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Rivisitazione del rapporto tra proprietà e gestione per effetto della quotazione

Gli effetti della quotazione

6. Rivisitazione del rapporto tra proprietà e gestione per effetto della quotazione

La gestione del difficile rapporto tra proprietà e gestione aziendale è una tematica centrale che si afferma in seguito ad un percorso di quotazione, rappresentandone, probabilmente, il principale effetto.

Come abbiamo potuto osservare, la quotazione è un momento cruciale nella vita di un’azienda. L’apertura a terzi soggetti esterni ad essa comporta notevoli ripercussioni, sia con riferimento alla struttura proprietaria sia relativamente ai meccanismi guida della corporate governance. Diviene, pertanto, necessario ristabilire attentamente il rapporto tra ownership e management.

Le imprese familiari, ma non solo, appaiono infatti sostanzialmente chiuse al mondo esterno e caratterizzate da un elevatissimo grado di accentramento del potere decisionale. L’ingresso di nuovi soci, manifestatosi attraverso l’acquisto dei pacchetti azionari, può comportare notevoli cambiamenti, a partire dalla perdita del controllo.

38 Rigamonti, Nuove quotazioni alla borsa italiana: separazione tra proprietà e controllo ed evoluzione

della struttura proprietaria, FrancoAngeli, Milano 2005.

39 B. Amoako-Adu, B.F. Smith, Dual class firms: Capitalization, ownership structure and

recapitalization back into single class, «Journal of Banking and Finance», XXV (6), 2001.

Abbiamo comunque sottolineato come, in realtà, nella maggior parte dei casi ciò non accade se non in maniera totalmente intenzionale da parte del soggetto economico, il quale decide di liquidare il proprio investimento in virtù di un preciso scopo personale. Tendenzialmente la famiglia cerca di mantenere nelle proprie mani il potere decisionale privilegiando i piccoli investitori durante la fase di offerta o, più spesso, ricorrendo all’utilizzo di azioni senza diritto di voto oppure a diritto di voto limitato.

L’altro aspetto di fondamentale importanza è legato alla necessità di riorganizzare il management, trovandosi l’impresa, per la prima volta, a doversi dotare di un consiglio di amministrazione incaricato (e delegato) ad occuparsi della gestione aziendale. Nella maggior parte dei casi tale organo è composto da membri appartenenti alla famiglia affiancati da soggetti esterni, spesso e volentieri dotati di competenze professionali e manageriale di ampio respiro.

Tali considerazioni risultano supportate da evidenze empiriche: nello studio condotto da Rigamonti relativamente alle imprese a conduzione familiare, l’autrice sottolinea come queste modifichino radicalmente il proprio consiglio di amministrazione durante il percorso di quotazione, dimostrando un incremento significativo del livello di apertura di quest’ultimo nei confronti dei soggetti esterni. Dai risultati dell’indagine svolta su un campione di 251 IPO effettuate nel contesto italiano negli anni 1985-2005 emerge infatti che, all’esito della quotazione, i membri della famiglia rappresentano solo il 30% del CdA41. Tuttavia, nel 79% delle imprese oggetto di analisi, la nomina del presidente del consiglio di amministrazione rimane una peculiarità della famiglia.

In virtù di quanto appena affermato, si può facilmente comprendere l’importanza e la delicatezza delle scelte relative all’individuazione dei soggetti con i quali condividere le funzioni di gestione aziendale; scelte, queste ultime, che devono essere perciò valutate con la massima attenzione. Diviene infatti necessario instaurare un clima di collaborazione e di reciproca fiducia tra i membri della famiglia ed i componenti esterni del consiglio di amministrazione, definendo un insieme di valori su cui uniformare la gestione aziendale e distinguendo le aree di competenza della famiglia da quelle del consiglio di amministrazione.

I membri esterni alla famiglia devono dimostrare di possedere adeguate competenze professionali ed un livello di esperienza manageriale che permetta loro di gestire adeguatamente le complessità aziendali e, allo stesso tempo, dia loro la possibilità di

41 Rigamonti, Nuove quotazioni alla borsa italiana: separazione tra proprietà e controllo ed evoluzione

cogliere le opportunità derivanti dall’ambiente esterno. Devono essere, inoltre, dotati di spiccate capacità relazionali; elemento, quest’ultimo, indispensabile per contribuire alla risoluzione dei possibili conflitti tra i familiari coinvolti nella gestione d’impresa.

Con riferimento al sistema dei valori, la famiglia ha il compito di chiarire ai membri esterni del CdA i valori etici ed i principi morali sui quali si fonda l’impresa senza dimenticare di fornire loro un quadro fedele della mission che l’organizzazione persegue, risultando tale passaggio fondamentale per individuare e capire il percorso che questa ha deciso di intraprendere nonché per delineare l’insieme dei valori cardine che ispirano le scelte e le decisioni assunte. In questa fase diviene altresì indispensabile stabilire le modalità di coinvolgimento dei manager nelle attività di governance dal momento che, come afferma l’autore Del Bene,

Il manager esterno svolge un ruolo piuttosto delicato, che può essere estremamente stimolante o altrettanto frustrante in relazione alle condizioni operative in cui viene esercitato. Può essere stimolante quando l’imprenditore attribuisce adeguata importanza ed accredita le funzioni e l’azione svolta dal manager, il quale può diventare così fulcro per i percorsi di sviluppo dell’impresa ed è quindi sollecitato a dimostrare le proprie competenze e la propria capacità […] Quando, invece, le condizioni interne limitino le possibilità di sfruttare le competenze professionali possedute, il ruolo svolto dal manager esterno può divenire frustrante. Ci riferiamo, in particolare, ad un sistema remuneratorio, o di progressione di carriera iniqui rispetto ai membri della famiglia, ad una proprietà eccessivamente presente, e talvolta invadente nelle scelte di competenza dei manager, ad una mancanza di convinzione di fondo nel fruire dell’operato del professionista, all’esistenza di fazioni (e quindi di contrasti) tra manager familiari e non42.

Relativamente alle aree di competenza, è necessaria estrema chiarezza nel delineare il perimetro di pertinenza ed i poteri di intervento della famiglia, definendo in maniera netta le prerogative del consiglio di amministrazione. Questo passaggio rappresenta il fulcro centrale nella costruzione di un rapporto proficuo basato su fiducia e stima reciproca tra le parti coinvolte43.

Così facendo si modificano, pertanto, in maniera profonda, i processi e le modalità di assunzione delle decisioni: la riunione informale, svolta tra i membri della famiglia dotati di maggior potere decisionale, lascia infatti il posto all’assemblea del CdA.

Ciò comporta, inevitabilmente, un maggior controllo dell’operato e delle funzioni svolte dai soggetti appartenenti alla famiglia, riducendo i rischi legati a comportamenti

42 L. Del Bene, Percorsi di professionalizzazione delle aziende familiari. Alcune evidenze empiriche, in C. Devecchi, G. Fraquelli, Dinamiche di sviluppo e internazionalizzazione del family business, il Mulino, Bologna 2008.

fraudolenti ed opportunistici come il trasferimento di ricchezza dal patrimonio societario a quello personale, e tutelando maggiormente, di conseguenza, gli azionisti possessori delle quote di minoranza.

Con riferimento a questo punto, la dottrina sottolinea come l’impiego di amministratori esterni sia maggiormente efficace ogniqualvolta essi si trovino in una posizione di indipendenza rispetto all’organizzazione. Il codice di Autodisciplina di Borsa Italiana ritiene infatti che la presenza di amministratori indipendenti all’interno dei consigli di amministrazione «[…] sia la soluzione più idonea per garantire la composizione degli interessi di tutti gli azionisti, sia di maggioranza, sia di minoranza»44.

In ultimo, abbiamo potuto osservare come le conseguenze derivanti da un nuovo assetto di corporate governance comportino, inevitabilmente, l’insorgere di un problema di agenzia. Assumendo come validi i principi della stewardship theory, resta il fatto che l’assegnazione delle funzioni di gestione a determinati soggetti esterni all’azienda implica, comunque, maggiori difficoltà nel rapporto tra questi e gli azionisti-proprietari. In quest’ottica, la compagine societaria di maggioranza dovrà considerare seriamente la possibilità di ricorrere all’utilizzo di strumenti di incentivazione manageriale come, ad esempio, le stock options. In generale, può essere utile stabilire un ripensamento del sistema delle retribuzioni, strutturandolo in funzione del raggiungimento di determinati risultati stabiliti in sede di programmazione degli obiettivi di breve e medio-lungo periodo. Diventa fondamentale, in tal senso, l’utilizzo di incentivi che tentino di allineare gli interessi personali dei manager con quelli perseguiti dall’organizzazione. Questa soluzione si presenta come un possibile strumento volto a scongiurare il pericolo legato all’eventualità che i manager sfruttino la propria posizione come mezzo per soddisfare determinati interessi personali.

Di quest’ultimo argomento, introdotto qui brevemente, ci occuperemo in dettaglio all’interno del prossimo paragrafo.