La psicopatia: una review d
LA PSICOPATIA NEL DSM
Col passare del tempo, definendo con maggiore precisione i diversi disturbi di personalità e per far fronte alle incalzanti esigenze organizzative della sanità e dell’assistenza, appariva evidente la ne- cessità di classificare no solo logicamente tutti i disturbi in modo accurato, inclusi quei soggetti che
venivano definiti psicopatici. La prima definizione del disturbo risale ad un precursore del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), che definì i soggetti con queste caratteristiche come affetti da personalità psicopatica. Nel 1952, nella prima edizione del DSM, lo stesso disturbo venne invece denominato come Disturbo sociopatico di personalità ed è solo con la versione del DSM-IIdel 1968 che si giunse ad una diagnosi di specifico di- sturbo antisociale nella nuova sessione dedicata ai disturbi della personalità, in cui apparve l’evidente influenza dei lavori di Cleckley. Il modello di perso- nalità antisociale che emerge conseguentemente al 1980, dall’edizione del DSM-III in poi, si basò essen- zialmente sulle ricerche empiriche di Robins (1966), che tentò di definire gli antecedenti della psicopatia e del comportamento antisociale adulto nell’in- fanzia e nell’adolescenza; questi studi mostrarono stabilità e continuità evolutiva dei pattern com- portamentali antisociali e l’emergere di psicopatia in età adulta. I dati provenienti da queste ricerche furono scelti, nel DSM-III, come basi di riflessione per la categoria diagnostica connessa all’antisocia- lità: le differenze tra i due disturbi erano sostanziali e tra i punti cardine della nosologia, un accento fu posto sul comportamento rispetto agli elementi strutturati della personalità, e ciò generò un’ampia serie di dibattiti riguardanti la necessità di distin- guere due categorie diagnostiche nel manuale, una dell’antisocialità, che tenga conto di pattern di agiti che infrangono le norme sociali e una più legata alla psicopatia, che contenga la definizione di una se- rie di tratti alla base della personalità sottostante. A supportare la differenziazione tra i due disturbi contribuirono anche alcuni significativi studi effet- tuati su popolazioni di adulti aventi problemi con la legge: fu rilevato che, quando i criteri del DSM-III venivano applicati a criminali in carcere, nella mag- gior parte dei casi era possibile diagnosticare un disturbo antisociale (Hare, 1985), mentre risultati nettamente diversi si ottenevano utilizzando criteri diagnostici più strettamente in accordo con quanto esposto da Cleckley, che enfatizzavano la psicopa- tia. Nel DSM-IV e nel DSM-IV-R, intorno al 1994, fu inserito il criterio del senso di colpa. Infine, forti
sostegni empirici al disturbo psicopatico di perso- nalità sono alla base della proposta di distinguere sottotipi di un unico disturbo di personalità (anti- sociale/psicopatico) avanzata dal gruppo di lavoro del 2013 per il DSM-V dell’APA, all’interno di un più ampio modello di revisione dei disturbi di persona- lità. La base teorica di questa proposta è il modello di psicopatia di Patrick e collaboratori (2009), ca- ratterizzato dall’individuazione di tre componenti comportamentali: disinibizione (o disposizione ad esternalizzare) che riflette la mancanza di controllo emotivo e comportamentale, sfrontatezza (o domi- nanza senza paura) che è definita come il coraggio negli ambiti sociali, emotivi e comportamentali e meschinità (o superficialità e assenza di emozioni) che è definita come la ricerca aggressiva di risorse senza considerazione per gli altri. Questo “modello alternativo” è stato però rifiutato proprio nelle fasi finali dell’elaborazione del DSM-V ed è stato man- tenuto l’approccio categoriale con gli stessi dieci disturbi di personalità del DSM-IV, decisione che sembra essere fondata sull’insufficiente suppor- to empirico del modello, ma che risulta comunque attualmente incluso nella Sezione III del manuale dedicata ai modelli emergenti e misure (APA, 2013). CONCLUSIONI
Nonostante il concetto di psicopatia sia da secoli discusso nella letteratura psichiatrica, la mancan- za di una specifica categorizzazione nosografica nei manuali diagnostici, nonché l’errata sovrap- posizione con altri disturbi clinici e in particolare con il disturbo antisociale di personalità, hanno contribuito a creare notevole confusione riguardo l’utilizzo appropriato del termine, sebbene la dif- ferenziazione sia necessaria. In questo lavoro, le caratteristiche della personalità psicopatica sono state confrontate nello specifico con quelle del disturbo antisociale di personalità, allo scopo di chiarire quegli aspetti psicopatologici e comporta- mentali peculiari della psicopatia che consentono di effettuare una diagnosi differenziale. Si rileva che, in linea con teorie e ricerche empiriche svi- luppate nel corso del tempo, alcuni dei tratti com- portamentali caratteristici del disturbo antisociale
sono certamente inclusi nella psicopatia, ma ne costituiscono soltanto una parte, forse nemmeno la più importante. In conclusione, quindi, si può affermare che la psicopatia presenta delle sovrap- posizioni con altri disturbi del cluster B dei disturbi di personalità e specialmente con il disturbo anti- sociale, ma non è affatto sovrapponibile ad esso: la psicopatia è un disturbo totalmente differente che dovrebbe essere trattato come costrutto a sé stante, considerando che i soggetti psicopatici sol- levano problematiche particolarmente complesse sul piano sociale, dell’assessment clinico e dell’e- ventuale trattamento, decisamente diverse da quelle poste da altre categorie diagnostiche con le quali la psicopatia viene spesso confusa.
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RIASSUNTO
Il seguente articolo si propone di effettuare un’ana- lisi approfondita della vergogna e delle dinamiche ad essa correlate. Partendo da una descrizione del- lo stato fisiologico che accompagna tale emozione, l’analisi prende spunto dalla letteratura per analiz- zare sul piano filosofico e fenomenologico la ver- gogna come componente essenziale ed ineludibile dell’essere-al-mondo.
PAROLE CHIAVE
Vergogna, Fenomenologia, Io-Tu, Emozioni. DIMORARE NELLA VULNERABILITÀ
Chi sei tu che ti accingi a leggere queste righe? Il tuo sguardo, la tua mano che volta le pagine, i tuoi pen- sieri che stanno prendendo forma. Sei nell’intimità della lettura, seduto al tuo solito posto. Perché ti
ostini a non cambiarlo mai? Ed io, i cui occhi non hai mai incontrato, la cui voce non hai mai udito, io ti guardo. E ti sento. Con insistenza, con prepotenza. La tua figura è nell’orizzonte del mio campo visivo e nulla potrà distogliermi da te e dal tuo non vedermi. Sto varcando ogni soglia comunemente accetta- ta di spazio vitale, il mio sguardo ti è prossimo da qualsiasi angolo tu pensi di poter sfuggire ad esso. Ti sto osservando da prima ancora che iniziassi a leggermi e ho visto cosa hai fatto mentre pensavi di essere solo ed inosservato. È disgustoso. Tuttavia, l’ho fatto anch’io quando, a mia volta, mi credevo lontano da sguardi estranei.
Un’esperienza pervasiva e avvolgente. Il nostro corpo sperimenta dei mutamenti fisiologici tal- mente rapidi, che l’idea di poter esercitare una in- tenzionalità ed un controllo su ciò che penetra la nostra intimità e il nostro spirito, pare un’impresa