo familiare originario, generando cambiamenti rilevanti nella struttura proprietaria dell’organizzazione. È proprio tale elemento, ma non il solo ed esclusivo, l’aspetto su cui si ripercuotono prevalentemente gli effetti derivanti dalla scelta di accedere ai mercati di capitali.

Rigamonti afferma, infatti, in uno studio del contesto italiano condotto nel 2007 su 251 IPO effettuate negli anni 1985-2005, che nelle imprese familiari la percentuale di voti detenuta in media dall’azionista di riferimento nel periodo pre-IPO passa dal 69,3% al 51,9% nel periodo successivo alla quotazione, più precisamente al termine del primo triennio post IPO35.

La diluizione del capitale sociale non comporta necessariamente la rinuncia dei membri della famiglia al controllo dell’impresa; anzi, quest’ultima prospettiva si verifica esclusivamente nei casi in cui si manifesti la precisa volontà del nucleo familiare di dismettere la propria partecipazione all’interno della società al fine di ottenerne la liquidazione. Tale operazione, al fine di realizzare i massimi benefici, avviene solitamente in due fasi: in prima istanza viene collocata sul mercato soltanto una parte di partecipazione posseduta, mantenendo il controllo societario e ottenendo così la massimizzazione dei profitti connessi alla cessione dei cash flow right. Successivamente l’impresa cederà la quota di controllo direttamente al compratore; in tal modo cercherà di ottenere condizioni migliori attraverso la vendita separata dei diritti di controllo36.

La dismissione della partecipazione di controllo svolge, in determinati contesti, il mezzo attraverso cui giungere alla cessione d’impresa, concedendo la possibilità al soggetto economico di attuare un effettivo trasferimento familiare in ipotesi di ricambio generazionale caratterizzato dall’assenza di eredi adeguati alla successione37.

Altrimenti, in contesti e situazioni diverse, il soggetto economico può decidere di intraprendere il percorso di quotazione senza rinunciare al controllo dell’organizzazione in modo da poter continuare ad esercitare il potere strategico-decisionale. Si tratta di quei casi in cui al controllo d’impresa sono associati rilevanti benefici personali, non per forza di tipo pecuniario, godibili da parte dei membri del nucleo familiare. 35 S. Rigamonti, Evolution on Ownership and control in italian IPO firms, «BitNotes», 17, maggio 2007. 36 L. Zingales, Insider Ownership and the Decision to Go Public, «Review of Economic Studies», LXVII (3), 1995.

Rigamonti ci ricorda come, spesso, l’importanza di tali benefici si esplica in prestigio sociale, esaltazione della proprietà, senso di appartenenza e pubblica immagine38.

In termini pratici, tale esigenza può essere raggiunta attraverso l’introduzione di clausole che limitano l’esercizio dei diritti di voto, o mediante l’inserimento e la vendita di azioni prive del diritto di voto in deroga al tradizionale principio del one share one vote rule; uno studio condotto nel 2001 dagli autori Smith e Amoako-Adu ha dimostrato che, in presenza di queste ultime categorie di azioni, la percentuale di capitale necessaria per detenere il controllo post IPO si attesta su valori prossimi all’11,25%, contrariamente a contesti caratterizzati dall’utilizzo di azioni con diritti di voto standard (principio tradizionale una azione-un voto), dove la percentuale necessaria è del 25,75%39.

In ultima ipotesi, al fine di mantenere il potere decisionale, il soggetto economico può decidere di privilegiare, durante la fase di collocamento, i piccoli investitori che si interessano ad acquistare pacchetti azionari di modesta entità che non impattano pertanto sul controllo della società40.

6. Rivisitazione del rapporto tra proprietà e gestione per effetto della