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RASSEGNA DI TEORIE

Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 79-82)

La psicopatia: una review d

RASSEGNA DI TEORIE

Tra i numerosi studi condotti nel corso del tempo, rilevante è la teoria che considerava la psicopatia come uno dei profili del disturbo narcisistico, nello specifico quello a carattere psicopatico. Gli individui con tale struttura di personalità, mossi da un’insta- bilità emotiva di fondo, sarebbero continuamente alla ricerca di affetto ed in particolare dell’atten- zione dell’oggetto d’amore dal quale si sentono di- menticati e non amati; in questo caso è la pulsione aggressiva a divenire lo strumento principale per richiamare a sé l’oggetto d’amore e per rivendicar- ne l’affetto non ricevuto. Inoltre, l’autore sottolinea come i comportamenti aggressivi di questi soggetti possano anche essere autodiretti e suicidari, in li- nea con la sottostante struttura depressiva tipica

dei tratti narcisistici (Bergeret, 1974). Sulla scia di questa teoria, molti autori hanno proseguito nell’i- potizzare un continuum tra il disturbo narcisistico di personalità e la psicopatia, su cui compaiono ad un estremo forme gravi di narcisismo caratteriz- zate da invidia, inosservanza delle regole sociali, sfruttamento interpersonale ed egocentrismo marcato, e all’altro estremo la psicopatia vera e propria (Dazzi e Madeddu, 2009; Gabbard, 2005; Kernberg, 1984). Sulla base di un’ampia gamma di studi e ricerche,Hare (1993) suddivise gli individui psicopatici in tre categorie: primari, considerati i “veri psicopatici”, che si presentano come educati, socievoli, padroni di sé e capaci di suscitare emo- zioni positive negli interlocutori, essendo in real- tà crudeli, estremamente manipolativi, egoisti e menzogneri; secondario nevrotici, contraddistinti da impulsività e crudeltà più manifeste, autori di reati per cui non provano rimorso o sensi di colpa e che vengono più spesso in contatto con la legge; disso- ciali o antisociali, descritti come delinquenti che in- staurano relazioni affettive e che provano senso di colpa,spinti alla devianza dall’ambiente sociale cir- costante e da modelli operativi interni disfunzionali

appresi dalle figure significative, tanto che, secon- do Hare, potrebbero essere spiegati con la Teoria dell’Apprendimento Sociale di Bandura. Più tardi,fu elaborata una classificazione della psicopatia capa- ce di spiegare dettagliatamente le evidenze cliniche dei soggetti psicopatici e distinguendone due sot- togruppi: il primo che comprende gli psicopatici ag- gressivi, esplosivi, predatori e violenti e il secondo che include gli psicopatici meno aggressivi, dediti ad uno stile di vita parassitario, dipendente e basato sull’inganno; vennero successivamente classificati dieci tipi di psicopatici in base a caratteristiche ca- ratteriali e comportamentali, mettendo in evidenza per ogni categoria caratteristiche psicodinamiche e meccanismi di difesa adottati dai soggetti psicopa- tici (Millon e Davis, 1995). Una caratteristica della maggior parte dei comportamenti antisociali degli psicopatici riguardava l’essere di natura estrema- mente strumentale, diretti cioè verso un obiettivo come l’ottenere denaro, opportunità sessuali o accrescimento di status (Cornell et al., 1996) e ciò avrebbe potuto interferire con il processo di socia- lizzazione dell’individuo.

Più recentemente, invece, è stata elaborata una scala gerarchica di grande interesse che compren- de ventidue categorie di psicopatici e che permette di distinguere con molta precisione i soggetti trat- tabili da quelli intrattabili; il parametro generale uti- lizzato per comporre tale classificazione è quello della disumanità, ovvero dell’assenza di compassio- ne, da un estremo che si potrebbe definire lieve fino a quadri caratterizzati da un’estrema violenza e da noncuranza assoluta per l’altro (Stone, 2009). Mol- ti riferimenti usati per comporre la scala provengo- no da un’attenta analisi delle biografie di persone che si sono macchiate di crimini atroci ed efferati, per questo motivo Stone ha chiamato la sua classi- fica “Gradations of Evil”; Nella classifica, gli psicopa- tici sono disposti in ordine gerarchico dai meno gra- vi ai più gravi, e sono presenti quadri che includono parametri quali l’impulsività, i tratti del carattere, i contesti evolutivi di provenienza, la percezione dell’oggetto, la natura dei legami ed altri aspetti. Un altro argomento su cui sono statti condotti molte- plici studi è l’origine della psicopatia: in ambito so-

cio-economico il soggetto psicopatico sembra commettere i propri crimini né per un bisogno eco- nomico, né per conformarsi ad un modello devian- te, ma semplicemente per soddisfare un proprio bisogno interno (Hare, 1993). Un’ipotesi tra le più diffuse, considerava psicopatici criminali solo quelli che fallivano nel loro tentativo di passare inosser- vati, che non riuscivano cioè ad integrarsi nella so- cietà in modo sufficiente per evitare le conseguen- ze delle loro condotte antisociali (McWilliams, 1999). Altri studi ipotizzavano che il legame di at- taccamento potesse essere un fattore rilevante nell’espressione del disturbo psicopatico e che po- tesse agire da mediatore nel suo sviluppo: secondo questa visione diventavano psicopatici criminali soltanto quegli individui che non avevano speri- mentato legami di attaccamento sicuri in ambito familiare; d’altra parte era già stato suggerito che disturbi dell’attaccamento durante l’infanzia pote- vano condurre verso modalità relazionali distan- zianti, fredde e anaffettive in età adulta (Bowlby, 1944) e anche più recentemente questa tendenza è stata confermata su base empirica e sperimentale (Sabatello, 2010). Sebbene un ambiente familiare che produca legami di attaccamento insicuri possa essere un fattore di rischio,alcuni studi hanno rile- vato che nella storia degli psicopatici esiste spesso un pregresso traumatico (Warren e South, 2006): le azioni violente possono essere considerate come modalità disfunzionali volte a riparare questi trau- mi, come un tentativo di ricompensare esperienze di rabbia legate a maltrattamenti, trascuratezza, abuso o rifiuti e tentando di uscire dal ruolo della vittima sperimentato in passato. Tali comporta- menti dimostrerebbero una compromissione delle capacità riflessive e dunque, un’impossibilità a spe- rimentare empaticamente i vissuti altrui (Fonagy, 1999). L’assenza di empatia, intesa come la capaci- tà di riconoscere i pensieri e le emozioni altrui e di reagire ad essi con sentimenti consoni, è uno dei sintomi principali nella diagnosi di psicopatia e da ciò deriva la capacità di questi individui di compiere azioni contro delle vittime che considerano come degli oggetti, senza provare rimorso o senso di col- pa. È stato evidenziato che essi tendono ad affer-

mare e simulare la sperimentazione di queste emo- zioni, senza però esperirle soggettivamente: potrebbero dunque affermare di essere dispiaciuti per le proprie azioni o apparire empatici con la vitti- ma, senza però provare ciò in modo reale. Proprio per questo Cleckley parlò di maschera di sanità, rife- rendosi a parole e azioni degli psicopatici che non riflettono affatto il loro mondo interno: essi com- prendono quello che gli altri provano, ma non reagi- scono emozionalmente a queste esperienze (Cleck- ley, 1976). Tra gli studi del tempo sull’empatia, furono individuate due componenti principali: quel- la cognitiva, per comprendere i sentimenti altrui, mettersi nei loro panni e prevedere il comporta- mento o lo stato mentale altrui e quella affettiva, per reagire in maniera emotivamente adeguata allo stato psichico dell’interlocutore;si riteneva che gli psicopatici mancassero solo della componente af- fettiva dell’empatia, essendo invece perfettamente capaci di “leggere la mente” in modo freddo e di- staccato. Ancora, cercarono di spiegare la relazione inversa tra empatia e aggressione: secondo gli stu- diosi, assistere a conseguenze dei comportamenti aggressivi, produce uno stato di eccitazione affetti- va nell’osservatore empatico, stato che in seguito diventa una conseguenza spiacevole del comporta- mento aggressivo, che funziona da inibitore della violenza e furono distinte tre forme di aggressione, emozionale, strumentale e ostile, specificando gli ef- fetti dell’empatia (Miller e Eisenberg, 1988). Un’ul- teriore spiegazione alla mancanza di risposte em- patiche negli individui aggressivi sosteneva la presenza di un’eccitazione emotiva aberrante o inappropriata e in particolare si ipotizzava che le emozioni esperite da questi individui fossero di di- rezione contraria a quelle manifestate dall’altro; un caso estremo di questa forma di empatia potrebbe essere il sadismo, esempio di un individuo in grado di provare piacere per il dolore di un altro. Sulla base di questa ipotesi dunque, alcuni individui userebbe- ro la violenza per ottenere gratificazione personale, usandola come conseguenza di una risposta empa- tica contraria in cui gli stimoli di sofferenza di un altro fungono da stimolo e provocano un’eccitazio- ne affettiva con valenza positiva (Stotland, 1969).

Inoltre, sembra che nell’espressione dei tratti anti- sociali del disturbo psicopatico siano rilevanti i sen- timenti di vergogna, dell’indegnità, del non sentirsi all’altezza e la sensazione di essere svalutati o poco considerati dagli altri: gli psicopatici non riuscireb- bero a sopportare l’idea di essere ritenuti dagli altri meno “speciali”, si tratti di membri della famiglia, partner o sconosciuti, come possono dimostrare eventi tragici con protagonisti psicopatici spesso iniziate per motivi futili legati al rispetto o al biso- gno di dimostrare il proprio valore, anche inteso come la capacità di imporre la propria volontà sugli altri anche mediante l’uso della forza. La tendenza alla manipolazione e all’inganno, d’altra parte, po- trebbero essere ulteriori modi di dimostrarsi più scaltri delle proprie vittime, e quindi “migliori” (Me- loy, 2002). È stata ipotizzata inoltre un’incapacità dello psicopatico di regolare in modo efficace gli affetti negativi: questa tendenza alla disregolazio- ne affettiva, probabilmente effetto dei fallimentari legami di attaccamento, porterebbe lo psicopatico ad agire immediatamente come risposta; una volta scaricato l’impulso, lo psicopatico è capace di ritor- nare regolarmente alla sua quotidianità e una volta riacquisito lo stato di affettività neutra, non sente più il bisogno di continuare l’azione, né è cosciente della sensazione che ha causato la condotta stessa (Newman, 1998). Gli schemi di sé, degli altri e del mondo sembrano essere piuttosto rigidi e inflessi- bili: lo psicopatico percepisce sé stesso come forte e autonomo da solo, mentre gli altri vengono av- vertiti come sfruttatori o da sfruttare, deboli e vul- nerabili; sembrava essere piuttosto caratteristico un bias cognitivo nel percepire intenti malevoli da parte degli altri, la necessità di fare attenzione a chiunque, evitare le vittimizzazioni diventando ag- gressori o sfruttatori e il percepito diritto o noncu- ranza nel violare le regole sociali per raggiungere i propri obiettivi (Blackburn e Lee-Evans, 1985). Es- sendo gli psicopatici noti per il comportamento par- ticolarmente immorale, un’altra questione rilevan- te riguardava la loro capacità di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e dunque la capacità di normale giudizio morale: tuttavia, i dati speri- mentali erano piuttosto limitati e mentre molti stu-

di presentarono conclusioni contrastanti, altri mo- strarono come gli individui senza psicopatia giudicassero le trasgressioni morali più gravi e meno dipendenti dall’autorità rispetto a quelle con- venzionali, mentre gli psicopatici non distingueva- no queste due forme di trasgressione. In anni più recenti, la presa di decisione morale è stata testata distinguendo il danno personale, che implica un contatto fisico e quello impersonale, che riguarda azioni meno dirette o violazioni delle regole, per esplorare i processi psicologici e neurobiologici sot- tostanti al giudizio morale (Greene, Nystrom, En- gell, Darley, e Cohen, 2004): non furono trovate differenze nel giudizio morale utilitario tra psicopa- tici e non psicopatici, ma lo studio evidenziò la ge- nerale tendenza degli psicopatici a favorire danni impersonali o violazione delle regole come mezzo per ottenere dei vantaggi.

Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 79-82)

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