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RISCHIO alto

Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 36-39)

comune di Fasano

RISCHIO alto

medio alto medio basso basso 33% 31% 22% 14%

RIASSUNTO

La disprassia evolutiva costituisce nella ri-abilita- zione neuropsicologica dell’età evolutiva un ambi- to di grande rilievo in vista delle molteplici dimen- sioni cliniche in cui può essere presente ovvero in comorbidità: l’incapacità di compiere gesti, siano essi simbolici o di adeguato utilizzo degli ogget- ti, in assenza di deficit motori di tipo piramidale, cerebellare o di disordini del movimento, conflig- ge con un normale sviluppo delle funzioni cogni- tive così come di quelle adattive altrimenti dette prassie. Tuttavia, tra i disordini del neuro sviluppo la disprassia è l’entità forse ancor oggi più disat- tesa, sottostimata, difficilmente riconosciuta no- sograficamente o più semplicemente assimilata se non sovrascritta al disturbo della coordinazione motoria.

Scopo del presente contributo è favorire la cono- scenza dell’argomento nelle sue linee di definizio- ne teorica parimenti alla necessità di porre come buona prassi l’approfondimento psicodiagnostico specifico che guardi a tale disturbo in un’ottica non sono clinico/nosografica ma funzionale/ri-a- bilitativa. Soltanto, infatti, un profilo chiaro rispet- to alle competenze del soggetto negli schemi di movimento e funzioni cognitivo-adattive (prassie) permette al clinico di impostare un programma di intervento funzionale al percorso abilitativo da ef- fettuare.

PAROLE CHIAVE

Disprassia, disturbo della coordinazione motoria, prassie, embodied cognition.

INTRODUZIONE

Nella pratica clinica è comune esperienza incontra- re bambini caratterizzati da una difficoltà cronica ad apprendere atti complessi nuovi, da un’abnorme lentezza a renderli automatici una volta appresi, da alterazione della qualità della coordinazione mo- toria generale espressa in forma di goffaggine nel correre, saltare arrampicarsi, ecc… e da una persi- stente difficoltà a copiare modelli bi e tridimensio- nali.

Quanto esposto rimanda all’inquadramento no- sografico di “Disprassia” intesa come “Difficoltà a rappresentarsi, programmare ed eseguire atti motori consecutivi, deputati e finalizzati ad un preciso scopo ed obiettivo” (Sabbadini, 1995).

In virtù delle molteplici ripercussioni che tale distur- bo comporta sin dai primissimi anni di vita si ritiene necessario un’individuazione quanto più tempesti- va da parte di realtà territoriali di competenza al fine di definire in primis un corretto inquadramento nosografico mediante un percorso valutativo strut- turato che si avvalga di strumenti specifici e che punti ad identificare un piano di lavoro funzionale allo sviluppo e integrazione delle funzioni neuropsi- cologiche compromesse.

APPROFONDIMENTO

TEMATICO: LA

DISPRASSIA IN ETÀ

EVOLUTIVA

dott. Primo

Psicologo Psicoterapeuta cognitivo comportamentale ad indirizzo neuropsicologico Studio di Psico-Neuroriabilitazione (Bitonto) U.O.C. Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza Asl Ta

Inoltre la disabilità neuro-psicomotoria in età evo- lutiva presenta peculiarità che richiedono interventi integrati e complessi, volti non solo alla riduzione del danno, ma anche e soprattutto alla prevenzione delle problematiche cosiddette d’innesto.

Le molteplici difficoltà che possono investire la sfera motorio-prassica nell’età evolutiva vengono solitamente e talora “superficialmente ricondotte” all’etichetta diagnostica dei «Disturbi evolutivi spe- cifici della funzione motoria» (ICD-10, DSM-V) al- ternativamente indicato nella clinica con l’acronimo DCD (Developmental Coordination Disorders). L’IDENTIKIT DEL SOGGETTO DISPRASSICO L’aspetto caratterizzante della disprassia è la scor- retta esecuzione di una sequenza motoria che risul- ta alterata nei requisiti spaziali, temporali e spesso associata a movimenti non richiesti (paraprassie) con la conseguenza che l’attività motoria, sebbene eseguita in modo apparentemente abile, può esse- re del tutto inefficace e scorretta nonostante siano integre le funzioni volitive, la forza muscolare, la coordinazione e la disposizione a collaborare. La disprassia può essere associata spesso a pro- blemi di linguaggio, di percezione, di sensorialità, deficit nelle funzioni esecutive, difficoltà/disturbi di apprendimento: il linguaggio può risultare sem- plificato nella struttura sintattico-grammaticale ed alterato negli aspetti articolatori, la percezione ina- deguata nell’integrare le informazioni periferiche e nel correlarle all’azione, il pensiero scarsamente organizzato nei vari contenuti.

Il bambino disprassico tende ad utilizzare le funzio- ni che ha acquisito in modo stereotipato, con stra- tegie povere e ridotte alternative. Tramite la pratica continuativa può acquisire funzioni e svolgere sen- za grosse difficoltà le attività della vita quotidiana tuttavia la povertà di strategie e le ridotte abilità di generalizzazione rendono difficoltosa l’acquisizio- ne di nuovi compiti e il trasferimento di soluzioni strategiche già acquisite.

Nel bambino disprassico si riscontra una ridotta capacità di rappresentazione dell’oggetto su cui agire, dell’intera azione e delle sequenze che la

compongono: difficoltà di pianificazione, ad avviare i programmi, a prevedere il risultato, a controllare le sequenze e l’intera attività, a verificare e eventual- mente correggere il piano d’azione.

All’osservazione il soggetto con sospetta dispras- sia può presentare:

goffaggine: caratterizzata da movimenti impac- ciati, alterati nelle sequenze temporali, maldestri e poco o affatto efficaci;

posture inadeguate, dipendenti da scarsa consa- pevolezza del proprio corpo, le quali interferisco- no sia sul mantenimento di un buon equilibrio sia sulla coordinazione del movimento;

confusione della lateralità con difficoltà ad orien- tarsi nello spazio

problemi di consapevolezza del tempo con diffi- coltà nel rispettare gli orari e ricordare i compiti nella giornata;

ipersensibilità al contatto fisico e problemi a por- tare vestiti in modo confortevole;

ridotto sviluppo delle capacità di organizzazione, con conseguenti evidenti difficoltà nell’eseguire attività che richiedono sequenze precise; facile stancabilità;

scarsa consapevolezza dei pericoli.

Nei casi di disprassia “pura” il livello cognitivo è nella norma e spesso il carico di frustrazione, ri- spetto alla consapevolezza del proprio deficit, è tale da portare questi soggetti verso disturbi esternalizzanti (comportamentali o della condot- ta). Tali difficoltà fanno sì che il bambino speri- menti insuccessi e fallimenti che inevitabilmente hanno un impatto sulla vita scolastica, nel rappor- to con i pari e sull’autostima, a livello di psicopa- tologie d’innesto (stati di ansia e/o depressione). CAUSE ED EZIOLOGIA

L’eziologia della disprassia è ancora poco definita, spesso nella raccolta anamnestica viene evidenzia- ta una familiarità per tale tipo di disturbi che fareb- be ipotizzare una componente genetica.

Le ricerche finora condotte suggeriscono una im- maturità dello sviluppo neuronale nel sistema ner- voso centrale.

Nel 50% dei casi sono riportati problemi durante la gravidanza o il parto, quali anche lievi anossie peri- natali, senza quindi segni conclamati di patologia, spesso non considerati né riportati nella cartella clinica (Dunn et al., 1986; Gubbay, 1985).

Altro dato presente in letteratura rimanda ai bam- bini prematuri, come anche postmaturi (41-42° settimana); in particolare la grossa incidenza ri- guarda gli immaturi a basso peso dove è spesso presente ipersensibilità o iposensibilità a stimoli sensoriali.

Indagini diagnostiche (TAC, RMf, PET) hanno in al- cuni casi messo in evidenza un’ecodensità periven- tricolare della sostanza bianca e presenza di micro- lesioni con assottigliamento della parte posteriore del corpo calloso. Nella clinica troviamo soggetti disprattici puri, senza segni neurologici evidenti o sintomi associati, inquadrabili nella disprassia evo- lutiva “specifica”.

L’ipotesi è che nel bambino disprattico alcune aree del SNC non siano sufficientemente mature da per- mettergli di pianificare, programmare ed eseguire un’azione finalizzata. Sembrerebbe quindi che ci sia un’interruzione nella rete sinaptica e che il processo venga sfalsato per lentezza di trasmissione (Por- twood, 1996). Infatti è evidente nella clinica che il bambino disprattico, anche quando ha imparato ad eseguire determinate azioni, necessita di tempi più lunghi e manifesta lentezza esecutiva sia in attività della vita quotidiana che in quelle scolastiche. PRASSIE E SCHEMI MOTORI

Alla luce della fenomenologia clinica si ritiene sem- pre più necessario “raffinare” l’inquadramento del- le difficoltà del bambino nell’età evolutiva mediante la doverosa differenza tra disturbo della coordina- zione motoria e disprassia.

Indispensabile chiarire in prima istanza cosa si in- tenda per prassia: dal greco praxía, dal tema di prássō, fare. In neurologia si definisce come la ca- pacità di compiere correttamente gesti coordinati e diretti a un determinato fine. Un gesto abituale non deve essere pensato e monitorato, ma si realizza senza controllo cognitivo (attentivo).

Se il gesto è nuovo il soggetto deve invece selezio- nare la sequenza degli atti e controllare il loro svol- gimento per eventualmente modificarne il piano. Il progetto d’azione deve cioè essere immaginato e monitorato nell’atto della realizzazione.

Nell’individuo con sviluppo tipico l’acquisizione di un nuovo schema motorio progredisce attraverso stadi in cui il movimento è controllato in modo at- tivo e accurato. I singoli movimenti devono essere prodotti lentamente prestando attenzione ad ogni singola azione e alle sue conseguenze.

Ciascuna azione deve essere selezionata, la se-

quenza deve essere assemblata e immagazzi- nata in memoria (ordine e timing). Con la pratica la

suddetta sequenza si consolida e diviene pertanto automatica.

Fasi di acquisizione di una prassia

Preparazione: l’azione viene eseguita molto len- tamente, viene esercitato un forte controllo, ven- gono curate le singole parti dell’azione;

Composizione: l’azione viene eseguita più velo- cemente ma vengono commessi errori di esecu- zione;

Proceduralizzazione: a questo livello l’azione vie- ne svolta fluentemente, in modo routinario, au- tomatizzato.

L’IMPORTANZA DELL’ATTIVITÀ INTENZIONALE

Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 36-39)

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