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Impatto della quotazione sulla corporate governance: l’Agency Theory

Gli effetti della quotazione

3. Impatto della quotazione sulla corporate governance: l’Agency Theory

Con la decisione di quotarsi in borsa il soggetto economico si trova ad affrontare una serie di complesse decisioni circa la corporate governance dell’impresa, trovandosi potenzialmente costretto ad aprire ad altri investitori la struttura decisionale dell’organizzazione.

Le motivazioni alla base della quotazione, come abbiamo potuto vedere, riguardano prevalentemente l’esigenza di soddisfare il fabbisogno finanziario, tuttavia, ciò non esclude che la volontà del soggetto economico sia di:

• stabilire le condizioni necessarie per poter cedere in futuro il proprio pacchetto di controllo, risolvendo determinate problematiche di successione che possono interessare il fenomeno del ricambio generazionale;

• incrementare la trasparenza della gestione attraverso il miglioramento del rapporto (solitamente conflittuale) con gli istituti di credito, cercando di ridurre i costi di agenzia che impattano sul capitale preso in prestito;

• diminuire il proprio peso finanziario nell’organizzazione evitando di far ricorso ad altri strumenti di indebitamento che graverebbero notevolmente sul conto economico dell’impresa;

• rendere prontamente liquidabile nel breve periodo, mediante la vendita ad altri investitori, un investimento effettuato a titolo di rischio. Indipendentemente dalle cause che motivano il ricorso alla quotazione, l’impresa si troverà ad affrontare difficili questioni di corporate governance.

Abbiamo visto, infatti, come le piccole e medie imprese abbiano storicamente sostenuto la propria crescita facendo ampio ricorso allo strumento dell’autofinanziamento e alle disponibilità patrimoniali (spesso extra-aziendali) dell’imprenditore-proprietario. A prescindere dall’entità del capitale flottante immesso sul mercato di borsa, l’impresa si troverà, inevitabilmente, a dover rivedere il proprio assetto di governance, vista l’apertura all’esterno della propria struttura decisionale. Diviene necessario, pertanto, stabilire con maggiore certezza il rapporto tra i membri del nucleo familiare e i soggetti esterni titolari dei pacchetti azionari.

Le imprese che decidono di quotarsi, inoltre, si trovano costrette a adattare il proprio assetto di governance ai codici di condotta e alle norme di legge che il mercato regolamentato stabilisce; si predispongono obblighi di trasparenza da rispettare per accedere al mercato azionario nonché meccanismi efficaci a tutela della minoranza degli azionisti.

Negli ultimi anni, nell’ambito del più ampio filone di studi sulla corporate governance, gli studi economico-aziendali si sono fortemente interessati alle questioni che riguardano il rapporto tra management e ownership. Tale rapporto, storicamente, è stato interpretato sulla base della dottrina che fa riferimento alla teoria dell’agenzia. Un’analisi in tal senso della relazione tra controllo e proprietà all’interno dell’organizzazione permette, in primo luogo, di identificare l’esistenza di un problema informativo.

Il problema informativo si manifesta attraverso la presenza di asimmetrie informative tra i due soggetti che compongono il rapporto: il ‘principale’ e l’‘agente’, i quali rappresentano rispettivamente la proprietà e il management dell’impresa, responsabile, quest’ultimo, della gestione aziendale attraverso l’esercizio del potere decisionale. Il

principale stabilisce l’operato e i meccanismi di retribuzione dell’agente il quale agisce per conto o in rappresentanza del primo.

Dal momento che l’agente possiede un vantaggio informativo considerevole circa le operazioni oggetto di delega, si presenta il rischio che egli persegua interessi personali anziché gli obiettivi prefissati dal principale, il quale non può, o non dispone, degli strumenti necessari a sorvegliare l’operato dell’agente23.

L’agency theory viene nel nostro caso utilizzata per spiegare l’esistenza di possibili comportamenti di tipo opportunistico messi in atto da parte del management, il quale può decidere di anteporre il perseguimento dei propri fini agli obiettivi dell’impresa.

«[…] agency theory applies an economic model of man and views manager as individualistic, opportunistic, and self-serving agents whose financially driven goals differ from those of the principals (i.e. the owners)»24.

Il problema informativo si compone di due elementi principali nella sua definizione: il grado di decentramento del potere decisionale e il grado di polverizzazione dell’azionariato (Figura 1).

Figura 1 – Gli elementi che compongono il problema informativo.

23 Angiola, Taliento, IPO e family business, cit.

24 J.H. Astrachan, Strategy in family business: toward a multidimensional research agenda, «Journal Business Strategy», I, 2010, p. 11.

3.1. Il grado di decentramento del potere decisionale

È una determinante del problema informativo dal momento che, all’aumentare delle dimensioni aziendali e delle attività di produzione, crescono le difficoltà di controllo dell’operato degli attori all’interno dell’impresa, spingendo, pertanto, molte organizzazioni ad attuare un decentramento del potere decisionale.

Il proprietario, al crescere delle dimensioni aziendali, incontra sempre maggiori difficoltà nell’esercitare un controllo diretto su tutte le attività e i processi che si svolgono in azienda. Si sviluppa, inevitabilmente, lo strumento della delega, inteso come decentramento verticale del processo decisionale, che sostituisce un poco alla volta il meccanismo di coordinamento della supervisione diretta tra proprietario e responsabili della gestione aziendale. Il controllo e la proprietà non sono più due elementi riuniti ed unificati all’interno dello stesso soggetto bensì si crea un vero e proprio rapporto di agenzia tra il principale, proprietario, e gli agenti, delegati all’amministrazione dell’impresa.

Il problema informativo, pertanto, dipende dal grado di separazione tra controllo e proprietà all’interno di una organizzazione, intendendo con ciò il grado di distribuzione verticale dei poteri decisionali a soggetti diversi che non siano i proprietari dell’azienda. Tanto maggiore è il livello di tale distribuzione tanto più significativo sarà il grado di asimmetria informativa e il costo connesso alla sua riduzione. Come vedremo in dettaglio più avanti, in caso di assenza di decentramento produttivo (si pensi alle imprese familiari dove principale e agente coincidono solitamente nella stessa persona e detengono perciò gli stessi obiettivi), non parrebbe sussistere il problema informativo.

A ben vedere, se non interpretiamo la teoria dell’agenzia in senso stretto, un problema informativo esiste, eccome, dal momento che esso si manifesta nella difficoltà di gestione di un elevato numero di informazioni da parte di un unico soggetto, l’imprenditore.

Differentemente, in situazioni di elevata separazione tra controllo e proprietà, l’agency theory ci permette di studiare l’asimmetria informativa che si genera tra azionisti e manager, associando ad essa la presenza di interessi diversi in capo ai due soggetti. Da un lato, infatti, i manager perseguono obiettivi di crescita dimensionale dell’organizzazione al fine di ottenere un incremento della loro remunerazione e/o i benefici personali stabiliti in sede di programmazione; dall’altro, gli azionisti si pongono obiettivi di massimizzazione del profitto attraverso l’aumento del valore delle

azioni. Quest’ultimo obiettivo, inoltre, viene visto dagli amministratori come un vincolo allo svolgimento del proprio operare25.

Si genera, quindi, un problema di agenzia complesso dal momento che gli azionisti non sono in grado di controllare in maniera efficace l’operato degli agenti poiché i contratti che regolano i rapporti tra le parti non sono basati su informazioni complete e non garantiscono, pertanto, il corretto svolgimento dell’incarico negli interessi dei proprietari. Si manifesta, di fatto, all’aumentare delle dimensioni aziendali, una crescente difficoltà nel far coincidere gli interessi di soggetti diversi all’interno di un unico obiettivo.

L’asimmetria informativa tra controllo e proprietà determina, quindi, l’esigenza di stipulare contratti che consentano il perseguimento di obiettivi comuni, a fronte dei quali si manifestano costi per il principale in termini di incentivazione e monitoraggio. Ciò non rappresenta, tuttavia, una soluzione definitiva al problema informativo in quanto il sostenimento di tali costi non garantisce con certezza l’eliminazione totale delle asimmetrie.

Restano in ogni caso le difficoltà del proprietario nel comunicare e trasferire adeguatamente i propri obiettivi agli amministratori, i quali, nello svolgimento del proprio operato in funzione degli interessi del principale, sono comunque soggetti all’influenza di fattori esogeni di difficile previsione e controllo.

3.2. Il grado di polverizzazione dell’azionariato

Il grado di polverizzazione dell’azionariato contribuisce anch’esso alla formazione del problema informativo dal momento che, tanto più è elevato il numero di azionisti, tanto più elevati saranno i costi da sostenere per esercitare un controllo diretto sull’operato degli amministratori.

Al crescere delle dimensioni d’impresa le incertezze ambientali e settoriali possono infatti spingere il proprietario a diminuire il proprio coinvolgimento all’interno dell’organizzazione, privilegiando una strategia di diversificazione dei propri investimenti personali; scegliendo di ridurre la propria quota all’interno della società, il proprietario-azionista mostrerà pertanto interesse esclusivamente nei confronti del valore azionario dei titoli da lui posseduti, disinteressandosi al controllo delle modalità 25 M. Jensen, Agency Costs of Free Cash Flow, Corporate Finance and Takeovers, «American Economic Review», LXXVI (2), 1986, pp. 323-329.

di gestione d’impresa. Ciò determina l’impiego, in misura massima, dello strumento della delega tra azionisti ed amministratori, anteponendo e preferendo ai costi di controllo i costi legati alla struttura degli incentivi.

Inevitabilmente tale situazione comporta che il potere decisionale sia concentrato nelle mani dei manager vista la presenza di un azionariato diffuso e gli interessi (limitati) espressi dagli azionisti nei confronti dell’organizzazione.

In simili contesti, l’agency theory ci consente di affermare che:

• vista la molteplicità di relazioni tra principali e agenti, dovuta ad un sostanzioso numero di azionisti, si manifestano notevoli problemi informativi che richiedono pertanto, per la loro risoluzione, la nascita e lo sviluppo continuativo di una intensa attività comunicativa all’interno dell’organizzazione;

• ogniqualvolta i risultati economici ottenuti dagli amministratori non soddisfino le aspettative degli azionisti, questi ultimi hanno l’opportunità di dismettere il proprio investimento all’interno della società, trovandosi a dover sostenere costi inferiori rispetto a quelli necessari per il controllo diretto stabiliti dalla teoria dell’agenzia stessa26;

• a causa della semplicità di dismissione delle partecipazioni, gli azionisti possono ritenere non conveniente il rispetto della relazione contrattuale che lega agente e principale, generando la necessità di riesaminare e risolvere nel minor tempo possibile il problema informativo che si forma costantemente.

Pertanto, possiamo affermare che in presenza di contesti caratterizzati da un elevato grado di polverizzazione della compagine societaria, la teoria dell’agenzia pone la propria attenzione sulla centralità degli interessi dei proprietari-azionisti e sul rapporto che li lega ai manager senza tenere in considerazione, però, altre determinanti che possono manifestarsi e influire su tale relazione all’interno dell’organizzazione.

4. La quotazione come risposta ad un problema di carattere