2.2 Le teorie dell'identità nel pensiero sociologico 1 Le origin
2.2.3 Identità multiple e interazionismo simbolico
Se lo strutturalfunzionalismo vede nell'identità la componente stabile del sistema della personalità, l'interazionismo simbolico si differenzia da tale interpretazione definendo l'identità come un'entità in continua trasformazione che prende forma nel corso del processo interattivo della vita quotidiana (Parmiggiani 1997). In questo approccio i valori non ne sono la determinante ma le cornici entro le quali ha luogo l'azione sociale (Sciolla 1983a). Alla base di questa interpretazione vi è la distinzione tra identità e sistema della personalità e l'idea che l'identità prenda forma attraverso il processo di definizione di sé dell'individuo, in base al quale agisce, rappresentazione di sé che successivamente viene verificata, consolidata e modificata attraverso il processo di interazione (Ibid.). L'identità si forma attraverso la capacità del singolo individuo di immedesimarsi nella prospettiva del proprio simile col quale entra in contatto, riuscendo a interpretarne le aspettative.
Ralph H. Turner elabora una specifica riflessione attorno al concetto “io-me-stesso” che si fonda sulla distinzione tra la “concezione di sé”, che corrisponde al vero e proprio io “reale”
31 dell'individuo, dalla “immagine di sé”, la quale rappresenta “la fotografia che registra la sua figura in un determinato istante” (Turner 1983[1968] p. 91), ovvero la sua apparenza in una determinata circostanza. La concezione di sé è l'identità: un sistema stabile e dotato di coerenza che, producendo un senso unitario, conferisce orientamento all'azione10. L' “immagine di sé” invece è legata alla situazione, è effimera, instabile, e rappresenta l'apparenza dell'individuo in un dato momento(Turner1983[1968]; Sciolla 1983a).
L'interazione sociale è un modo “sperimentale” (Turner1983[1968]) attraverso il quale l'identità si confronta con l'immagine di sé rimandatagli dagli altri. Essa non è visibile finché in questo “gioco interattivo” non emergono delle incongruenze: quando è minacciata da immagini di sé contraddittorie che gli altri rimandano nel corso dell'interazione sociale l'individuo cerca di dare coerenza e unità al proprio mondo e alla concezione di sé, cercando di eliminare tali incongruenze mediante azioni e immagini che riaffermino la propria identità. L'identità si sviluppa proprio nel processo di superamento di tali contraddizioni ed è descritta come il risultato di tale “aggiustamento” della concezione di sé, rivista in base all'immagine rimandata dagli altri (Sciolla 1983a).
L'identità è considerata da Turner sia una determinante che un prodotto dell'interazione sociale, perché conferisce orientamento all'azione e allo stesso tempo nell'interazione essa è verificata e variata. Sebbene tale approccio tenda a valorizzare gli aspetti soggettivi e mutevoli dell'identità, vedendola soprattutto come il soggetto che fa esperienza e riconoscendole una dimensione cosciente e riflessiva, il processo di costruzione dell'identità è comunque un processo sociale perché dipende dalla capacità dell'individuo di riconoscersi e immedesimarsi nella prospettiva dell'altro, con cui entra in contatto nel corso dell'interazione. Da questo processo emerge un'identità “situazionale” che risulta dal compromesso tra l'identità “originaria” e le immagini di sé che via via si succedono (Parmiggiani 1997).
10 Lo stesso autore propone un esempio per spiegare la differenza tra la concezione e l'immagine di sé: in un'orchestra, la strumentazione di base e la tecnologia musicale costituiscono il concetto di “concezione di sé”, mentre i suoni prodotti di volta in volta realizzati dall'orchestra corrispondono alla diverse “immagini di sé” (Turner1983[1968]; Parmigiani 1997).
32 L'identità che ne risulta è un'entità molteplice, instabile, formata da più sé che il soggetto assume nelle diverse interazioni sociali e che è sempre in grado di “aggiustare” e negoziare. Anche in questa prospettiva la dimensione temporale è un elemento costitutivo dell'identità e la continuità è il risultato di un'attività re-interpretativa e riflessiva del soggetto, ma non è un fattore “innato” del sé. L'identità si trasforma continuamente nel processo interattivo della vita quotidiana, processo infinito, quindi anche l'identità non può mai considerarsi acquisita in modo definitivo. La concezione fluida e mutevole di identità, adottata da molti sociologi contemporanei, deriva dalla visone interazionista del sé (Sciolla 2010).
Questo tipo di identità, multipla e instabile, teorizzata dall'approccio interazionista, viene considerato, in letteratura, vicino al modello drammaturgico di Erving Goffman (Sciolla 1983a; Parmiggiani 1997; Ritzer 2007), nel quale l'identità non è posseduta dagli individui ma è il “prodotto drammaturgico” dell'interazione tra l'individuo ed il suo pubblico (Ritzer 2007). L'identità viene descritta da Goffman come una maschera che l'individuo indossa e cambia a seconda delle rappresentazioni, è l'esito della scena rappresentata11. Ne consegue una tendenziale imprevedibilità e mutevolezza dell'identità che dipende dalle circostanze. L'individuo, nella sua vita quotidiana, cerca di presentare un'immagine di sé convincente e positiva indossando delle maschere che “mutano al mutare della scena”, adatte ai diversi palcoscenici ed ai pubblici che si trova davanti. L'identità va a connettere la “molteplicità simultanea di sé”, è plurima, come lo sono le maschere che l'individuo adotta, non ha confini stabili ma mobili che si espandono o restringono quando l'individuo negozia “pezzi” della propria identità, per la credibilità e l'accettazione sociale (Sciolla 1983a). Goffman giunge a negare l'esistenza di un vero sé, definendo l'identità come il prodotto della scena rappresentata, mai la sua causa: non esiste il vero volto dell'attore, ma solo il personaggio che ogni volta interpreta (Ibid.).
11 Mentre per Mead la dialettica del Sé che ha luogo tra le componenti Io-Me è fondamentale, nel pensiero di Goffman l'individuo è completamente scisso in due componenti: l'attore, che definisce un “affaticato fabbricante di impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di mettere in scena una rappresentazione”, e il personaggio, descritto come “una figura per definizione dotata di carattere positivo, il cui spirito, forza e altre qualità eccezionali debbono essere evocati dalla rappresentazione” (Goffman (1969[1959]), p. 394).
33 L'ipotesi della conflittualità tra ruoli, che si trova anche nel pensiero di Turner, viene superata da Goffman attraverso il concetto di “distanza dal ruolo”, un processo che permette all'individuo di staccarsi da ruoli in conflitto, distinguere tra i personaggi che di volta in volta egli interpreta e gestire gli aspetti divergenti del proprio sé senza arrivare a comportamenti devianti, collocandosi in uno spazio intermedio tra le aspettative normative – che definiscono i ruoli e le identità annesse – e l'immagine proiettata di sé (Ibid.).
Goffman, se per certi versi è vicino alla prospettiva interazionista, non è collocato in tale corrente di pensiero, e la stessa Sciolla (1983a) sottolinea la diversità di fondo tra la prospettiva d'analisi di questo autore e quella dell'interazionismo simbolico: Goffman non si limita ad affermare che l'identità è influenzata dai rapporti sociali con gli “altri significativi”, sulla base dei quali le identità si sviluppano e si negoziano, egli sostiene che il sé è creato “localmente” nel rituale dell'interazione, e per tale ragione non esiste un'identità precedente all'interazione perché essa non è stabile e duratura ma è il prodotto della scena rappresentata. L'identità si produce e riproduce nelle interazioni sociali della vita quotidiana, non si lega alla persona, ma emerge dalla situazione sociale (Goffman 1969[1959]; Sciolla 1983a).
Se si considera l'identità, in accordo con questa prospettiva, come un sé molteplice, il “principio di integrazione” (Sciolla 1983a) non porta ad un'identità unitaria e coerente, com'era nella lettura strutturalfunzionalista, perché il legame tra diversi sé contemporanei - “sincronica” - e tra sé successivi - “diacronica” - in questo paradigma è debole e non elimina le incongruenze. La dinamica di integrazione si realizza però attraverso altre funzioni, come quella di ordinamento simbolico e di continuità temporale svolta dalla memoria, che concilia gli eventi passati e gli elementi discordanti dell'esperienza, sulla base di un progetto identitario che comprende il passato ed è rivolto al presente e al futuro12.
12 Anselm Strauss sottolinea la funzione della memoria nel riconciliare elementi discordanti in un quadro simbolico in cui la continuità temporale riesce a reinterpretare e dare coerenza a fattori contrastanti. L'esempio più noto riportato da Strauss è quello del convertito a una setta religiosa la cui biografia appare caratterizzata da una forte discontinuità tra il “sé precedente” e il “sé successivo” alla conversione, ma la continuità temporale può portare a concepire il sé passato come preparatorio a quello futuro superando la discontinuità (Sciolla 1983a).
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