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SCALE DI VALUTAZIONE

Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 82-84)

La psicopatia: una review d

SCALE DI VALUTAZIONE

Quando Hare (1993) iniziò il suo lavoro nelle carce- ri, venne a contatto con la particolare categoria dei criminali psicopatici e, una volta consultata la lette- ratura precedente, si rese immediatamente conto che, oltre ad essere molto diversi dai criminali co- muni e spesso confusi con i soggetti antisociali, non esisteva una misura di valutazione clinica affidabile utile ad effettuare una diagnosi di psicopatia, anche perché tale categoria psicopatologica non esisteva nei manuali diagnostici. La soluzione che decise di adottare fu quella di operazionalizzare i sedici tratti specifici del disturbo individuati da Cleckley (1976)

e costruire quindi uno strumento, denominato Psychopathy Checklist, che avrebbe permesso la va- lutazione clinica del grado di psicopatia nei detenu- ti. Il risultato iniziale fu una procedura clinica con la quale valutare i carcerati su una scala a sette punti, integrando però in un unico punteggio i dati prove- nienti dalle cartelle cliniche e da interviste molto lunghe: le valutazioni si erano dimostrate molto valide, ma era difficile determinare precisamente quali avvenimenti della storia personale del sog- getto dovessero entrare a far parte delle valutazio- ni o meno. Hare inizia così a lavorare allo sviluppo di nuove procedure di assessment eseguendo una valutazione psicometrica dei criteri di Cleckley: dei più di cento item iniziali considerati, molti vennero eliminati poiché ridondanti o difficili da misurare. Degli item rimanenti, sottoposti ad analisi stati- stiche volte a determinare quali di questi avessero le migliori proprietà psicometriche e quindi discri- minassero meglio, ne vennero infine mantenuti ventidue; questi venivano misurati utilizzando una scala Likert a tre punti in base alla presenza o as- senza della caratteristica, mostravano una buona attendibilità e il punteggio totale era altamente correlato alle valutazioni globali della psicopatia. Dal momento in cui questo strumento fu costruito e validato nella popolazione statunitense, carcera- ria e non solo, diventò lo strumento più utilizzato e affidabile nelle ricerche sulla psicopatia (Hare e Neumann, 2006) sia perché, evitando la più sem- plice soluzione del self-report, permetteva una va- lutazione esterna e maggiormente obiettiva e sia perché consentiva di ottenere informazioni anche da altre fonti oltre al soggetto,ad esempio rapporti di polizia, atti giudiziari, fascicoli del carcere, dichia- razioni di parenti o del personale delle strutture, per confrontare le diverse versioni della storia e scoprire eventuali incongruenze o contraddizioni. Inoltre, era possibile effettuare una valutazione dal punto di vista dimensionale piuttosto che catego- riale, definendo un soggetto psicopatico non solo in base al suo comportamento deviante, ma anche in base alle sue caratteristiche interpersonali (Coid, 1993). Dopo diversi anni di utilizzo, Hare decise di apportare alcune modifiche allo strumento, senza

però comprometterne gli intenti originali: vennero così eliminati due item e ad altri venne cambiato il nome, senza alterarne la natura. In questa seconda versione, la descrizione degli item e le procedure di scoring vennero descritte in modo più dettagliato, furono eliminate alcune incongruenze e gli item vennero valutati in base ai contenuti di un’intervi- sta semi-strutturata somministrata e in base alle informazioni collaterali ottenute, valutando i sog- getti lungo un continuum che spaziava dalla po- polazione normale, alla popolazione criminale, ai criminali psicopatici; i singoli item venivano poi mi- surati in base ad alcuni criteri enunciati in un appo- sito manuale per la siglatura. La più attuale versio- ne dello strumento, adesso noto come Psychopathy Checklist-Revised, è stata validata in diversi paesi oltre quelli compresi nei campioni di validazione originari; i venti item che comprende sono la loqua- cità/fascino superficiale, il senso grandioso del sé, il bisogno di stimoli/propensione alla noia, la men- zogna patologica, l’essere impostore/manipolativo, l’assenza di rimorso o senso di colpa, l’affettività superficiale, l’insensibilità/assenza di empatia, lo stile di vita parassitario, il deficit del controllo com- portamentale, il comportamento sessuale promi- scuo, le problematiche comportamentali precoci, l’assenza di obiettivi realistici/a lungo termine, l’im- pulsività, l’irresponsabilità, l’incapacità di accettare la responsabilità delle proprie azioni, i numerosi rapporti di coppia di breve durata, la delinquenza in età giovanile, la revoca della libertà condizionale e la versatilità criminale. Un’altra versione è stata poi elaborata per la misurazione dei tratti psicopatici in età evolutiva in popolazioni di bambini e adole- scenti,Psychopathy Checklist-Youth Version (Forth, Kosson e Hare, 2003), dimostratosi strumento no- tevolmente utile anche nella valutazione del rischio di recidiva in giovani autori di reati sessuali. NESSI E DIVERSITÀ TRA PSICOPATIA E DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ Viste le sostanziali differenze tra il disturbo psico- patico e gli altri disturbi di personalità che possono associarsi a condotte violente, appare necessaria una diagnosi differenziale per individuare gli aspet-

ti che permettono di distinguere accuratamente la psicopatia da altri disturbi di personalità. In partico- lare, la psicopatia è stata da sempre spesso confu- sa con il disturbo antisociale di personalità, che fa esplicitamente riferimento alle condotte criminali e che caratterizza quei soggetti che mettono volon- tariamente in atto comportamenti devianti e col- pevolmente pericolosi per gli altri; la maggior parte dei criteri diagnostici del disturbo si riferiscono al comportamento osservabile dell’individuo. Alla luce di ciò, è piuttosto semplice affermare che la maggior parte dei criminali possa rientrare in una diagnosi di disturbo antisociale, ma questa diagnosi non con- sente di discriminare, ad esempio, tra un ladro ed un serial killer. Esiste un’ampia letteratura riguardo al disturbo antisociale e alla psicopatia, ma si assiste ancora oggi ad una notevole confusione relativa alla terminologia, essendo spesso i termini usati come sinonimi, e ciò non favorisce la loro differenziazio- ne: lo stesso Hare e molti altri autori, invitavano i clinici a non utilizzare acriticamente il DSM nel valu- tare un soggetto responsabile di atti criminali (Hare, 1996). Quello della scarsa specificità e sensibilità delle diagnosi di personalità relativamente ai sog- getti devianti è un problema ampiamente rilevato già da tempo: in particolare, il disturbo antisociale di personalità comprende principalmente le caratteri- stiche più comportamentali della psicopatia e indi- vidua solo nove delle venti caratteristiche che Hare utilizza per valutarla e di questi requisiti individuati, sei riguardano lo stile di vita dell’individuo e le sue condotte antisociali e solo tre si riferiscono alla vita affettiva del soggetto psicopatico (Ogloff, 2006). Questo appare particolarmente importante alla luce delle affermazioni di autori come Cleckley e altri che sostenevano che i deficit affettivi dovevano essere considerati caratteristiche centrali della psicopatia. Le differenze nelle caratteristiche che identificano i soggetti definiti come antisociali e quelli definiti come psicopatici appaiono di grande significatività, specialmente se si considerano le diverse modalità con cui i due individui mettono in atto le condotte devianti: ad esempio, in entrambi i disturbi è pre- sente una forte propensione alla violenza, ma, men- tre i soggetti antisociali tendono a mettere in atto

una violenza esclusivamente di tipo affettivo, come può essere una reazione ad una minaccia percepita, quelli psicopatici attuano indistintamente la violen- za di tipo affettivo e quella di tipo predatorio/stru- mentale, come ad esempio l’esecuzione di una vio- lenza per uno scopo specifico e priva di componenti emotive (Meloy, 2002). Inoltre, mentre le azioni del soggetto antisociale sono dettate dall’impulsività fine a sé stessa, nello psicopatico si ritrovano invece pensieri finalizzati all’azione, forme di progettazio- ne dettagliate ed elaborate, sempre tese al proprio guadagno e al danneggiamento altrui, che nascono comunque da impulsi improvvisi. Entrambi i disturbi sono contraddistinti da un pattern durevole di com- portamenti antisociali che iniziano durante l’infan- zia, ma l’attenzione viene concentrata su aspetti differenti: nell’antisociale si fa maggiormente riferi- mento al comportamento del soggetto e al fatto che egli abbia la tendenza a mettere in pratica tutti i suoi impulsi, mentre nel caso dello psicopatico ci si con- centra principalmente sulla presenza di una gamma di sintomi più ampia, incentrata sulla dimensione affettiva ed interpersonale e sull’instaurazione di relazioni dannose con gli altri. Si ricorda, inoltre, la specifica capacità dello psicopatico di simulazione delle emozioni, e, conseguentemente, di manipola- re gli altri, essendo particolarmente capace di rico- noscere ciò che gli altri provano dal punto di vista intellettivo, benché privo di empatia. Si ha dunque il quadro di un individuo molto più freddo, impulsivo e privo di legami rispetto ad un comune individuo an- tisociale; infatti, per uno psicopatico è impossibile far parte di una sottocultura criminale, aspetto sto- ricamente legato anche al costrutto di sociopatia, proprio perché non ha la capacità di creare legami né di sottostare a regole diverse dalle proprie, per quanto devianti queste possano essere.

Nel documento La psicopatia: una review di letteratura (pagine 82-84)

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