• Non ci sono risultati.

9. La campagna elettorale

9.4 I temi della propaganda

La partita pre-elettorale, nei cinegiornali della Settimana Incom, si gioca attorno ad alcuni temi ricorrenti, che non sono necessariamente esaustivi della vasta gamma di argomenti che furono utilizzati nel corso della campagna elettorale515. Nei servizi dedicati al Fronte si pone l’accento sull’eredità risorgimentale e resistenziale, e sulla difesa della democrazia, della repubblica e della pace. Per quanto riguarda lo schieramento opposto, i nuclei tematici sono la difesa della libertà, la promessa di benessere legata al piano Marshall, la rivendicazione dell’italianità di Trieste, la difesa dell’ordine e l’esibizione dei risultati raggiunti dal governo De Gasperi. Analizziamoli con ordine.

Sin dalle elezioni amministrative del 1946, i partiti di sinistra, riuniti allora nel Blocco del popolo, avevano scelto come simbolo il volto di Garibaldi. Per le elezioni del ’48 riproposero la formula frontista, simboleggiata, ancora una volta, dall’eroe

513 Cfr. “Vicenza. Raduno dei lavoratori cattolici”, La Settimana Incom n. 140, 8 aprile 1948. 514

I rappresentanti sindacali cattolici, che, dopo l’attentato a Togliatti del luglio ’48, daranno vita ad un proprio sindacato, premevano già da tempo per l’indipendenza dai partiti e per l’apoliticità. Questo servizio mostra viceversa lo stretto legame tra le Acli e il partito di De Gasperi.

515 Come vedremo, il tema dell’indipendenza nazionale, utilizzato dal Fronte per denunciare l’ingerenza

americana e la soggezione della Dc al Vaticano, non compare. Analogamente, il variegato armamentario anticomunista dispiegato dalla Dc e dai suoi alleati è meticolosamente passato al setaccio.

risorgimentale516. Nel n. 129 dell’11 marzo, dedicato al comizio di apertura del Fronte democratico popolare a Roma, presso la Basilica di Massenzio, il commentatore riporta le parole di Nenni: “[…]«Sapremo raccogliere dietro le nostre bandiere rosse, come già

Garibaldi dietro il suo poncho rosso, le masse del nostro paese che battono le porte dell’avvenire.”517 Dal canto suo la Dc non era intenzionata a permettere che il Risorgimento divenisse patrimonio esclusivo della sinistra518. Nel numero 135 del 28 marzo, in occasione della celebrazione delle “cinque giornate” di Milano, De Gasperi afferma: “«Anche oggi gli italiani devono essere uniti per la difesa della libertà.»”519 Nello stesso servizio, viene riproposta l’interpretazione della Resistenza come secondo Risorgimento: “[…]Tricolore, la tua storia continua, 97 anni dopo, all’uscita dalla

clandestinità, sventolerà per queste vie […]Ai garibaldini recenti, di là dal gremito entusiasmo della folla, risponde l’ancor vivido sguardo dei vecchi garibaldini. Toccherà al ministro Fachinetti di decorare il gonfalone di Sant’Ambrogio della medaglia d’oro al valor militare. La motivazione ripercorre un’epopea che dal marzo 1848 giunge all’aprile 1945. Ed ecco gli ultimi protagonisti di quella storia: le formazioni partigiane che, alla macchia o nei labirinti della città sfidarono il tedesco. E i soldati, giovani soldati eppure uguali ancora, nella generosità dello slancio, nella pronta devozione, a quelli che sfilarono per le vie in marcia verso le battaglie per l’indipendenza, quando le nostre bisnonne erano bambine e cominciavano a parlare, imparando il grido: «Viva l’Italia!»”. Al Risorgimento ottocentesco si lega dunque il mito patriottico del secondo

risorgimento antinazista, cui è accomunato dal sacrificio collettivo per il riscatto della Patria e dalla guerra di liberazione dallo straniero. La Incom amplifica lo sforzo compiuto dalle istituzioni repubblicane per promuovere una memoria condivisa, in un’ottica di pacificazione nazionale: patrioti risorgimentali, partigiani e soldati sono eroi nazionali

516 Il volto di Garibaldi, tinto di bianco (colore-simbolo della pace), si presentava incastonato in una stella

verde (la stella è l’elemento iconografico da sempre associato alla personificazione dell’Italia) su fondo rosso (colore-simbolo della sinistra). I tre colori insieme rappresentavano l’impegno del Fronte democratico popolare per la libertà, la pace, il lavoro e riproducevano l’effetto della bandiera italiana.

517

Cfr. “Fronte democratico popolare. Nenni parla alla Basilica di Massenzio”, La Settimana Incom n. 129, 11 marzo 1948.

518 Il Partito repubblicano italiano riuscì ad ottenere la candidatura della figlia di Garibaldi, Clelia, e

produsse un manifesto dal titolo «Da che parte è Garibaldi?», in cui era trascritto il testo del telegramma con cui l’illustre erede comunicava la sua adesione alla proposta: «La figlia dell’eroe nelle liste dei candidati del Partito Repubblicano dell’Emilia e Romagna, telegrafa: “Accetto come avrebbe accettato mio padre” e scrive: “Ripeto il ringraziamento che vi ho fatto ieri per aver pensato a me nella formazione della vostra lista elettorale, e tanto più Vi sono grata quando penso che lo avete fatto per onorare la memoria di mio padre e per significare che il Partito Repubblicano è il vero continuatore della sua azione e della sua dottrina. Avendo conosciuto mio padre meglio di chiunque altro lo confermo, anzi dirò che proprio per aver constatato quanto sopra io appartengo da tant’anni al Partito Repubblicano.” Clelia Garibaldi. Caprera, 29 febbraio 1948.» [grassetto nel testo]

519

attorno ai quali si costruisce una potente retorica celebrativa, utile, all’occorrenza, per veicolare il voto della popolazione.

Il Fronte democratico popolare stabilì un parallelo tra le elezioni del 2 giugno 1946 e quelle del 18 aprile 1948, chiamando gli italiani a pronunciarsi ancora per la democrazia come avevano fatto in occasione del referendum istituzionale: nel numero 126 del 3 marzo Togliatti, durante il comizio al Politeama di Napoli, afferma: “«La battaglia del 18

aprile è la stessa del 2 giugno. Allora combattemmo per la democrazia, oggi combattiamo per realizzarla»”; a cui fa seguito Amendola, che conclude: “«Il popolo italiano ha bisogno della vittoria, che è vittoria della democrazia.»”520

La difesa della pace è un altro tema forte della campagna elettorale della sinistra. Le donne dell’Udi521 , che avevano costituito l’Alleanza femminile come componente del Fronte democratico popolare, intensificarono le manifestazioni per la pace con una raccolta di firme per il disarmo e la messa al bando della bomba atomica e delle armi batteriologiche. La rivista dell’Udi, «Noi donne», aveva bandito diversi concorsi: «Stelline della pace», «Angioletti per la pace», «pensieri per la pace», che premiavano le foto, di giovani donne e bambini, e le riflessioni sul tema della pace, inviate dalle lettrici alla redazione. Le commissioni incaricate di giudicare erano formate da importanti uomini e donne di cultura, da Guttuso a Moravia, da Maria Bellonci al “nostro” Giacomo Debenedetti. La Incom dedica un servizio all’imponente manifestazione che si tenne a Roma il 14 marzo, a conclusione dell’«assise della pace»: “Roma, Foro Italico.

Convenute 30.000 donne da ogni parte d’Italia. I loro stendardi narrano il prezzo glorioso pagato per la pace. «Tutto dovete subordinare – ha detto Terracini – a questa grande causa di solidarietà umana». Madri coi loro figli, che una concorde volontà di pace riserverà a una vita giusta e operosa, sfilano nel corteo. Messaggere di speranza, hanno raccolto albi con due milioni di firme da portare a De Nicola. Le stelline della pace salgono l’Altare della Patria. Pace, disse forse il tuo estremo sospiro, soldato

520 Cfr. “Fronte democratico popolare. Togliatti parla a Napoli”, La Settimana Incom n. 126, 3 marzo 1948. 521

L’Udi era nata nel settembre del 1944 a Roma ad opera di alcune esponenti dei partiti comunista, socialista, azionista e della sinistra cristiana e si proponeva di "unire tutte le donne italiane in una forte associazione che sappia difendere gli interessi particolari della masse femminili e risolvere i problemi più gravi e urgenti di tutte le donne lavoratrici, massaie e delle madri". L’Udi si poneva come un’associazione unitaria di tutte le donne, ma la maggior parte delle sue aderenti erano iscritte a partiti di sinistra. Dal 1947, con la radicalizzazione dello scontro politico, l’Udi raccolse di fatto la sollecitazione ad agire come associazione delle donne di sinistra. «Che l’Udi fosse un’organizzazione del Pci era così ovvio che i dati sulle sue iscritte per il 1946 e il 1947 […] furono pubblicati in un opuscolo ad uso interno destinato ai delegati al VI congresso del partito.», Anna Rossi-Doria, Le donne sulla scena politica, in Storia dell’Italia

ignoto.”522 Salta subito agli occhi che, nonostante si tratti una manifestazione di donne, e ben più numerose delle 30.000 dichiarate nel servizio523, la Incom riporta le parole del solo Terracini: Maria Maddalena Rossi, presidente dell’Udi, Marisa Cinciani Rodano, cattolica comunista, e Ada Alessandrini, del Movimento cristiano per la pace, che erano tutte e tre candidate nelle liste del Fronte e presero la parola nel corso della manifestazione, non sono nemmeno citate. Anche in una giornata che le vide protagoniste le donne, nel resoconto della Incom, non hanno facoltà di parola: fanno però bella mostra di sé sulle scale dell’«Altare della Patria» con i loro abiti da «stelline per la pace»524.

In un momento in cui l’irrigidirsi delle contrapposizioni internazionali faceva temere una nuova guerra, la Dc, nei servizi Incom, non si lascia dare lezioni dalla sinistra sul tema della pace, che lega intimamente a quello della difesa della libertà. Nel numero 133 del 20 marzo, durante il comizio a Catanzaro, De Gasperi afferma: “«Si parla di pace e di

guerra, ma io spero che un’altra guerra non si farà. La libertà è insidiata ma spero che la pace possa essere alla fine salvaguardata. L’Italia sarà pegno e garanzia di pace.”525

Durante il comizio ad Ancona l’accento sulla libertà è ancora più marcato: “[…] Parla

Alcide De Gasperi, il quale dice tra l’altro: «Ho combattuto per le mie idee, sperando nella evoluzione della libertà. Dopo vent’anni questa libertà abbiamo riavuto e bisogna difenderla, bisogna scuotere il popolo fin nelle sue fibre più profonde. Questa è l’ora suprema. Bisogna vincere, costi quello che costi.

»

” La Incom, peraltro, procede con cautela sul tema della libertà, cui non contrappone mai esplicitamente il demone del totalitarismo, preferendo sottolineare i vantaggi che derivano all’Italia dall’amicizia con l’America piuttosto che paventare i disastri che proverrebbero da una maggiore influenza dell’Unione Sovietica: “Catanzaro […] De Gasperi […] ha detto: «Se fallisce il piano di

collaborazione europea con l’aiuto americano nessuno in Italia potrebbe garantire il pane ai lavoratori, le materie prime alle industrie. Per questo – ha concluso – chiamiamo il popolo a reagire con l’unica arma pacifica che esiste: il voto» Elettore non sprecare il

522 Cfr. “Fronte democratico popolare. Manifestazione a Roma”, La Settimana Incom n. 132, 19 marzo

1948.

523

Miriam Mafai in Apprendistato della politica riferisce di un numero compreso tra le 50.000 e le 70.000 donne presenti. Cit. in A. Scarantino, Donne per la pace: Maria Bajocco Remiddi e l’Associazione

Internazionale madri unite per la pace nell’Italia della guerra fredda, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 70.

524

A onor del vero, lo stesso giornale «Noi donne» aveva concepito il concorso «Stelline per la pace» come una sorta di concorso di bellezza: «Le foto che il periodico dell’Udi «Noi donne» dedicava a queste giovani donne non differiva di molto da quelle che negli stessi anni i rotocalchi dedicavano alle “miss Italia”. La casa di moda Biki di Milano creò anzi per l’occasione un abito che la «Stellina» di Milano avrebbe indossato all’«assise della pace», Ivi, nota p. 70.

525

tuo voto.” Con un lievissimo anticipo rispetto alle dichiarazioni ufficiali statunitensi526, De Gasperi mette in stretta relazione la prosecuzione del piano di aiuti economici americani verso l’Italia con i risultati elettorali. Su pace e prosperità economica punta anche il servizio relativo al comizio di Scelba a Siracusa: “«Il 18 aprile – dice tra l’altro

l’oratore – non deciderà della sorte di una maggioranza parlamentare, bensì delle sorti della nostra Italia, della pace e della prosperità delle nostre famiglie». Accennata la necessità che le armi vadano solo allo stato, conclude auspicando una vittoria delle forze dell’ordine e del lavoro per la ricostruzione della patria.”527 Non sfugga il riferimento alla legge contro le formazioni paramilitari, approvata dal governo il 6 febbraio, che suscitò le accese proteste dei partiti di sinistra, in quanto rivolta a colpire gli ex partigiani.

Accanto all’insistenza sul carattere “condizionale” del piano Marshall, l’asso nella manica della Dc è la questione di Trieste: il tema dei “confini minacciati”, argomento principe di tanti servizi Incom, riacquista una nuova, strategica visibilità. Prima di esaminare i servizi su Trieste, occorre soffermarsi brevemente sui confini “occidentali” e sul rapido cambiamento dei rapporti con la Francia. La Ratifica del Trattato, nel settembre (?) 1947, era apparsa, nei servizi Incom, come un amaro calice dal quale era necessario bere per un reinserimento dell’Italia nella comunità internazionale. Una volta persa la partita per Tenda e Briga, le relazioni diplomatiche con la Francia vengono presto improntate ad una ritrovata cordialità528. A partire dall’estate del ’47 i ministri degli esteri francese e italiano avevano avuto alcuni colloqui incentrati sulla possibilità di istituire un’unione doganale bilaterale. Nel marzo del 1948 la visita di Bidault a Torino aveva rappresentato un ulteriore passo in questa direzione, cui la Incom dedica un lunghissimo servizio (3’ 43’’) nel n. 134: “[…] Bardonecchia è la prima a dire:

«

Benvenuto, monsieur Bidault!

»

. Lo accompagna la signora, una donna che deve aver palpitato nei giorni in cui Bidault era uno dei massimi esponenti della Resistenza francese. Dall’armistizio in poi quest’uomo è stato una delle grandi rivelazioni della politica internazionale. […] È la prima volta nel dopoguerra che un ministro degli esteri viene da noi in missione ufficiale. Sforza ha portato al collega francese il saluto di questa Italia che da oggi comincia a riprendere il suo posto tra le nazioni che contano. […] Palazzo della Prefettura, mancano pochi minuti alle 16.30. In questo studio lavorava Cavour, e qui circa un secolo fa egli firmò il trattato commerciale franco-sardo, grande intuizione politica, confermata

526 Il discorso in cui Marshall si pronunciò sull’esclusione dell’Italia dal piano Erp in caso di vittoria delle

sinistre, è del 20 marzo. Qualche giorno prima la dichiarazione era stata preannunciata sul «New York Times» e confermata da un funzionario del Dipartimento di Stato.

527 Cfr. “Siracusa. Scelba parla al Teatro Greco”, La Settimana Incom n. 136, 27 marzo 1948. 528

e rinnovata oggi dal Protocollo per l’unione doganale italo-francese. Dopo le firme Bidault prenderà la parola, darà la grande notizia su Trieste. [discorso di Bidault] […] Palazzo della Cisterna. Per questo cortile passarono gli uomini del Risorgimento, ora qui ha sede il Consiglio economico piemontese. Il presidente, dott. Guglielmone, esprime l’adesione dei lavoratori e industriali piemontesi agli accordi doganali. Risponde Bidault:

«

La collaborazione nata durante la lotta clandestina deve continuare per la libertà, l’indipendenza dei due popoli

»

. Monsieur Bidault, l’Italia ringrazia, per il tramite vostro, la Francia amica. Monferrato. La primavera ha una dolcezza cilestrina tra questi colli di viti e di grano. Sulla sommità è la pace, e il santuario di Crea, sulla cima verde, offre il suo raccoglimento francescano a un colloquio veramente di pace. Primo ad arrivare è De Gasperi. Qui tutto parla un linguaggio familiare, e le bambine della scuola hanno mandato messaggera la loro compagna a leggere la poesia. Bidault ha percorso alcune decine di chilometri mattutini tra un Piemonte che gli può ricordare la Borgogna. De Gasperi sta illustrandogli i luoghi mentre, con Brusasca, lo accompagna verso il chiostro del convento dove avranno luogo le relazioni conclusive dell’incontro. Durerà circa un’ora e mezza, e l’assalto dei fotografi si infrangerà contro un francescano silenzio. Siamo lieti, dopo tanti anni, di poter ridire

«

Viva la Francia!

»

”529 Se confrontiamo il tono di questo servizio con quelli dedicati alla Conferenza di pace nel 1946 e 1947 notiamo una radicale inversione di tendenza: la Francia è tornata ad essere una nazione amica, nonostante siano trascorsi appena sei mesi dall’entrata in vigore del Trattato e dalla conseguente cessione di Briga e Tenda530. Lo spazio dedicato in questo servizio al rinsaldamento dei rapporti italo-francesi, con un’attenta selezione dei momenti storici in cui i due Paesi sono stati più vicini, non è neutro rispetto alla campagna elettorale, come non erano neutri i progetti per l’unione doganale: «Fin dall’inizio apparve chiaro che l’iniziativa [l’unione doganale] non era fine a se stessa, ma rientrava in un più ampio quadro politico-diplomatico. In particolare risultava preminente per entrambi gli Stati l’idea di lanciare un segnale di disponibilità e di buona volontà all’amministrazione statunitense che, com’è noto, spingeva per una maggiore cooperazione tra gli stati europei, tanto da farne la condizione per la

529 Cfr. “Accordi con la Francia. Bidault a Torino”, La Settimana Incom n. 134, 25 Marzo 1948.

530 Nel n. 80 troviamo un servizio dedicato all’entrata in vigore del Trattato, in cui, pur accettando la

decisione delle grandi potenze, la Incom si concede un’ultima trattenuta recriminazione nei confronti della Francia: «[…] Non discutiamo più. Rien ne va plus! Sappiamo il pericolo dei nazionalismi, lasciateci però

la nostra malinconia. […] Arrivano le autorità francesi. È un po’ presto per scrivere «W la Francia», no?

[…] Contegnoso è stato il nostro dolore, ma ai cuori e agli spiriti degli italiani rimasti quassù non dite per

favore che debbono cessare di essere italiani! […]”, “Il Trattato è entrato in vigore. Briga e Tenda alla

concessione degli aiuti del piano Marshall. […] La firma da parte di Bidault e Sforza del Protocollo di Torino, il 20 marzo 1948, […] fu un atto dettato […] da esigenze puramente politiche, in buona parte nato dall’incontro tra le richieste di appoggio fatte pervenire dal governo italiano ai governi occidentali in risposta alle aperture compiute in febbraio dall’Unione Sovietica sulla questione coloniale, che si temeva potessero avere un’eco favorevole presso l’opinione pubblica interna, e la volontà del governo francese di aiutare il vicino italiano in vista delle imminenti elezioni politiche.»531 La firma del Protocollo era avvenuta contestualmente all’annuncio, da parte dello stesso Bidault, della “dichiarazione tripartita”, ossia dell’invito fatto dalle tre potenze occidentali al Governo sovietico e a quello italiano affinché trovassero un accordo per ricondurre sotto sovranità italiana l'intero Territorio libero di Trieste532. Questo annuncio provocò un’ondata di speranza e di commozione533, come testimonia il servizio contenuto nello stesso numero 134, dal titolo “Chiesto all’ONU: Trieste torni all’Italia”: “Cade la vela issata tra il

rimpianto d’Italia e il cordoglio di Trieste. Passano parole che credevamo di sperare invano. Stati Uniti, Inghilterra e Francia hanno chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la restituzione del Territorio Libero di Trieste all’Italia. In questa Pasqua del ’48, Pasqua di Resurrezione, le vele alabardate tornano a gonfiarsi al vento della speranza”534. La reazione dei partiti di sinistra non si fece attendere: il 21 marzo l’«Unità» denunciò la dichiarazione come una «speculazione elettorale». Nel numero 136, dedicato al comizio di Nenni a Forlì, il commentatore sintetizza le parole del leader socialista: “«Siamo tutti sinceramente lieti – dichiara l’oratore – dell’iniziativa presa

dalla tre potenze occidentali di restituirci Trieste. Ci auguriamo che una soluzione altrettanto favorevole abbiano il problema delle colonie e di altri che rimangono aperti».”535 Il riferimento, così implicito da passare inosservato, è relativo alla dichiarazione dell’Urss circa il suo appoggio alle rivendicazioni italiane sulle colonie, comunicata il 14 febbraio dall’ambasciatore Brosio a Sforza e resa pubblica il 17. Durante

531

Cfr. F. Petrini, Il liberismo a una dimensione: la Confindustria e l’integrazione europea 1947-1957, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 84, 98-99.

532 Già nel giugno del ’48, in seguito alla rottura tra Tito e Stalin, l’atteggiamento degli alleati verso la

questione di Trieste cambiò: la necessità di non ostacolare il Paese che si era sottratto alla politica imperiale di Mosca divenne prioritaria rispetto all’immediata soluzione del problema triestino.

533 Il 20 e 21 marzo si svolsero a Trieste manifestazioni popolari in sostegno alla proposta. De Castro fa

peraltro notare che le manifestazioni dei triestini-italiani di quei giorni erano state molto moderate perché, di fronte al pericolo di un conflitto mondiale, i triestini si sentivano «meglio protetti dalle truppe alleate piuttosto che da quelle di una debolissima Italia. […] Essi si erano successivamente risvegliati, dando luogo ad una dimostrazione che aveva adunato 140.000 persone, previa e contemporanea raccolta di 195.000