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IL BENESSERE SOGGETTIVO IN OTTICA PSICO-EVOLUZIONISTICA

Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 64-71)

EVOLUZIONISTICO AL BENESSERE

IL BENESSERE SOGGETTIVO IN OTTICA PSICO-EVOLUZIONISTICA

L’analisi sul benessere in ottica psico-evoluzionisti- ca compiuta da Buss (2000) ha individuato alcuni ostacoli di rilevanza evoluzionistica al raggiungi- mento della felicità.

Primo tra questi, l’effetto della discrepanza spesso notevole tra ambiente attuale e ambiente di vita ancestrale. L’ipotesi del “mismatch” ambientale, un punto centrale delle spiegazioni evoluzionistiche sulla psicopatologia, sostiene infatti che lo “svin- colarsi” dell’evoluzione culturale dall’evoluzione biologica dell’uomo ha fatto sì che noi esseri umani, biologicamente adattati alle condizioni di vita del Pleistocene, ci troviamo a vivere in un ambiente (sia fisico che sociale) profondamente modificato. Pro- prio il trovarsi a dover rispondere a condizioni am- bientali al di fuori della “norma di reazione” nell’am- bito della quale i nostri tratti adattativi funzionano adeguatamente, porterebbe a stress e disfunzioni (Crawford, 1998). Il divario tra l’ambiente di vita attuale e quello di evoluzione della nostra specie interessa diversi aspetti dell’esistenza umana. Innanzitutto Buss (2000) mette in risalto le dif- ferenze nella caratterizzazione della vita sociale. Mentre i nostri progenitori ancestrali vivevano in piccole bande di circa 50-100 membri, di solito strettamente imparentati tra loro e uniti da le- gami di reciproca conoscenza e interdipendenza, attualmente la nostra vita si svolge sempre più spesso in città e metropoli, e le nostre interazio- ni avvengono in maniera molto più superficiale all’interno di una folla anonima di individui solita- ri. Inoltre, non solo è scomparso il modello della famiglia allargata tipico della vita nel Pleistocene, ma anche la famiglia nucleare sta attraversando una crisi profonda, mentre si affaccia sulla scena sociale il modello della famiglia “monoparentale”, risultato dell’alto numero dei casi di separazione coniugale e delle nuove tecniche di fecondazione. Le moderne condizioni di vita sembrano deprivare gli individui dell’intimità e del supporto sociale che pare aver caratterizzato la loro evoluzione (Nesse e Williams, 2012), e in questo modo interferiscono negativamente con il raggiungimento della felicità

(si veda più avanti l’importanza dell’influenza del supporto sociale sul benessere). Questa ipotesi è parzialmente confermata dai dati che indicano l’aumento della prevalenza di disturbi depressivi nelle società contemporanee (Buss, 2000; Nesse e Williams, 2012).

Molte ricerche (vd. per una breve rassegna Csiks- zentmihalyi, 1999) hanno evidenziato che spesso l’aumentare di risorse o di ricompense materiali non ha un corrispettivo in un’aumentata felicità delle persone; al contrario, sembrerebbe innescar- si un meccanismo di “escalation delle aspettative”, una tendenza a volere sempre di più. Una simile disposizione non solo ha alla base un certo effetto di abituazione, ma sembra fomentata dalla disegua- glianza esistente nella distribuzione di ricchezze e di risorse: è per questo che le persone valutano ciò che hanno non in termini di ciò di cui hanno biso- gno, ma effettuando dei confronti con chi ha più di loro, e desiderando sempre di più non raggiungono mai la tanto anelata felicità. È chiaro che questo ostacolo al benessere è un impedimento tipico dei nostri giorni, dato che sembra ormai accertato che la vita nel Pleistocene si svolgesse all’interno di una struttura sociale per lo più egualitaria, in cui non esisteva una gerarchia di potere formalizza- ta o una proprietà privata: tutti avevano accesso alle stesse risorse (Sahlins, 1980; Comparini e Co- sta, 2000). Il perseguire risorse materiali sempre maggiori, inoltre, toglie inevitabilmente tempo alle altre cose, principalmente a quegli importanti traguardi a breve termine di natura sociale (per es. la vita di coppia, la relazione con i figli, l’amicizia, ecc.) chiaramente relati al benessere psicologico. Un altro ostacolo al raggiungimento della felicità è l’eccessivo peso che viene dato al denaro nella società evoluta (Csikszentmihalyi, 1999). Anche questo è un aspetto tipico dei nostri tempi: l’uo- mo del Pleistocene sembra essere stato un uomo “non economico” (Sahlins, 1980); effettivamente, in una società in cui manca la specializzazione del lavoro (se non nella forma di una spartizione dei compiti tra maschi e femmine) e a tutti è garantito il libero accesso alle risorse, non esistono differen- ze tra produttori e consumatori in quanto ognuno

è in grado di produrre ciò che è necessario per la propria sussistenza (Arioti, 1980).

Inoltre, come riportato da Buss (1998, 2000), sem- bra che negli esseri umani si siano evoluti dei mec- canismi psicologici “designati” a causare sofferenza soggettiva in particolari circostanze. Ciò significa che stati d’animo soggettivamente negativi posso- no aver svolto una funzione adattativa durante l’e- voluzione della nostra specie, e per questo motivo i meccanismi ad essi sottostanti si sono conservati. Esempi di questi meccanismi sono quelli sotto- stanti alla depressione, alla gelosia nella coppia, a varie manifestazioni di ansia, e a specifiche forme di paura e fobia o di rabbia e collera (si rimanda alle specifiche spiegazioni evoluzionistiche di questi stati per una loro più profonda comprensione, per es. in McGuire e Troisi, 1998; Adenzato e Meini, 2006).

Lo stesso meccanismo alla base della selezione na- turale implica che il vantaggio di un individuo signi- fichi perdita per un altro, cosicchè gli esseri umani posseggono degli adattamenti per la competizione, dei meccanismi psicologici designati a infliggere costi agli altri, a guadagnare vantaggi a spese altrui, a godere delle perdite degli altri e a provare invidia per coloro che hanno più successo nel raggiungere gli obiettivi a cui si aspira (Buss, 2000).

Infine, dal momento che le emozioni sono state de- finite dei “processi di adattamento”, i meccanismi mentali alla base dei quali sono stati selezionati per organizzare il comportamento in maniera adatta- tiva, e data la necessità di una gamma di cambia- menti comportamentali abbastanza frequenti per far fronte ai vari problemi adattativi incontrati nel corso dell’evoluzione, viene da sé che nessuno sta- to affettivo, nemmeno la felicità, può essere sta- to adattativo per più di un breve periodo. Infatti, la felicità “perpetua” avrebbe inevitabilmente guidato a comportamenti maladattativi: la stessa reazione ad una minaccia e alla presenza di un partner o di amici, al veleno e al cibo, ad un terreno arido e ad un ambiente con indicatori di acqua, cibo e riparo, non avrebbe infatti consentito di distinguere le si- tuazioni favorevoli da quelle svantaggiose e di rei- terare i comportamenti adattativi (Barkow, 1997).

Dopo aver descritto quali ostacoli di rilevanza evo- luzionistica intralciano il raggiungimento della fe- licità, Buss (2000) ha evidenziato anche come sia possibile aggirare questi ostacoli e intervenire per migliorare la qualità della vita.

Innanzitutto sarebbe auspicabile cercare di ridurre quanto più possibile il divario esistente tra l’am- biente di vita attuale e l’ambiente di evoluzione della nostra specie; questo è un fondamentale obiettivo dell’approccio evoluzionistico in gene- rale.

In secondo luogo è importante riuscire a ridurre le cause di sofferenza soggettiva che hanno alla base dei meccanismi evoluti; per esempio, selezionare un partner simile a noi riduce la gelosia e l’infedeltà, nonché il rischio di separazioni, e quindi aumenta la possibilità di avere figli e di costruire una fami- glia stabile (sebbene esposto qui in modo molto semplice, questo concetto può essere ritrovato in maniera più approfondita e interessante in alcuni assunti della teoria della selezione sessuale, per la cui esposizione si rimanda, per es., a Buss, 1995, 2006).

Un intervento adeguato a livello sociale dovrebbe anche coinvolgere quei comportamenti che han- no alla base meccanismi competitivi evoluti, per esempio attraverso il sostegno e la promozione della cooperazione.

Il più importante contributo dell’approccio evoluzio- nistico al benessere ci proviene sicuramente dallo studio dei “traguardi a breve termine” (Comparini e Costa, 2000). La Psicologia Evoluzionistica sostie- ne che una serie di meccanismi psicologici a funzione specifica si sono evoluti per selezione naturale in quanto sottostavano a comportamenti finalizzati al raggiungimento individuale di specifici traguar- di a breve termine, che nell’ambiente di evoluzione della nostra specie era indirettamente associato ad una maggiore fitness (successo riproduttivo), e su- scitava quindi sensazioni ed emozioni positive (per approfondimenti si veda più nel dettaglio la teoria evoluzionistica delle emozioni, per es. in Comparini e Costa, 2000; Liotti et al., 2017). Esempi di que- sti traguardi sono la scelta di cibi con determinate caratteristiche nutritive, la scelta dell’habitat più

idoneo alla sopravvivenza, l’evitamento di condi- zioni ambientali sfavorevoli; traguardi di natura più tipicamente “sociale” possono essere la scelta del partner e l’accoppiamento, la richiesta di cure, l’in- tegrazione in un gruppo, la formazione di alleanze reciproche, e così via. In pratica, il raggiungimento di questi obiettivi sarebbe stato (e sarebbe anco- ra oggi) seguito da emozioni positive in quanto in- dicativo di un aumento della fitness individuale. In questi termini, la Psicologia Evoluzionistica ci aiuta a chiarire e illustrare quali sono le potenzialità che dobbiamo soddisfare per poter provare sensazioni di felicità e benessere. Una serie di studi sul benes- sere mette chiaramente in evidenza come la feli- cità soggettiva sia spesso legata al raggiungimento di questi traguardi. Di seguito si descrivono alcuni di questi traguardi di natura sociale, e i risultati delle ricerche che definiscono la loro correlazione con il benessere soggettivo.

La vita di coppia

Un numero considerevole di studi evidenzia che le persone sposate riferiscono livelli maggiori di benessere (misurati con scale di misurazione del benessere soggettivo) rispetto alle persone non sposate o separate o vedove, anche quando il peso di altre variabili (come educazione, reddito e status occupazionale) è tenuto sotto controllo (Diener, 1984; Diener et al., 1999; Kim e McKenry, 2002). Inoltre, sembra che tra le persone sposate vi siano tassi di malattia fisica, malattia mentale e mortalità più bassi rispetto a quelle non sposate (Gove e Shin, 1989), e in generale una ricorrenza significativa- mente più bassa di ricoveri in strutture istituzionali (Gove et al., 1990).

Il matrimonio e la soddisfazione familiare, così come più in generale la soddisfazione in campo sentimentale, sono quindi importanti predittori di benessere. Questo ha un senso in ottica evoluzio- nistica, in quanto l’accoppiamento e la procreazione hanno sempre rappresentato i comportamenti più direttamente associati all’aumento della fitness, consentendo la trasmissione del proprio materiale genetico.

In questa prospettiva, dovremmo aspettarci che

l’importanza attribuita alla vita coniugale cresca con il progredire dell’età, dato che diminuisce la possibilità di trovare un partner sano ed attraen- te e di riprodursi con successo, e di conseguenza si tende ad investire maggiormente in quello che già si ha (in termini di partner e progenie). D’altra parte, la sofferenza associata alla perdita di un partner dovrebbe essere maggiore in giovane età, quando sono più forti la spinta e la potenzialità di riproduzione: l’improvvisa e non voluta condizione di solitudine comporta la perdita dell’immediata possibilità di raggiungere un obiettivo biologico fondamentale a quell’età. Queste ipotesi sembrano parzialmente confermate da uno studio di George e collaboratori (1985), che ha evidenziato, tra le altre cose, che l’essere vedovi è una condizione vissuta peggio dalle persone più giovani.

La relazione tra status coniugale e benessere sog- gettivo è molto simile nelle varie culture (Diener et al., 2000), conclusione chiaramente in linea con le principali ipotesi evoluzionistiche.

Lo stato occupazionale

Seguendo una prospettiva evoluzionistica, si può ipotizzare anche l’esistenza di una associazione tra benessere e stato occupazionale, dal momento che l’avere un lavoro comporta la possibilità di ac- cumulare risorse e quindi una maggiore possibilità di attrarre un partner. Alcuni studi hanno per esem- pio messo in evidenza che le persone disoccupate mostrano indici più bassi di “life satisfaction” e al contrario più elevati livelli di stress e percentuali di suicidio (in Diener et al., 1999), e maggiori tassi di depressione e alcolismo (Argyle, 1987). L’insicu- rezza lavorativa minaccia l’identità sociale di una persona, e questo influenza il benessere percepito (Selenko et al., 2017).

In ottica evoluzionistica si sono indagate molto le differenze nei due sessi relativamente alle ca- ratteristiche che l’individuo valuta più importanti nella scelta di un partner a lungo termine (vd. per esempio Buss e coll., 1989, 1992, 1998). Le don- ne valutano come molto importanti e desiderabili nel partner indicatori di una buona capacità di ac- cumulare risorse (tra cui avere un’occupazione e

qualità associabili a buone prospettive finanziarie, come ambizione e industriosità). Uno studio sulle percentuali di risposta agli annunci matrimoniali (Baize e Schroeder, 1995) ha evidenziato che gli uomini che dichiaravano eccellenti risorse finan- ziarie tra le loro caratteristiche ricevevano un numero significativamente più alto di richieste rispetto a coloro che non menzionavano tale at- tributo. Sono stati condotti studi sulle strategie comportamentali per attrarre i partner (per una sintesi si veda Buss, 1995), che hanno eviden- ziato che una frequente “strategia di conquista” tipicamente maschile consiste nel mettere in mo- stra le proprie ricchezze (per es. spendendo molto per le potenziali partners) e nel denigrare i propri presunti rivali contestandone le prospettive e le ambizioni professionali. Da quanto affermato, ci si dovrebbe aspettare che l’avere un’occupazione stabile sia associata a più alti livelli di benessere negli uomini rispetto alle donne, e sarebbero inte- ressanti ulteriori ricerche in questa direzione.

Il supporto sociale

Barkow (1997) consiglia di dare più peso, nei pro- tocolli di valutazione della qualità della vita, all’im- portanza del supporto sociale, in quanto questo ha rappresentato un elemento fondamentale nella vita dei nostri progenitori ancestrali. Sulla base dei reperti antropologici che possediamo attualmente, sembra infatti ragionevole ritenere che l’ambiente sociale al quale noi esseri umani siamo “genetica- mente predisposti” è quello del piccolo gruppo. Que- sto avrebbe comportato la selezione di meccanismi mentali necessari per la vita in questa struttura sociale, come quelli sottostanti ad un certo grado di interdipendenza reciproca, ad una tendenza alla cooperazione e al conformismo di gruppo e una certa predisposizione a lealtà, cooperatività e timo- re di esclusione sociale (Buss, 1990; Comparini e Costa, 2000; Cavalli-Sforza, 1993). Di conseguen- za, il sentirsi parte di una comunità in cui esiste un adeguato supporto sociale rappresenterebbe il soddisfacimento di un bisogno primordiale e sareb- be quindi seguito da emozioni e sentimenti positivi. Effettivamente, sono molte le ricerche che testi-

moniano l’esistenza di un certo legame tra soste- gno sociale e benessere, sia psicologico (felicità) che fisico (salute).

Alcuni studi hanno evidenziato che tra i correlati “esterni” del benessere (quelli non direttamente controllabili perché implicano il coinvolgimento di altre persone), il supporto sociale sembra esse- re quello più rilevante (Dolan, Peasgood e White, 2008; Diener, 2009)

House et al. (1988) e Berkman (1985), hanno ana- lizzato le teorie e le ricerche che evidenziano l’im- patto delle relazioni sociali sulla salute; dalle analisi è emerso che le persone socialmente meno integrate o isolate godono di minore salute (sia in termini fi- sici che psicologici) e manifestano maggiori tassi di mortalità.

Uno studio di Webster et al. (2000) sulla misura del supporto sociale durante la gravidanza ha eviden- ziato che le donne con basso supporto sociale du- rante la gravidanza sembrano accostarsi più tardi ai controlli prenatali, riportano più problemi di salute durante il parto e nel post-parto e mostrano più frequenti diagnosi di depressione post-parto. Più in generale, alcuni studi longitudinali hanno evidenziato che intensificazioni o riduzioni del con- tatto sociale sono accompagnati da concomitanti cambiamenti nel benessere soggettivo (Diener, 1984), sebbene l’interpretazione dei risultati non appare chiaramente unidirezionale: è legittimo in- fatti chiedersi se è l’esistenza di un valido supporto sociale che rende le persone più felici, o se non può essere vero il contrario, e cioè che le persone più fe- lici ricercano più attivamente il contatto con gli altri. Prima di considerare il significato evoluzionisti- co del supporto sociale e il legame di questo con il benessere, bisognerebbe quindi riuscire a di- stricarsi nella grande mole di studi che sono stati condotti. Innanzitutto occorrerebbe dare una defi- nizione quanto più possibile univoca di cosa si in- tenda per supporto sociale. Per esempio, mentre Fernandez-Ballestreros (2000) fa riferimento sia alla “struttura” della vita sociale dell’individuo (la composizione del nucleo familiare, la frequenza e il tipo di contatti sociali -con amici, vicini o altri co- noscenti), sia ad aspetti più emotivi, come il livello

di soddisfazione per i propri contatti sociali e la pre- senza/assenza di sentimenti di solitudine, secondo Norwood (1996) il supporto sociale è più sempli- cemente percepito su una base unidimensionale dal ricevente: egli si sente o non si sente supportato. Cohen e Syme (1985), invece, definiscono il suppor- to sociale in maniera molto ampia, come l’insieme di risorse fornito da altre persone (familiari, amici, conoscenti, istituzioni sociali).

Inoltre, mi sembra utile ricordare che la relazio- ne positiva esistente tra benessere e supporto sociale è stata spiegata in due modi principali (Cohen & Syme, 1985). Secondo l’ipotesi dell’effet- to diretto, il supporto sociale agisce direttamente aumentando lo stato di salute e il benessere, indi- pendentemente dal livello di stress dell’individuo: il sentirsi parte integrante di una rete sociale e il percepire che gli altri sono disposti a fornirci aiuto nel momento del bisogno potrebbe avere come conseguenza l’affermarsi di un umore general- mente positivo, oltre che di un maggiore senso di autostima, stabilità e controllo sull’ambiente. Questi stati psicologici possono a loro volta in- fluenzare la suscettibilità alla malattia fisica attra- verso i loro effetti sul funzionamento del sistema neuroendocrino e immunitario, oppure innescan- do comportamenti di promozione della salute (per esempio, ridurre il fumo di sigaretta e il consumo di alcool, migliorare la dieta, praticare esercizio fisico). L’ipotesi dell’effetto di attenuazione sostie- ne che il supporto sociale è un importante fatto- re di protezione contro gli effetti patogeni degli eventi stressanti che gli individui incontrano nella loro vita; questa prospettiva ha quindi studiato gli effetti del supporto sociale fondamentalmente in situazioni di stress. Come appare chiaro, que- ste due ipotesi non si escludono a vicenda, ma la loro integrazione può rappresentare un valido aiuto alla comprensione della relazione tra sup- porto sociale e benessere, anche da un punto di vista evoluzionistico. Molti studi hanno infatti evidenziato che l’impatto del supporto sociale sul benessere può avvenire in entrambi i modi: il sup- porto sociale può ridurre direttamente la compar- sa di sintomi di vario genere, così come può atte-

nuare le conseguenze psicologiche di circostanze stressanti (Sarason & Sarason, 1985).

L’ambiente

Secondo Buss (2000), un altro traguardo il cui rag- giungimento può promuovere il benessere è rap- presentato dalla ricerca di ambienti con caratteri- stiche simili a quelle dell’ambiente in cui si è evoluta la nostra specie. L’ipotesi evoluzionistica sostiene l’esistenza di una tendenza pressochè universale degli esseri umani a preferire ambienti con caratte- ristiche che durante l’evoluzione della nostra specie erano verosimilmente associate ad una maggio- re fitness, tra cui la possibilità di esplorare senza essere visti e di nascondersi dai predatori (cfr. la teoria della prospettiva-rifugio di Appleton, 1975) e la presenza di cibo e acqua o di elementi che fun- gono da “indicatori” di queste risorse (Orians e He- erwagen, 1992). In generale, sembra che vi sia una certa tendenza a preferire ambienti naturali rispetto a quelli urbani (Baroni, 1998), e che gli ambienti na- turali abbiano degli effetti benefici sulla salute e sul benessere (Ulrich, 1981, 1984; Ulrich et al., 1991; Ulrich e Perkins, 2017; Hartig et al., 1991).

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Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 64-71)

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