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Ridefinizione del sistema delle strategie aziendal

Gli effetti della quotazione

2. Ridefinizione del sistema delle strategie aziendal

Nei precedenti capitoli abbiamo osservato che le imprese di piccole e medie dimensioni a conduzione familiare difficilmente adottano un processo di formalizzazione delle strategie aziendali, indipendentemente dalla validità o meno delle stesse di creare un vantaggio competitivo. Così facendo, il disegno strategico rimane spesso ancorato ed indefinito all’interno della testa dell’imprenditore-proprietario, il quale raramente predispone un piano industriale adeguato a descrivere le strategie competitive e di sviluppo aziendale prefissate.

Tuttavia, al momento della quotazione in borsa, il soggetto economico si vede costretto a formalizzare il suo intento strategico all’interno di un documento, dal momento che esso rappresenta lo strumento necessario per consentire agli investitori di valutare la capacità dell’impresa di creare e generare valore ad essi distribuibile. In funzione di ciò, diviene fondamentale la redazione di un piano industriale capace di contenere informazioni coerenti ed attendibili e, allo stesso tempo, diviene necessario garantire la sostenibilità finanziaria dello stesso. Come afferma Garzella «è necessario che chi predispone il piano eviti di sopravvalutare la propria idea imprenditoriale sottovalutandone i rischi nella considerazione che il piano stesso rappresenti un puro obbligo senza alcuna valenza e potenzialità gestionale»16.

Gli investitori, infatti, valutano la validità del piano attraverso lo studio della fattibilità delle ipotesi alla base dello stesso, concentrando la propria attenzione sulle capacità del management di mettere in atto quanto descritto all’interno del documento.

Il piano industriale si compone dei seguenti elementi principali:

1. La strategia realizzata – con tale termine intendiamo far riferimento all’importanza di descrivere, all’interno del documento, la strategia adottata dal soggetto economico per raggiungere i risultati ottenuti fino al momento della 15 S. Bianchi Martini, Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, il Borghetto, Pisa 2005.

16 S. Garzella, La progettazione, la valutazione e la comunicazione delle strategie economico-finanziarie.

predisposizione del piano stesso. Si tratta, in particolare, di evidenziare in dettaglio le strategie economico-finanziarie, sociali, competitive ed organizzative implementate. Come ampiamente noto, ricordiamo che la dottrina distingue due fondamentali tipologie di vantaggio competitivo: quello basato sulla differenziazione di prodotto e quello fondato sui costi. Il primo evidenzia la capacità dell’impresa di creare prodotti che vengono percepiti, all’interno del panorama competitivo, come beni unici ed esclusivi dalla clientela di riferimento, la quale sarà pertanto disposta a pagare un prezzo maggiore pur di poterne beneficiare; al contrario, una strategia incentrata sulla leadership di costo consente all’impresa di realizzare prodotti analoghi a quelli della concorrenza (da un punto di vista qualitativo) tuttavia ad un costo e (di conseguenza) ad un prezzo di vendita inferiore. Indipendentemente dalla tipologia di vantaggio competitivo perseguito in funzione del contesto competitivo di riferimento, le strategie implementabili per realizzarlo si divideranno in: differenziazione, leadership di costo e focalizzazione. Esse rientrano tutte all’interno di un’unica strategia aziendale globale, denominata corporate strategy.

2. La strategia futura – si tratta di descrivere le strategie che l’impresa adotterà per creare e distribuire valore economico nel periodo temporale oggetto di previsione, unitamente all’impatto patrimoniale, finanziario ed economico connesso all’implementazione delle stesse. L’analisi alla base dello strategic intent si fonda sull’interpretazione legata all’evoluzione di determinate variabili di tipo esogeno (come ad esempio i tassi di crescita del settore, del mercato o dell’economia più in generale) ed endogeno (tra cui i costi ed i ricavi operativi, la posizione finanziaria netta, gli oneri finanziari e fiscali, la giacenza media dei debiti e crediti commerciali ecc).

3. Le modalità di realizzazione di quanto appena descritto – si tratta, in sostanza, di stabilire e delineare le modalità ed i processi necessari per permettere all’impresa il passaggio dalla strategia attuale alla strategia futura descritta all’interno del piano. Diviene, pertanto, fondamentale individuare le azioni specifiche da mettere in atto, i tempi di realizzazione e i soggetti preposti all’implementazione delle stesse nonché gli investimenti e le modalità di finanziamento indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. In altri termini, si rende necessario definire un action plan che stabilisca le priorità di intervento da porre in essere.

Tabella 1 – Gli elementi che compongono il piano industriale. [Fonte: Borsa Italiana, Guida al piano industriale, p. 17]

Ieri-oggi Domani

Strategia realizzata Intenzioni strategiche

Action plan Ipotesi Dati finanziari

prospettici Descrizione di: • impostazione strategica operante • performance realizzate in ogni ASA • fabbisogno/oppor tunità di rinnovamento strategico Scelte del management relativamente a: • ruolo nell’arena competitiva • value proposition • creazione del vantaggio competitivo Azioni che riducono il divario tra strategia realizzata e intenzioni strategiche; in particolare: • impatto economico- finanziario e tempistica • investimenti da realizzare • impatto organizzativo delle singole azioni • intervento su portafoglio prodotti servizi/brand • azioni che mutano target di clientela • manager responsabili • condizioni e vincoli di realizzabilità Relative ai Key value driver e ai dati prospettici, con riferimento a: • grandezze macroeconomic he • sviluppo ricavi • costi diretti • costi indiretti, oneri finanziari e fiscalità • evoluzione capitale investito • evoluzione struttura finanziaria Coerenti con le intenzioni strategiche e l’action plan e riferiti a: • SBU • canali distributivi • aree geografiche • tipologia di clienti • prodotti, servizi/brand

Nei precedenti capitoli abbiamo avuto modo di osservare che le imprese, solitamente, intraprendono un percorso di quotazione con lo scopo di raccogliere nuovi capitali da investire per favorire la crescita e lo sviluppo aziendale. Nondimeno, una IPO può essere intrapresa per riallineare la struttura finanziaria e ridurre l’indebitamento aziendale o, ancora, può essere finalizzata al soddisfacimento degli interessi degli azionisti di riferimento, realizzabili, ad esempio, attraverso la cessione di una parte dei titoli azionari da essi detenuti.

Indipendentemente dalle motivazioni che muovono il soggetto economico verso un percorso di quotazione, egli deve essere capace di dimostrare le modalità attraverso cui

l’impresa quotanda sarà in grado di creare valore economico per i potenziali investitori. Si tratta, in altri termini, di stabilire se l’impresa è in grado di ottenere, nel medio-lungo periodo, un livello di redditività superiore al costo del capitale impiegato. Non è detto che essa riesca ad ottenere immediatamente performance positive a fronte degli investimenti effettuati, dal momento che bisogna tener conto delle caratteristiche del settore di riferimento, e/o della congiuntura economica, nell’analisi ed interpretazione dei risultati ottenuti.

Le strategie finalizzate alla creazione del valore possono riguardare la gestione operativa, finanziaria, fiscale ed accessoria. Tuttavia, in presenza di una operazione di IPO, l’attenzione si concentra sui primi due elementi, più precisamente la gestione operativa e finanziaria, le quali devono trovare pertanto ampio spazio all’interno del piano industriale. Dovranno, quindi, essere descritte con estrema chiarezza e in dettaglio le azioni che verranno intraprese per mettere in atto le intenzioni strategiche relative alle due aree di gestione, facendo leva sull’uso di informazioni coerenti e corrette sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.

La gestione operativa, come ampiamente dimostrato dalla dottrina, contribuisce alla creazione del valore ogniqualvolta essa è in grado di generare un livello di redditività tale da superare il costo del capitale investito. In termini matematici:

ROIC > WACC17

dove il ROIC (Return On Invested Capital) rappresenta il rendimento del capitale investito nella gestione operativa e il WACC (Weighted Average Cost Of Capital) il costo che l’impresa deve sostenere per acquisire, a qualunque titolo, tale capitale.

Come affermato in precedenza, l’analisi deve essere condotta su un orizzonte temporale di medio-lungo periodo dal momento che i tassi di crescita futuri influenzano inevitabilmente la creazione del valore. In sostanza, l’andamento del differenziale espresso in formula deve sempre essere compatibile con l’obiettivo primario di crescita aziendale dal momento che ad un aumento immediato del ROIC dovuto, ad esempio, a mancati investimenti funzionali alla crescita futura, non corrisponde un incremento nell’evoluzione del valore creato. Al contrario, una riduzione del ROIC di breve periodo dovuta ad investimenti effettuati in funzione di una crescita potenziale futura non deve

17 T. Copeland, T. Koller, J. Murrin, Il valore dell’impresa. Strategie di valutazione e gestione, Il Sole 24 Ore, Milano 2002, pp. 85-88.

essere interpretata negativamente, a patto che l’impresa dimostri di avere le capacità necessarie per incrementare la redditività nel lungo periodo18.

Va osservato che, in presenza di operazioni di initial public offering relative ad imprese di piccole e medie dimensioni, gli investitori tendono a prediligere quelle finalizzate alla raccolta di nuovo capitale da impiegare per la crescita e lo sviluppo aziendale. Questo accade poiché si ritiene che tali imprese, a causa della loro dimensione, siano maggiormente vulnerabili e, pertanto, si ha la convinzione che l’impiego di strategie legate allo sviluppo aziendale fornisca maggiori garanzie in termini di sopravvivenza dell’impresa stessa e, quindi, di mantenimento dell’investimento ad essa connesso. Le prospettive di crescita, inoltre, sono strettamente legate al settore di riferimento in cui l’impresa opera. In tale ottica, come affermano gli autori Angiola e Taliento, a parità di condizioni gli investitori prediligono i titoli azionari relativi ad imprese che operano in settori caratterizzati da forte espansione, come ad esempio l’high tech. Tuttavia, per essere considerate attraenti, queste ultime devono essere in grado di descrivere ai potenziali investitori «[…] quali sono le strutture attivate per gestire tale crescita […]»19.

Diversamente, le imprese di piccole e medie dimensioni che non presentano significative prospettive di crescita, e che operano in settori considerati maturi, suscitano minor interesse nella platea di investitori. Allo stesso modo vengono considerate le operazioni di IPO finalizzate alla riduzione dell’indebitamento bancario o all’implementazione di strategie di disinvestimento dei titoli azionari detenuti dal soggetto economico. Spetta quindi al management dimostrare la capacità dell’impresa di creare valore attraverso la messa in atto di adeguate scelte strategiche volte a contenere i costi, ad ottimizzare il processo di allocazione del capitale e a ridurre e contenere il valore del WACC. Il successo di una IPO, a maggior ragione in tali circostanze, sarà quindi strettamente legato alle abilità esercitate da parte del soggetto economico nel convincere i potenziali investitori circa la validità dell’investimento proposto.

Le medesime considerazioni possono essere rivolte alle imprese di grandi dimensioni, con la sola differenza che per esse sarà ancor più difficile, nel periodo post quotazione, garantire gli stessi livelli di crescita che hanno consentito loro di ottenere le

18 Angiola, Taliento, IPO e family business, cit.

dimensioni pre-IPO poiché un aumento della dimensione organizzativa porta con sé, inevitabilmente, maggiori complessità gestionali.

Una volta identificato e delineato lo strategic intent, diviene di fondamentale importanza la realizzazione di un sistema di indicatori che permetta di esporre al meglio i ‘generatori’ del valore. Si tratta, in altri termini, di specificare i cosiddetti Key Performance Indicator (KPI)20.

Come affermano gli autori Murrin, Copeland e Koller:

I driver del valore devono essere identificati e misurati attraverso KPI sia finanziari che operativi. In molte aziende l’analisi dei generatori prende spesso avvio con una operazione di scomposizione del rendimento sul capitale investito nelle sue componenti di misurazione finanziaria […] È buona base di partenza, ma da sola non è in grado di fornire una comprensione complessiva dei generatori del valore. Intanto, il management non ha la possibilità di influire direttamente sugli indici finanziari, potendolo fare solamente attraverso i parametri operativi. Ecco perché il management deve essere capace di compiere un ulteriore passo avanti21.

I Key Performance Indicator rappresentano uno strumento la cui funzione non si limita soltanto all’identificazione dell’intento strategico del soggetto economico, dal momento che il loro utilizzo può essere strettamente connesso ad una logica di controllo strategico. Essi consentono, infatti, di valutare costantemente il grado di implementazione della strategia aziendale attraverso l’analisi dei target raggiunti22.

In tabella 2 possiamo osservare alcuni esempi di indicatori-chiave utilizzati per misurare la performance aziendale. Va precisato che essi variano in funzione del modello di business intrapreso dalla società oggetto di quotazione.

20 Angiola, Taliento, IPO e family business, cit.

21 Copeland, Koller, Murrin, Il valore dell’impresa. Strategie di valutazione e gestione, cit. 22 A. Garzoni, Il controllo strategico. Modelli e strumenti per il controllo dei processi di gestione

Tabella 2 – Alcuni esempi di Key Performance Indicator.

Strategic intent Key Performance Indicator

Crescita dei ricavi Quota di mercato per aree di affari. Ricavi da prodotti, tipologie di clientela, canali distributivi e mercati geografici strategicamente più rilevanti.

Numero di nuovi prodotti inseriti in catalogo. Numero di nuovi punti vendita.

Tempi di consegna.

Reclami/resi per inadempienze contrattuali.

ROE ROIC

Redditività delle vendite

Capitale turnover

Investimenti per la crescita (R&D, marchi ecc.)

Costi di manutenzione Tasso di frequenza infortuni sul lavoro Tasso di turnover del personale strategico Oneri finanziari % del fatturato

Contenimento dei costi operativi

Prezzi di acquisto fattori produttivi più significativi.

Costo del lavoro % dei ricavi. Costi generali % dei ricavi. Incremento della

produttività di capitale

Durata media giacenza delle scorte. Durata media crediti commerciali. Durata media debiti commerciali. Contenimento del

WACC

Costo dell’equity. Costo medio del debito. Composizione dei debiti. Indice di indebitamento.

3. Impatto della quotazione sulla corporate governance: l’Agency