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Quotarsi o non quotarsi?

Il processo di raccolta del capitale

5. Quotarsi o non quotarsi?

Il momento della quotazione sui mercati regolamentati rappresenta per l’impresa la fase conclusiva di una serie di scelte finanziarie assunte in precedenza. L’approccio istituzionale ci permette di individuare i motivi che hanno spinto il soggetto economico a ricorrere ai mercati di capitali attraverso l’analisi del fabbisogno finanziario dell’organizzazione, la composizione della struttura finanziaria e la tipologia delle fonti di finanziamento a disposizione per soddisfare tale fabbisogno.

Dal momento che l’impresa, per soddisfare le esigenze di aumento del fabbisogno finanziario, ricorre alla quotazione in borsa privilegiando fonti aventi natura esogena a titolo di rischio in alternativa allo strumento del credito, risulta importante cercare di capire le motivazioni alla base di tale scelta.

Per prima cosa è necessario analizzare tali scelte in base agli obiettivi che l’impresa si pone in funzione della struttura finanziaria, tra cui:

• l’esigenza di non appesantire il conto economico con oneri finanziari di importo elevato ottenendo così, grazie ad un rapporto di indebitamento ridotto, la possibilità di usufruire di finanziamenti a condizioni vantaggiose (ad un tasso inferiore), consentendo all’organizzazione di aumentare le attività e di incrementare la redditività;

19 S. Angeli, Il finanziamento esterno delle imprese attraverso il credito bancario e parabancario, Utet, Torino 1986.

• la possibilità, mediante il ricorso ai mercati borsistici, di aumentare le disponibilità di capitale proprio ogni volta essa ne abbia bisogno, superando così la rigidità tipica di tale strumento;

• la ricerca di armonia con la struttura degli impieghi, continuamente in sviluppo e soggetta a notevoli investimenti;

• la possibilità di ridurre la quantità di contratti e garanzie poste in essere dagli istituti di credito per far fronte agli impieghi con maggiore semplicità.

La quotazione in borsa rappresenta, pertanto, il mezzo attraverso cui implementare una politica finanziaria di tipo espansivo, raccogliendo capitale di terzi a titolo di rischio.

Le motivazioni che soggiacciono a tale scelta emergono dalla conoscenza dell’andamento del fabbisogno finanziario d’impresa, dall’analisi dei costi finanziari e dei vincoli delle fonti a essi correlate nonché dallo studio della redditività e delle esigenze di controllo del soggetto economico al vertice dell’organizzazione.

5.1 L’analisi del trend del fabbisogno finanziario

La previsione di un aumento crescente del fabbisogno spinge senz’altro le imprese nella direzione del capitale di rischio da attingere presso terze economie.

L’ammissione dell’impresa alla quotazione in borsa comporta una modifica immediata della struttura finanziaria, dovendo essa, obbligatoriamente, rispettare il requisito minimo di capitale flottante necessario per l’ingresso nel mercato prestabilito.

L’organizzazione riceve così, in prima istanza, un finanziamento immediato ad un costo relativamente contenuto rispetto agli oneri per la quotazione stabiliti dai mercati finanziari, garantendosi in tal modo la possibilità futura di accesso diretto ad ulteriori capitali di rischio senza costi aggiuntivi.

5.2 Vincoli e costi alla base del finanziamento

Come precedentemente affermato, le fonti di tipo endogeno a titolo di credito comportano un costo predeterminato per l’impresa, da sostenere per poter fruire di tali risorse: l’onere finanziario. Diversamente, il ricorso ai mercati borsistici che consente di attingere capitale a titolo di rischio non comporta, in prima istanza, un costo certo e prestabilito per la società. A ben vedere, la quotazione in borsa determina un vincolo

decisamente più oneroso rispetto al costo del capitale: il dividendo e con esso le modalità di assegnazione agli azionisti.

Diviene infatti necessario, nonché obbligatorio, per le imprese quotate stabilire una adeguata politica dei dividendi la cui idoneità viene valutata in base all’attitudine di conservare il capitale investito e, allo stesso tempo, di attrarne di nuovo.

Il dividendo, infatti, rappresenta la forma di remunerazione di cui beneficeranno gli azionisti e, pertanto, essi saranno disposti ad investire ulteriore capitale a titolo di rischio in azienda soltanto qualora giudichino conveniente tale scelta.

Spesso, tale elemento viene considerato alla stregua di un costo fisso che la società si trova a dover sostenere, più precisamente, dovremmo considerare la politica dei dividendi come un vincolo che si presenta in fase di remunerazione e rimborso:

• qualora si manifesti un risultato economico negativo che spinge gli azionisti a richiedere la restituzione del capitale investito senza investirne di nuovo nei successivi cicli di gestione;

• qualora l’impresa ottenga un risultato economico positivo, riducendo in tal modo il potere di acquisto dell’impresa in termini di autofinanziamento.

5.3 Rischio e redditività

Un altro dei motivi che potrebbe spingere le imprese verso la quotazione, secondo gli studi di finanza, è dato dalla crescente difficoltà di prevedere ipotesi affidabili circa la redditività futura dell’organizzazione. Difatti, di fronte a scenari di redditività prospettica dall’andamento instabile e incerto, la finanza consiglia di astenersi dal ricorrere a strumenti di finanziamento facilmente revocabili, intendendo con tale espressione tutte le forme di finanziamento ottenute a titolo di credito. Tuttavia, la relazione esistente tra capitale di rischio-redditività futura instabile non è sufficiente per motivare la scelta di quotarsi in borsa da parte del soggetto economico, dal momento che le previsioni di reddito prospettico (incerto) influiscono in maniera negativa sulle proiezioni dei dividendi attesi, riducendo l’appetibilità dell’investimento per gli investitori.

Ciò non accade in presenza di società per azioni non quotate composte da un ristretto azionariato dove la valutazione di convenienza circa l’investimento si basa su requisiti e parametri totalmente diversi da quelli dei dividendi.

5.4. Il mercato

La decisione di quotarsi in borsa presuppone l’esistenza di un mercato finanziario efficiente che permetta sia alle piccole che alle grandi imprese di reperire le risorse finanziarie necessarie. L’efficienza è data dai comportamenti degli operatori e, in particolar modo, dalle regole a tutela del risparmio.

Diversamente, di fronte a situazioni di mercati finanziari poco sviluppati, non regolamentati o dall’organizzazione limitata, il soggetto economico, per sviluppare la propria attività, spingerà nella direzione alternativa e tradizionale del credito bancario, valutando attentamente i vincoli che tale decisione comporta.

Particolare attenzione va posta in situazioni di congiuntura negativa per le imprese, dovendo esse affrontare simultaneamente un aumento della concorrenza affiancato da una riduzione della domanda e dall’incremento dell’onerosità dei finanziamenti a livello generale. Di fronte a tale situazione, le imprese maggiormente svantaggiate sono quelle di piccole e medie dimensioni che, a causa della congiuntura, risultano scarsamente appetibili sui mercati finanziari, rappresentando, per gli investitori, un investimento ad elevato tasso di rischio.

Al contrario, le imprese di grandi dimensioni, essendo storicamente sopravvissute a periodi di crisi, possono contare sulla quotazione in borsa per reperire capitali a titolo di rischio.

Tuttavia, tali considerazioni non sempre appaiono veritiere in quanto si basano sulla convinzione che le grandi imprese, a causa della loro dimensione, siano in grado di reggere meglio l’impatto delle crisi congiunturali rispetto alle imprese di piccole e medie dimensioni.

Tali supposizioni si fondano sull’analisi dell’andamento storico dei risultati economici positivi tipici delle grandi imprese quando, invece, si dovrebbe puntare l’attenzione sulle ipotesi e previsioni future di redditività che talvolta possono interessare maggiormente le imprese di piccole e medie dimensioni.