• Non ci sono risultati.

5. Il ritorno della retorica patriottica

5.1 La questione giuliana

Come abbiamo avuto modo di intravedere da alcuni servizi esaminati, la questione relativa ai confini tra Italia e Jugoslavia fu largamente trattata dal cinegiornale Incom. A partire dal marzo del 1946, sino alla firma del Trattato di Pace, La Settimana Incom si fece portavoce del “grido di dolore”219 delle popolazioni italiane dei territori contesi. Il problema di Trieste compare per la prima volta in occasione dell’intervista a Pietro Nenni del 20 marzo 1946. L’allora ministro per la Costituente, dopo aver chiarito la posizione del suo partito intorno alle principali problematiche del momento - elezioni amministrative, partecipazione delle donne alla vita politica, Costituente - si pronuncia, su richiesta dell’intervistatore Pallavicini, sul destino di Trieste: “Noi difenderemo

fermamente il diritto italiano di Trieste. Noi sosterremo la linea di frontiera che da Pola, lungo il crinale dell’Istria, raggiunge l’Isonzo sopra Gorizia”220.

Al momento dell’occupazione jugoslava di Trieste, il 1° maggio del 1945, Nenni aveva condiviso il punto di vista di Togliatti e invitato la popolazione ad accogliere gli jugoslavi come liberatori. Per i due leader politici la questione dei confini orientali si poneva in termini estremamente problematici: un mero allineamento alla politica estera di Mosca avrebbe pregiudicato la posizione dei due partiti nel panorama politico italiano e presso l’opinione pubblica, visceralmente schierata per la difesa dell’italianità dei territori contesi. Al Consiglio dei Ministri del 3 maggio 1945 socialisti e comunisti avevano approvato il comunicato nel quale, accanto al saluto rivolto a Trieste e alle forze alleate e partigiane, si dichiarava che Trieste era «indiscutibilmente italiana», si chiedeva che l’amministrazione provvisoria della Venezia Giulia fosse gestita dalle forze occupanti in modo neutrale e imparziale e si affermava che, essendo stata liberata dalle truppe del

219 “Il rappresentante triestino invita i congressisti ad accogliere il grido di dolore dei giuliani” , in “Vita

politica. Il congresso democristiano a Roma”, La Settimana Incom n. 10, 3 maggio 1946; “[…] A qual pro

chiudete gli occhi al grido di dolore degli italiani dell’Istria?”, in “La Conferenza della pace”, La Settimana Incom n. 19, 14 agosto 1946.

220 Cfr. “Interviste. A colloquio con Pietro Nenni”, La Settimana Incom n. 6, 20 marzo 1946. Cfr. «Avanti!»

del 10 settembre 1945, in cui Nenni si pronuncia sulla stessa linea di frontiera e propone l’internazionalizzazione non della città, ma del porto di Trieste.

generale Freyberg221, la Venezia Giulia dovesse essere amministrata secondo i termini dell’armistizio, al pari delle altre regioni italiane.

Sia Togliatti che Nenni dichiararono pubblicamente, a poche settimane dalla liberazione della città222, di sostenere e difendere l’italianità di Trieste, ma le dichiarazioni del leader comunista furono caratterizzate da una serie di equilibrismi223 che i socialisti – legati al patto di unità d’azione con il Pci ma non dipendenti dalle direttive di Mosca – poterono risparmiarsi.

Tra l’8 marzo e il 5 aprile 1946 una Commissione di esperti, istituita - su proposta del segretario di Stato americano Byrnes - dal Consiglio dei Ministri degli Esteri nel corso della Conferenza di Londra il 19 settembre 1945, visitò la Venezia Giulia allo scopo di definire i confini italo-jugoslavi. Le quattro delegazioni in cui si articolava la Commissione (americana, sovietica, inglese, francese) esaminarono la composizione etnica della popolazione e la configurazione geografica ed economica del territorio. Durante la Conferenza di Londra erano emerse tre posizioni differenti e inconciliabili: una americana, che si assestava sulla difesa della linea Wilson, previe valutazioni di natura etnica e economica; una inglese, che sosteneva la delimitazione sulla base del principio etnico; una russa, che legava indissolubilmente le città al loro retroterra naturale, abitato da popolazioni prevalentemente slave. L’ispezione sul posto, nel marzo 1946, non produsse i risultati sperati, poiché ciascuna delegazione trasse dalla visita la conferma della propria posizione. Non potendo trovare un punto d’accordo, le quattro delegazioni - che avrebbero dovuto produrre un rapporto collegiale - presentarono al

221 In realtà la Seconda divisione neozelandese comandata dal generale Freyberg giunse a Trieste solo nel

pomeriggio del 2 maggio, quando le truppe partigiane jugoslave, che avevano raggiunto la città nella mattina del giorno precedente, avevano già occupato la gran parte degli edifici pubblici. I soldati neozelandesi ottennero però la resa immediata dei tedeschi, che all’arrivo dei partigiani si erano asserragliati nel porto, nel tribunale e nel castello di S. Giusto.

222 Cfr. l’«Avanti!» e l’«Unità» del 16 maggio 1945. 223

Cfr. l’articolo di Togliatti su «Il Lavoratore» del 26 giugno 1945: «Noi comunisti affermiamo l’italianità di Trieste, ma non vogliamo che i destini di questa città vengano compromessi con azioni unilaterali […] Vogliamo trovare per la questione di Trieste una soluzione che soddisfi i diritti nazionali di tutti, che tenga conto di tutte le realtà e non comprometta, in nessun modo, i futuri rapporti di fraternità e collaborazione con i popoli della Jugoslavia […] La nostra visione è, quindi, nazionale e internazionale […]». La già spinosa situazione si complicò, per i comunisti italiani, con la risoluzione del 25 settembre 1945, con la quale il PCRG (Partito Comunista della Regione Giulia) aderì alle tesi annessionistiche jugoslave. Questa netta presa di posizione fu pubblicamente condannata da Togliatti a fine dicembre ’45, durante il V Congresso del Pci (già il 30 settembre 1945 il leader comunista aveva fatto approvare dalla direzione del partito un documento in cui si sconfessava l’azione dei comunisti giuliani, li si invitava a recedere dalla loro decisione e si minacciava di rendere pubblico il dissenso), ma non comportò una rottura ufficiale tra i comunisti della regione. Per la differenza fra gli orientamenti strategici dei due partiti, cfr. Raoul Pupo,

Consiglio alleato dei ministri degli esteri quattro rapporti separati, ognuno dei quali proponeva una propria linea di confine224.

La posizione sostenuta da Nenni durante l’intervista con Pallavicini si colloca, dunque, in un contesto di acceso dibattito - nazionale e internazionale - sulle linee di confine della Venezia Giulia e coincide, grosso modo, con la tesi inglese225.

Nel periodo in cui le quattro delegazioni ispezionavano il territorio giuliano, si ebbero imponenti manifestazioni di italianità a Pola (il 21 marzo) e a Trieste (fra il 21 e il 27 marzo). Già dal novembre del 1945 «le autorità alleate ravvisarono un consolidamento organizzativo e propagandistico del fronte alleato […]. Il primo risultato palese era dato dalla manifestazione del 3 novembre 1945, la prima manifestazione italiana del dopoguerra con largo afflusso di massa, secondo il modello che fino ad allora soltanto il fronte comunista era stato in grado di adottare»226. Come sottolinea Valdevit, l’uscita di scena di Parri - che aveva tentato di avviare un confronto con i comunisti giuliani - e la formazione del governo De Gasperi - che mostrò invece una maggiore intransigenza nel difendere i territori abitati da italiani - avevano contribuito ad un rafforzamento delle posizioni oltranziste, sia all’interno del CLN di Trieste227, sia tra le forze politiche italiane. A questo risultato aveva senz’altro concorso la già menzionata risoluzione del PCRG, che diede una spinta ulteriore «a quel processo di polarizzazione fra i due contrapposti schieramenti sulla base delle pregiudiziali annessionistiche»228.

I servizi che la Settimana Incom dedica a Trieste confermano questa atmosfera di acuta contrapposizione, ma si tengono lontani dai toni estremi de «La Voce libera», organo del Cln triestino, che precorre il linguaggio della guerra fredda, contrapponendo alla civiltà occidentale la barbarie dell’oppressione comunista229.

224 La linea di confine proposta dai francesi fu individuata verso la fine di aprile per cercare un

compromesso tra la posizione degli anglo-americani e quella russa.

225 La linea inglese attribuiva all’Italia Pola e tutta la costa istriana occidentale, spostando più a sud –

rispetto alla linea americana – il tracciato sul Quarnaro.

226 G. Valdevit, La questione di Trieste 1941-1954. Politica internazionale e contesto locale, Franco Angeli,

Milano, 1987, p. 132. Il 3 novembre 1945, anniversario dello sbarco a Trieste delle truppe italiane nel 1918, il Cln organizzò una grande manifestazione di italianità sino al Colle di San Giusto. «La contromanifestazione filo-jugoslava del giorno dopo è decisamente più imponente, ma le parti in campo ora sono due e non più una sola», Raoul Pupo, op. cit., p. 303.

227

Il Pci triestino era uscito dal CLN nell’ottobre del 1944, dopo il fallito tentativo di ottenere dal Comitato il riconoscimento dell’aspirazione delle popolazioni della Venezia Giulia all’annessione alla Jugoslavia. Cfr. D. De Castro, La questione di Trieste. L’azione politica e dplomatica italiana dal 1943 al 1954, Edizioni Lint, Trieste, 1981, vol. I, pp. 189-191.

228

G. Valdevit, op. cit., p. 131.

229 «Razionalità e positività vengono contrapposte a tendenze ancestrali ed istinto di aggressione. Quando il

discorso passa dal piano delle grandi visioni storiche a quello della concretezza della vita locale, abbiamo la contrapposizione fra la civiltà urbana e quella contadina, fra la cultura cittadina e la non-cultura rurale», L Ferrari, Trieste 1945-1947: la questione istriana nella stampa, in Storia di un esodo. Istria 1945-1956, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste, 1980, p.

Nel numero 7 del primo aprile 1946 il cinegiornale mostra, accompagnate dall’inno di Mameli, le immagini di una delle manifestazioni di fine marzo, con un commento fuoricampo che si fa via via più concitato: “Trieste sei nostra - cantavano i soldati del

Carso e del Piave - Trieste rimarrà italiana! - È il grido che prorompe da ogni cuore nella città di San Giusto. Italianità indefettibile! Ad ogni dubbio che sorga circa il futuro assetto che i trattati stabiliranno per la Venezia Giulia, migliaia di cittadini gremiscono le strade, affermano chiaramente la loro volontà di non essere strappati all’Italia, di cui parlano la lingua con così gentile cadenza. Ritrovano come già i loro padri e i loro nonni le parole solenni, la musica grave incitatrice dell’inno di Mameli. Questa di cui vedete alcuni momenti è una delle quattro giornate divenute subito famose. I triestini affluiscono, come è ormai tradizione, in piazza dell’Unità, un luogo che è anche un simbolo, prossima a quel Molo Audace dove nel novembre del ‘18 approdò liberatore il primo cacciatorpediniere italiano. Italia, Italia, Viva l’Italia! E’ una dimostrazione di amore alla patria, non di odio per altri. Una dimostrazione che chiede Trieste italiana, in una pacifica e democratica intesa di popoli”230

La Incom non riferisce delle centinaia di arresti effettuati nella zona A e a Trieste in seguito agli scontri tra le opposte fazioni231, e costruisce l’immagine di un nazionalismo pacifico che, affondando le radici nel passato risorgimentale, giura di non avere nulla a che fare con quello fascista232.

223. Persino in un trafiletto di argomento leggero come quello dal titolo Ho una gabbia con un leone, in cui un lettore informa circa la possibilità di visitare il leone di cui è proprietario dietro il pagamento di un biglietto, «La Voce libera» non si fa sfuggire l’occasione per una pungente polemica nei confronti dei comunisti: «Vorremmo dire a questo signore, credete veramente che i cittadini vengano lassù per vedere “Boy” pagando dieci lire, dal momento che possono vedere gratis in città le belve dell’«Uais» che fanno pure gli esercizi, e costano anche loro al loro padrone quasi come “Boy” al suo?», «La Voce libera», 5 luglio 1947.

230 Cfr. “A Trieste”, La Settimana Incom n. 7, 1° aprile 1946.

231 «[…] per alcune settimane in città regnerà il caos: fino al 1° aprile la città verrà percorsa da dodici

manifestazioni d’ambo le parti, i feriti saranno 160, fra cui 10 agenti, e gli arrestati 548», Raoul Pupo, op. cit., p. 305. Gli stessi alleati erano incapaci di arginare o neutralizzare l’attività dei gruppi paramilitari italiani attivi a Trieste. A tal proposito cfr. Valdevit, op. cit., p. 134 e R. Pupo, op. cit., pp. 304-306.

232 “[…] L’Italia è guarita dai suoi vecchi nazionalismi e si guarda dalle ricadute”, La Settimana Incom n.

17, 13 luglio 1946; “[…] L’Italia ha imparato i pericoli del nazionalismo, ma alla Francia, che vuole

amica, ricorda le centinaia di partigiani nostri caduti sul suo suolo per la causa comune”, La Settimana Incom n. 22, 6 settembre 1946; “[…] Anche sbolliti i nazionalismi dannunziani il varo di una nave di 9.500 tonnellate rimane motivo di orgoglio per gli italiani!”, La Settimana Incom n. 32, 14 novembre 1946. «[…]

Con una singolare combinazione di sincerità, opportunismo e ipocrisia, fu deciso che il fascismo era stato un incidente di percorso, una «invasione degli iksos» (così lo definì Benedetto Croce), una febbre passeggera. Smaltita la sbornia nazionalista, razzista e autoritaria, l’Italia che tornava in campo a fianco degli alleati era dunque quella di Vittorio Veneto, del Risorgimento, di Mazzini e di Garibaldi. Ci intossicammo con questa pietosa bugia, credemmo di avere diritto a essere considerati vincitori e considerammo il trattato come una intollerabile ingiustizia. […]”, Sergio Romano, Trieste: solo De Gasperi capì che la pace si doveva firmare a tutti i costi, «Corriere della Sera», 9 febbraio 2007.

Alle manifestazioni di marzo è dedicato anche il primo servizio del n. 8 del 10 aprile, con toni pressoché identici: “[…] Stretti intorno ai monumenti delle glorie italiane, i

giovani ritrovavano gli appelli che i nonni irredentisti avevano imparato nell’ombra delle cospirazioni. I militari alleati ricevevano la loro parte di applausi che suonavano saluto ai liberatori e insieme promemoria ai rappresentanti delle Nazioni Unite. Durante le manifestazioni un crescendo di compatto, irresistibile, disciplinato, consapevole entusiasmo. Queste visioni prese durante l’ultima giornata dimostrano in quale spirito civile e di concordia internazionale Trieste abbia espresso la sua anima italiana.”233

Da questo momento in poi il cinegiornale colse ogni occasione, anche non strettamente pertinente alla questione giuliana, per sostenere le richieste italiane su Trieste: al suo arrivo a Roma con il volo inaugurale della linea NewYork-Roma, l’ambasciatore Tarchiani “porta buone notizie circa l’accoglimento della nostra tesi su Trieste”234; al congresso democristiano “i rappresentanti giuliani portano al banco presidenziale i

gonfaloni di Trieste, e il rappresentante triestino invita i congressisti ad accogliere il grido di dolore dei giuliani”235; al Giro d’Italia, nella tappa di Torino, “[…] in testa sono

Cottur e Bevilacqua, entrambi della Wilier triestina. A Cottur il primo traguardo e la prima maglia rosa. Fa una certa emozione portare alla vittoria i colori di Trieste!”236

Il Giro d’Italia237 e gli incidenti di Pieris238 del 30 giugno travalicarono per alcuni giorni le cronache sportive per coinvolgere la politica. Il desiderio di unire simbolicamente l’Italia ai territori giuliani aveva indotto la «Gazzetta dello Sport» a proporre che la quattordicesima tappa della popolare gara ciclistica si svolgesse da Rovigo a Trieste: «Noi della Gazzetta dello sport - scrisse Bruno Roghi nell’editoriale del 1° luglio, all’indomani dei fatti di Pieris - sapevamo quello che volevamo, venendo a Trieste […] Noi volevamo venire a Trieste puramente e semplicemente perché “il Giro

233

Cfr. “A Trieste”, La Settimana Incom n. 8, 10 aprile 1946.

234 Cfr. “Linee aeree. NewYork-Roma”, La Settimana Incom n. 8, 10 aprile 1946.

235 Cfr. “Vita politica. Il congresso democristiano a Roma”, La Settimana Incom n. 10, 3 maggio 1946. 236 Cfr. “Cronache sportive. Il Giro d’Italia (prima parte)”, La Settimana Incom n. 16, 27 giugno 1946. 237 Il Giro d’Italia non si correva da sei anni e fu battezzato “Giro della Rinascita”.

238

«L'agenzia di notizie Nazioni Unite ha diramato alle ore 16.45 odierne il seguente comunicato: due chilometri a est di Pieris al confine della Venezia Giulia un grosso barile è stato posto sulla strada davanti ai corridori. Sono state anche lanciate delle pietre contro di loro ed essi si sono fermati. La polizia della Venezia Giulia al seguito della corsa, ha allora provveduto a disperdere una piccola folla all'angolo della strada. Mentre gli agenti si accingevano a fare ciò, si è sparato contro di loro e un agente è stato ferito. La polizia ha risposto al fuoco. Successivamente alcune persone nascoste tra i cespugli, aprivano il fuoco contro la polizia dall'altra parte della strada. La polizia ha aperto il fuoco contro costoro e sia la folla che gli assalitori sono stati dispersi. I corridori si sono poi riuniti per decidere se continuare la corsa fino a Trieste o meno. Alcuni sono andati a Udine e altri hanno proseguito in macchina fino a Miramare. Di lì hanno raggiunto l'ippodromo Montebello a Trieste in bicicletta. Tutti gli sportivi hanno accolto la notizia di questa aggressione contro gli atleti con sorpresa e disgusto. L'atto di questo gruppo di persone nei pressi di Pieris non torna a favore della causa che essi credono di servire.», Un comunicato dell'Agenzia Nazioni Unite, in «La Gazzetta dello Sport», lunedì 1 luglio 1946.

d’Italia” senza Trieste era una statua decapitata, un fiume senza sorgente, una ripresa senza meta […]»239. La tappa divenne l’occasione per nuovi scontri tra i nazionalisti delle due fazioni. La Settimana Incom dedicò all’episodio un lungo servizio nel numero 17 del 13 luglio: “Trieste, Ippodromo di Mirabello. Corre voce che i ‘girini’ non arrivino più.

C’è stato un attentato a Pieris. La folla sta per andarsene lanciando minacce contro gli slavi. Si ode un grido: «Arrivano! Arrivano!» Si corre al recupero dei buoni posti. Una maglia rossa è guizzata dentro l’ippodromo e fa il giro, mentre un grido unanime l’accompagna: «Italia! Italia!» È Cottur, ha vinto con un centinaio di metri di vantaggio: conosce bene la sua Trieste! Gli autori dell’incidente di Pieris hanno cercato scuse: «Non ce l’avevamo col Giro, ma con la manifestazione di italianità che provocava

»

, già!, «Peso el tacòn del buso!240» dicono i triestini rispondendo per le rime. Anche i tram di sono fermati in segno di protesta, tutta la città è in fermento. Gli stampati di propaganda slavofila sono diventati un tappeto di carta straccia. L’ufficio dell’organizzazione di via della Zonta per qualche tempo non funzionerà più da centrale antitaliana [immagini di

arredi divelti]”241.

Il tentativo dei comunisti giuliani di bloccare la corsa - per il significato che la tappa triestina assumeva nel contesto delle trattative per la delimitazione dei confini - ebbe l’effetto di scatenare la reazione dei nazionalisti e dei neofascisti italiani, che attaccarono le sedi delle organizzazioni filoslave a Trieste e in alcuni casi le devastarono. «Nei giorni successivi avevano luogo altri assalti da parte delle squadre italiane, sparatorie, lanci di bombe, scontri il cui bilancio definitivo era dato da 3 morti, 138 feriti, mentre 414 arresti venivano operati dalla polizia civile»242. Nel servizio della Incom l’aggressività italiana

239 Bruno Roghi, La promessa mantenuta, in «La Gazzetta dello sport», 1° luglio 1946. 240 Espressione veneta: «peggio la toppa del buco».

241

Cfr. “Ciclismo. Il Giro d’Italia (seconda parte)”, La Settimana Incom n. 17, 13 luglio 1946. Cfr. la versione fornita da «Il Lavoratore», organo del Partito comunista giuliano: «La giuria del giro ciclistico d'Italia parla, nel suo comunicato, di un incidente trascurabile verificatosi a Pieris per lanci di sassi da parte di ragazzi. Dopo questo gonfiato incidente che ha interrotto la corsa, vediamo la maggioranza dei corridori in fraterna conversazione con la “canaglia dell'U.A.I.S.” presente pure qualche giornalista italiano. La maggior parte dei corridori non vogliono assolutamente proseguire, perché hanno capito che si vogliono sfruttare le loro persone per una speculazione politica. E lo dicono apertamente che non vogliono prestarsi al gioco. Se qualcuno, là a Begliano, usò parole velenose, furono proprio questi individui, specialmente qualche graduato della Polizia […] La corsa è interrotta, ma lo sport non l'hanno ammazzato a sassate, a Pieris, i titini, bensì coloro che da settimane andavano preparando il terreno per una manifestazione sciovinista. Se ne infischiavano costoro del ciclismo; tendevano ad una mobilitazione di squadristi provocatori. L'incidente di Begliano si chiuse con una manifestazione di solidarietà e di fratellanza di italiani della neorepubblica, non di un “pugno di rinnegati e di venduti”, si chiuse col saluto col pugno teso da parte di un gruppo di ciclisti al momento della loro partenza per Udine. I corridori non si sentirono offesi dall"incidente di Pieris: fanno gli offesi i santoni del neofascismo triestino che t'inventano e fanno circolare in città voci esagerate, false.», Due giornate che costeranno care, in «Il Lavoratore», 2 1uglio l946.

242 G. Valdevit, op. cit., p. 151. «La polizia ha fatto sapere di non poter operare contro le Bande Tricolore

compare solo attraverso le immagini dell’ufficio divelto, e si pone all’opinione pubblica come l’inevitabile e giusta risposta alla provocazione comunista.

Nel numero 13 del 24 maggio 1946 un servizio è dedicato al recupero di corpi gettati nelle foibe. “Tutti sottoscriveremmo volentieri agli inviti di amicizia italo-jugoslava [immagine di una scritta sul muro di una casupola, non facilmente leggibile], purtroppo a

pochi passi da queste scritte una croce stende le sue braccia presso l’apertura di una