3. Verso la Repubblica
3.1 L’Italia divisa
Il primo servizio di politica interna è contenuto nel n. 5 del 12 marzo all’interno della rubrica “Vita politica”, appuntamento - a cadenza quasi settimanale - con l’approfondimento sui grandi temi dell’attualità. Oggetto di questo primo servizio è la Consulta Nazionale nelle sue ultime sedute plenarie (“tra le più attive e appassionanti”). Tra il 7, l’8 e il 9 marzo si discusse e si diede parere favorevole allo schema di provvedimento legislativo sulla Costituente, che apportava modifiche sostanziali al decreto-legge luogotenenziale del 25 giugno 1944. Il servizio offre un montaggio di sequenze relative alle ultime due giornate, dall’avvio del Presidente Carlo Sforza verso l’aula assembleare attraverso le gallerie “lungo le quali si allineano i busti dei grandi
Gramsci”127, alla chiusura della discussione con la votazione finale. L’aula appare affollata, la tribuna gremita di pubblico. Nel banco dei ministri siede De Gasperi. “La
Consulta è la prima assemblea politica italiana di cui facciano parte le donne”, ricorda il
commentatore. Si succedono gli interventi dei consultori: “un veemente e dialettico
discorso dell’azionista Boeri: «dalla Consulta il Governo attende non voti deliberativi ma pareri che interpretino la volontà del popolo italiano»”128, cui segue il lungo discorso di Vittorio Emanuele Orlando, che ha presieduto ai lavori della Commissione relatrice e che suscita l’applauso della Consulta “con un caldo, felice accenno a Trieste e alla Venezia
Giulia”. La cinepresa si sofferma su De Nicola, Bonomi, il liberale Scialoja, l’ex ministro
della giustizia Tupini, l’operaio Cabina, Nitti, la comunista Gisella Della Porta e il governatore della Banca d’Italia Einaudi. Al termine della seduta la legge sulla Costituente è approvata con 172 voti favorevoli e 50 contrari.
L’aspetto da rilevare, in questo servizio, è l’attenzione della Incom per l’imparzialità: il commentatore si attiene all’asciutta cronaca del dibattito, evitando di soffermarsi sul contenuto degli interventi, sui contrasti tra le opinioni e in generale su tutto ciò che assomiglia all’espressione di una giudizio di parte. Se il servizio dà rilievo all’accenno su Trieste è perché quello sui confini tra Italia e Jugoslavia è un argomento che raccoglie attorno a sé ampi consensi popolari. Nulla traspare del clima di tensione che precedette il pronunciamento da parte della Consulta: la promulgazione del decreto-legge luogotenenziale del 16 marzo 1946 pose fine ad uno scontro molto acceso sulle modalità di avvio della nuova fase democratica, in cui ciascuno schieramento paventava la possibilità di colpi di mano da parte avversaria129. La decisione finale di utilizzare lo strumento del referendum preventivo per la questione istituzionale, di limitare i poteri
127 Cfr. “Vita politica. La Consulta”, La Settimana Incom n. 5, 12 marzo 1946. 128
Di questa affermazione non si trova traccia nei verbali della seduta. Probabilmente è la sintesi - un po’ forzata - dell’apertura dell’intervento di Boeri, in cui il consultore si dichiara rammaricato per il respingimento di tre suoi emendamenti al disegno di legge (il primo sulla scelta del referendum, il secondo sulla necessità che i partiti si esprimano pubblicamente sulla questione istituzionale, il terzo sulla limitazione dei poteri dell’Assemblea Costituente), ma nello stesso tempo rassicurato dalla constatazione che, in più occasioni, emendamenti respinti in sede di Consulta siano stati recuperati in sede di approvazione definitiva, e viceversa. Cfr. seduta dell’8 marzo 1946, in Atti della Consulta nazionale,
Discussioni dal 25 settembre 1945 al 9 marzo 1946, Tipografia della Camera dei deputati, Roma 1946, pp.
1108-1113.
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«Mi pare chiaro che se prolunghiamo la polemica sui poteri della Costituente e sul referendum avremo una crisi ministeriale, un sussulto della piazza contro le nostre lentezze e diatribe, qua e là delle provocazioni fasciste e monarchiche, l’intervento degli alleati e forse un intervento non soltanto politico», dal diario di Nenni in data 25 febbraio 1946, in G. Nenni e D. Zucaro (a cura di), Tempo di guerra fredda.
Diari 1943-56, SugarCo, Milano, 1981, p. 191. «L’accordo è stato accolto con un senso di liberazione da un
incubo: voci di preparativi armati sulle due ali, l’accanimento del qualunquismo, la crisi economica, la situazione estera […]», da una lettera di De Gasperi a Sturzo in data 3 marzo 1946, in M. R. De Gasperi (a cura di), De Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di stato cardinali uomini politici giornalisti
della Costituente e di far coincidere il giorno delle due consultazioni popolari rappresentò un compromesso accettabile sia per le forze moderate sia per quelle progressiste. A fare maturare questa soluzione era stato il ministro per la Costituente Pietro Nenni, che viene non a caso intervistato nel numero successivo del cinegiornale dal direttore Sandro Pallavicini: “[…] dicono che io sia in questo momento in stato di euforia; sono in effetti
molto lieto di aver concorso a dare una soluzione democratica al problema istituzionale”130. Questa affermazione, che conferma il ruolo di mediazione svolto dal leader del socialismo italiano, esplicita il timore di una deriva antidemocratica, avvertito, come abbiamo visto, da più parti.
Nel corso dell’intervista Nenni si pronuncia sul risultato delle elezioni amministrative (“Sono molto soddisfatto: queste elezioni hanno dimostrato prima di tutto che il popolo
italiano sa darsi delle istituzioni democratiche e vivere in clima democratico. Inoltre hanno posto in evidenza che i protagonisti politici italiani sono i socialisti, i comunisti e la democrazia cristiana”). Le elezioni amministrative della primavera del 1946
rappresentano a tutti gli effetti l’atto di nascita dell’Italia democratica, ma anche la prima importante verifica degli orientamenti prevalenti tra la popolazione. Consapevole dell’importanza delle prime consultazioni nella definizione dei rapporti di forza tra i partiti, De Gasperi, da ministro degli Esteri nel governo Parri, era riuscito a far rinviare le elezioni politiche sino alla primavera del 1946 e, su consiglio alleato, aveva ottenuto che queste fossero precedute dalle elezioni amministrative. Lo scopo di questo rinvio era evitare che gli entusiasmi della Liberazione potessero convogliarsi nel voto e tramutarsi in una vittoria elettorale delle forze di sinistra. L’attesa premiò i moderati perché la Democrazia cristiana si affermò alle amministrative come il primo partito, seguito a una certa distanza da Psiup e Pci, in un ordine quindi inverso a quello dichiarato da Nenni nell’intervista.
La Settimana Incom dedica a questo primo appuntamento elettorale131 un servizio nel n. 9 del 23 aprile, in occasione del voto a Milano. La città appare sommersa di manifesti e volantini elettorali, segno di un’accesa campagna di propaganda che non ha però trovato spazio nei precedenti numeri del cinegiornale132. “Pare che il record della pubblicità
130 Cfr. “Interviste. A colloquio con Pietro Nenni”, La Settimana Incom n. 6, 20 marzo 1946.
131 Le elezioni amministrative si tennero in un primo turno di cinque domeniche consecutive a partire dal 10
marzo e in un secondo turno a novembre (il 10 novembre si votò in sei delle maggiori città italiane: Roma, Napoli, Genova, Torino, Firenze e Palermo).
132 Il n. 8 del 10 aprile 1946 dedica un brevissimo servizio - appena 22 secondi - al comizio elettorale di
Togliatti a Milano. Non è chiaro, però, se si tratti della campagna elettorale per le amministrative o per la Costituente. In ogni caso nel servizio viene dato particolare risalto all’auspicio di Togliatti ad una pace giusta (“cioè una pace che tenga conto degli sforzi che abbiamo fatti per dare un contributo alla lotta
muraria si stato raggiunto dai liberali e dai democristiani”, ci informa il commentatore.
Come sappiamo sarà la Dc ad ottenere il consenso di quelle forze moderate che prima del fascismo si erano riconosciute nel Partito liberale. Quest’ultimo mostrò, già alle prime elezioni amministrative, di aver perso la rappresentatività di cui aveva goduto in passato, pur mantenendo consensi al Sud.
Al primo appuntamento con le urne la popolazione milanese risponde con una grande partecipazione: “Milano ha voluto fare le cose in grande, com’è nella tradizione della
metropoli lombarda: l’affluenza degli elettori, nelle 903 sezioni milanesi, ha destato anche all’estero la generale ammirazione”. Il commentatore rileva poi il contributo delle
donne, chiamate per la prima volta al voto, e chiude il servizio con le immagini del cardinale Schuster all’uscita del seggio elettorale: “quel giorno pensava forse a un anno
prima, quando nel suo palazzo i Comitati di liberazione avevano trattato la resa degli oppressori”.
Tra il servizio dedicato alle elezioni amministrative e quello sul referendum del 2 giugno possiamo contare quattro servizi di politica interna: nel n. 10 del 3 maggio la rubrica “Vita politica” è incentrata sul congresso nazionale democristiano tenutosi a Roma tra il 24 e il 28 aprile, il primo congresso di partito al quale il cinegiornale dedichi un servizio133. Dell’intervento di De Gasperi, “accolto al suo giungere dall’inno Bianco
fiore”134, la Incom seleziona e sintetizza i passaggi meno accesi, quelli in cui il leader democristiano ribadisce la collocazione del partito rispetto alle scelte di politica economica: “Noi siamo – egli ha detto – solidaristi, il che vuol dire fautori di un sistema
economico in cui ciascuno abbia il suo posto e la sua funzione, con prevalenza assoluta dei lavoratori”. Delle parole dirette contro le violenze comuniste nei confronti dei
democristiani e contro il marxismo e il materialismo135, non c’è traccia se non in controluce, quando De Gasperi ribadisce “la sua ripugnanza, sin dai tempi della lotta
antinazista, all’idea di rispondere alla violenza con la violenza” e quando ricorda “come
contro i tedeschi e per la distruzione del fascismo”). Questo rilievo appare funzionale al tono generale di
questo numero, per la gran parte dedicato al Trattato di pace e alla definizione dei nuovi confini tra Italia e Jugoslavia.
133
Al congresso socialista, svoltosi tra l’11 e il 17 aprile a Firenze, si accenna nel n. 5 dedicato alla Consulta: “Nenni è in ritardo, l’imminente congresso socialista gli dà parecchio da fare” e nel n. 6 al termine dell’intervista: “Buon lavoro Nenni! La Costituente, il Congresso del partito socialista, quante cose
da fare!”
134
«I delegati, in maggioranza repubblicani, si accendono di tanto in tanto su questo tema, e arrivano a inserire qualche timida invocazione a Garibaldi nel canto del Bianco fiore», A. Gambino, Storia del
dopoguerra dalla liberazione al potere DC, Laterza, Roma-Bari, 1975, p. 177. Nel servizio Incom, di
queste invocazioni non troviamo traccia, né si fa menzione del referendum interno alla Dc che dava favorevoli alla repubblica il 73 per cento dei suoi iscritti.
135
non si sia alla vigilia di combattere soltanto una battaglia elettorale bensì una battaglia per la cultura e la civiltà”.
Il n. 11 del 10 maggio ospita l’inizio della campagna elettorale dei monarchici con un comizio al Palatino. “Una gran folla ha inneggiato alla Marina, alla Venezia-Giulia e
alla Monarchia. Oratore ufficiale il prof. Addamiano, designato dal blocco delle libertà alle elezioni per la Costituente.” Le immagini delle rovine romane gremite di manifestanti
sono impressionanti e danno la misura delle adesioni che la monarchia raccoglieva ancora presso la popolazione136. Il n. 12 del 16 maggio riserva uno spazio considerevole – più di tre minuti – all’abdicazione di Vittorio Emanuele III descrivendone ogni passaggio con dovizia di particolari: dalla firma su foglio di carta da 12 lire in presenza dei testimoni alla registrazione dell’atto presso il notaio Grisani, sino alla partenza a bordo del “Duca degli Abruzzi” dalla “spiaggetta aperta sul mare di Posillipo”. Qui l’asciutta cronaca dei fatti lascia il posto al racconto un po’ sentimentale del congedo del re: “Un saluto
particolarmente affettuoso è stato quello di Vittorio Emanuele al vecchio marinaio Gennaro Bergoni, che gli era stato compagno nella pesca, suo passatempo prediletto in questi anni di lontananza dal trono”. A Vittorio Emanuele III successe il figlio Umberto
II. La firma del suo proclama al popolo italiano (“davanti a Dio e alla nazione giuro di
osservare lealmente le leggi fondamentali dello Stato che la volontà popolare dovrà rinnovare e perfezionare”) diventò l’occasione per una nuova manifestazione di
consenso: una folla oceanica si riversò in piazza del Quirinale acclamando il re: “Umberto
II si mostra al balcone acclamato da una folla immensa. Sventolano bandiere e fiamme con lo stemma sabaudo. Verso il balcone a cui il re nuovamente si affaccia mutilati e invalidi agitano le loro stampelle inneggiando alla monarchia e alla Venezia Giulia. La folla richiama con acclamazioni ed “evviva” più volte il re, finché questi si ripresenta in compagnia della regina Maria Josè e dei principini. E’ uno sfarfallio di bianchi fazzoletti. Gremito è il torrione e sono gremiti i balconi dei palazzi”. Guardando queste
immagini si comprende il rischio, avvertito dai partiti di sinistra, che il referendum potesse trasformarsi in un plebiscito a favore del re, chiamando «una popolazione diseducata politicamente da venticinque anni a optare fra un’incognita nebulosa e un
136
Nei servizi della Incom dedicati alle manifestazioni di sostegno ai Savoia non mancano mai i mutilati e gli invalidi di guerra: “[…] Il luogotenente si affaccia alla loggia, è circondato da mutilati”, “Vita politica. Manifestazione monarchica al Palatino”, La Settimana Incom n. 11; e ancora: “Verso il balcone a cui il re
nuovamente si affaccia mutilati e invalidi agitano le loro stampelle inneggiando alla monarchia e alla Venezia Giulia”, “Dall’abdicazione di Vittorio Emanuele III alla successione di Umberto II”, La Settimana Incom n. 12.
istituto che comunque esiste e si presenta con un volto paterno e indulgente»137. Consapevole di questa possibilità la Incom si concesse di indugiare un po’ più del dovuto sulle immagini della famiglia reale e dei principini, “che accorrono festosi all’invito dei
fotografi e degli operatori cinematografici che hanno avuto libero accesso ai giardini del Quirinale. Umberto II e la nuova regina d’Italia si uniscono ai figli e la gioia serena di quell’intimità sembra far dimenticare per un istante la palpitante tensione di queste giornate di vigilia”.
La risposta dei partiti repubblicani al tentativo di Vittorio Emanuele III di salvare in extremis la dinastia Savoia rompendo di fatto la tregua istituzionale138 fu l’organizzazione di un’imponente manifestazione139, riportata nel servizio successivo a quello sull’abdicazione, all’interno dello stesso numero. “Un comizio repubblicano è stato
indetto a Roma, in seguito all’abdicazione di Vittorio Emanuele III dai tre partiti di massa, dalla Cgil, dal partito repubblicano e dagli azionisti. Piazza del Popolo era quasi tutta gremita di lavoratori che avevano rinunciato al salario per intervenire alla manifestazione. […] Gli intervenuti si sono poi recati in ordine perfetto al Viminale per esprimere la loro solidarietà al governo”. L’esito del referendum era quanto mai incerto e
nell’attesa del 2 giugno la Settimana Incom, pur concedendo di fatto una maggiore visibilità alla causa della Corona, si mostrò prudente e dedicò spazio ad entrambe le parti140.
137 S. Lanaro, op. cit., p. 52. 138
Due giorni dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele III, Piero Calamandrei scrisse sulle pagine de «La Nazione del Popolo», quotidiano del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, un infuocato articolo dal titolo Il colpo di stato dei fantasmi. In esso l’illustre giurista, nonché membro della Consulta nazionale, mise in dubbio la validità giuridica dell’abdicazione del re e della successione del figlio: «Il re ha abdicato: ma esisteva ancora un re? E questo ex re […] poteva giuridicamente abdicare? Il sedicente principe ereditario, in seguito all’abdicazione, si proclama re, col nome di Umberto II; ma esisteva ancora in Italia un principe ereditario?» Calamandrei fa riferimento al proclama del 12 aprile 1944 con il quale Vittorio Emanuele dichiarò di ritirarsi dalla vita pubblica e di nominare Luogotenente Generale il figlio Principe di Piemonte. Questa nomina sarebbe diventata effettiva dopo la liberazione di Roma da parte degli alleati e con la tregua istituzionale la denominazione “luogotenente” – continua Calamandrei – «non fu scelta a caso: i giuristi che consigliarono quella soluzione […] attesteranno che si volle evitare allora (e il re fu d’accordo) la formale abdicazione, perché questa avrebbe posto il problema della successione, che doveva invece (e il re fu d’accordo) essere rimesso impregiudicato alla Costituente. […] L’ex re, che aveva già consentito ad abdicare in maniera larvata e tale da non dar luogo a successione al trono, tenta nuovamente di abdicare in maniera formale, riassumendo così per un istante i poteri regi ai quali aveva già «irrevocabilmente» rinunciato, per poterli, questa volta, trasmettere al suo erede e far rientrare dalla finestra un altro re al suo posto».
139 «Il partito d'azione, il partito democratico cristiano, il partito comunista, il partito repubblicano, il partito
socialista e la Camera confederale del lavoro di Roma, hanno deciso di lanciare domattina il seguente manifesto: "Romani! per rispondere alle provocazioni di ieri, i partiti e le organizzazioni popolari vi invitano a sospendere il lavoro ed a raccogliervi oggi alle ore 11.00 a piazza del Popolo in una manifestazione per la libertà, per la democrazia, per la repubblica, per le elezioni del 2 giugno".» (Ag. Ansa, 10 maggio, ore 23.55)
140 Si confronti con il servizio che il Notiziario Nuova Luce dedica alle due manifestazioni: “Roma.
3.2 Il referendum
“Un popolo intero ha finalmente potuto parlare in un paese che per troppi anni aveva
dovuto travasare negli altoparlanti la voce di un uomo solo. Le schede silenziose ma eloquenti dei milioni di cittadini, invece che un solo balcone: questo è il primo significato delle elezioni in Italia!”141 Il 6 giugno 1946 La Settimana Incom aprì con un lungo servizio sulle cruciali giornate del 2 e 3 giugno, in cui quasi 25 milioni di italiani erano andati a votare per decidere il futuro istituzionale del Paese. La cronaca dell’evento ha un tono entusiastico e un ritmo incalzante. Le cifre dell’affluenza alle urne testimoniano ovunque una partecipazione massiccia: nulla sembra fermare l’entusiasmo per la ritrovata libertà, non il caldo di Roma, non la pioggia a Torino, non il nervosismo dell’attesa nelle lunghe file davanti alle sezioni elettorali, “le stesse che si sono fatte altre volte per il pane
e per le cose di prima necessità: anche la libertà è una cosa necessaria!” Il confronto con
il recente passato diventa un tema ricorrente: agli anni bui della dittatura, identificata simbolicamente con l’immagine del balcone e delle lunghe file “in cui ci si stipava al
chiuso e al buio”, è contrapposta la festa di queste giornate, che “le [le file] fa parere cose di un mondo passato. Si vota proprio perché questo mondo non torni più!” Le
immagini di comuni cittadini all’ingresso o all’uscita dei seggi elettorali (“Queste nonnine
non vogliono incorrere nel pericolo di lasciare schede nulle: hanno la loro idea e desiderano esprimerla come si deve”) si alternano a quelle dei personaggi noti della
politica (“Ecco Ferruccio Parri. Per arrivare a questa giornata era necessario quel
coraggio della vita clandestina di cui egli è stato uno dei protagonisti”), di Umberto II
(“Anche il re ha voluto esercitare il suo diritto di cittadino142. […] Pare non gli sia stata chiesta la carta d’identità”), di esponenti della Chiesa (“Il cardinale Ascalesi percorre a piedi la strada dall’Arcivescovado alla sua sezione. La sua passeggiata diventa una
Quirinale”. A questo brevissimo cenno – appena 20 secondi – segue una lunga ed enfatica cronaca della
manifestazione repubblicana: “Il giorno dopo i partiti repubblicani hanno convocato i romani in piazza del
Popolo. Ecco qualche visione di questa imponente e ordinata manifestazione. Parla Saragat, Scocimarro, Comandini. Malgrado l’enorme affluenza di popolo, calcolata intorno alle 200.000 persone, non si è verificato nessun incidente, segno della raggiunta maturità democratica del popolo italiano”. La
proporzione tra i tempi dedicati ai due schieramenti è inversa rispetto a quella dei servizi Incom. Nel numero successivo, in cui sono mostrate altre immagini della campagna elettorale, i comizi monarchici appaiono molto meno gremiti di quelli repubblicani. Nel complesso il Notiziario Nuova Luce si mostra meno prudente rispetto alla Settimana Incom e rivela tra le righe la sua propensione per la tesi repubblicana.
141 Cfr. “L’Italia alle urne”, La Settimana Incom n. 14, 6 giugno 1946. 142
Nella mattina del 3 giugno, durante un colloquio con De Gasperi al Quirinale, Umberto II «affronta con il presidente del Consiglio il problema del suo voto. Per rintracciare una norma basata sui precedenti,