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Il costruttivismo e la sociologia della scienza

Verso la fine degli anni Settanta quella che era stata, nelle sue più significative espressioni teoriche e di ricerca empirica, una impresa quasi esclusivamente confinata ad alcuni centri di ricerca britannici, comincia ad espandersi sul continente europeo ed americano. La sociologia della scienza inizia a radicarsi in Olanda, in Francia, e in Germania, oltre che nei paesi scandinavi, ma anche in nord America. Questa espansione mette naturalmente in contatto la sociologia della scienza con precedenti tradizioni di ricerca; negli Stati Uniti, ad esempio, soprattutto con l'etnometodologia1 e con la tradizione di Chicago e

dell'interazionismo simbolico2.

L'allargamento dell'area geografica di influenza si accompagna anche ad un processo di colonizzazione di aree di ricerca vicine. In primo luogo linguaggi e schemi interpretativi maturati nella sociologia della scienza hanno trovato applicazione negli studi della tecnologia3. Questo nuovo approccio, che ha dato luogo ad un numero considerevole di studi

e di ricerche etichettate come social shaping o social construction of technology, ha fatto parlare un sociologo4 di una vera e propria "svolta della sociologia della scienza verso la

tecnologia" negli anni ottanta.

L'espansione e la proliferazione applicativa dei modelli generati dalla sociologia della scienza rendono con tutta evidenza impossibile anche solo tentare qualcosa come una storia intellettuale in qualche modo esaustiva di questa branca di studi5. Questa non è in ogni modo

la nostra pretesa, e ciò per un motivo specifico. Con i paragrafi che seguono non ci nascondiamo di fornire un resoconto parziale e senza dubbio qualitativo degli sviluppi della sociologia della conoscenza scientifica. Esso tuttavia, con tutte le cautele del caso, dovrebbe consentirci comunque di formulare una valutazione motivata ed equilibrata della disciplina, analizzandone le condizioni metodologiche e le implicazioni teoriche. Lo scopo del presente

1 Cfr. Lynch (1982; 1985).

2 Cfr. Gerson (1983), Star (1983), Clarke (1987), Fujimura (1988).

3 Cfr. Bijker, Hughes e Pinch (1985), MacKenzie e Wajcman (1985), Bijker e Law (1992). 4 Cfr. Woolgar (1991).

lavoro non è quello di tracciare una storia intellettuale della sociologia della scienza, ma piuttosto di analizzare le risposte fornite da questa branca di studi ad alcuni quesiti formulati dalla nuova filosofia della scienza di stampo storicista.

Sotto l'etichetta di "costruttivismo" viene collocato un insieme non coerente di approcci che hanno dominato la scena intellettuale della sociologia della scienza degli anni ottanta. Addirittura il termine di "costruttivismo" viene impiegato sempre più frequentemente per designare l'intero panorama di studi della sociologia della scienza. L'accezione estesa del termine non pare del tutto immotivata perché i costruttivisti di cui stiamo per occuparci accolgono, ed in parte perfino radicalizzano, alcune delle assunzioni più tipiche della sociologia della scienza. Ad esempio quasi tutte condividono con le precedenti scuole epistemologia relativista e principio della simmetria; inoltre accolgono la tesi del carattere contingente e sottodeterminato delle teorie, riconoscendo al mondo empirico un ruolo quantomeno limitato nella determinazione del contenuto cognitivo della scienza. Tuttavia è solo verso la fine degli anni Settanta e gli inizi del decennio successivo, quando la sociologia della scienza raggiunge un certo assestamento espandendosi in una varietà di domini di ricerca, che l'espressione di "costruzione sociale" comincia a essere più usata nella letteratura; con essa compare anche l'etichetta di "socialcostruttivismo" (o, più semplicemente, "costruttivismo").

Come sostiene S. Sismondo6, il primo tentativo nell'ambito degli studi della scienza di

utilizzare il termine di "costruzione sociale" per qualificare uno specifico programma di ricerca si trova probabilmente in due articoli7 comparsi nel primo volume dello Yearbook of

the Sociology of Science, intitolato: The Social Production of Scientific Knowledge. È a questa seconda e più ristretta accezione del termine che intendiamo riferirci in questo capitolo, dal momento che essa ci permette di circoscrivere una fase ulteriore di sviluppo della sociologia della conoscenza scientifica.

Nel 1979 esce il libro di B. Latour e S. Woolgar, Laboratory Life. The Social Construction of Scientific Facts, il più letto e più citato dei cosiddetti "studi di laboratorio". Solo qualche anno dopo, nel 1981, esce il libro di K. Knorr-Cetina, The Manufacture of Knowledge: An Essay on the Constructivist and Contextual Nature of Science. Questi libri hanno rappresentato una tappa importante per l'emergere del programma costruttivista negli studi sociali della scienza, ed i loro autori possono sicuramente essere considerati capiscuola

6 Cfr. Sismondo (1993), p. 525.

del movimento costruttivista8.

Anche se il costruttivismo non si presenta come un coerente programma di ricerca, e per certi versi assomiglia più a un movimento intellettuale che a una vera e propria scuola, esso certamente contiene molto più di un semplice slogan alla moda. Cercheremo di fare emergere i principali tratti del costruttivismo integrando in un quadro di riferimento comune i risultati dei due studi sopra citati di Latour e Woolgar, e di Knorr-Cetina. In questo quadro sono da richiamare anche gli sviluppi del costruttivismo nell'actor-network theory di Latour.

Poiché abbiamo sottolineato i punti di continuità tra i costruttivisti e le scuole sociologiche precedenti, bisogna anche dire che ci sono alcune caratteristiche che a prima vista distinguono questo genere di studi da quelli condotti nella tradizione del Programma Forte. In primo luogo essi si differenziano per l'unità di analisi considerata. I sociologi della Scuola di Edimburgo hanno privilegiato la spiegazione dell'emergere e della persistenza di determinate credenze e idee scientifiche o l'analisi di controversie a livello di una intera comunità di scienziati – ad esempio una disciplina o una specialità – soprattutto con riferimento ad uno specifico episodio storicamente e temporalmente conchiuso. I costruttivisti rivolgono la loro attenzione, al contrario, ad una realtà più ristretta: il laboratorio; inoltre privilegiano la scienza in fieri piuttosto che episodi del passato. Si tratta di un passo che non va in una direzione diversa da quella postulata in via programmatica dai sociologi di Edimburgo – approfondire la conoscenza sociologica del funzionamento interno della scienza – ma ne modifica significativamente il punto di applicazione.

Un'altra importante differenza riguarda il tipo di spiegazione e le variabili sociologiche considerate. Il Programma Forte si interrogava essenzialmente su come le credenze e le conoscenze degli scienziati vengono influenzate dal contesto sociale. Per questo si rivolgeva a spiegazioni di tipo macro-sociologico basate sulla categoria degli interessi. In armonia con la sociologia classica della conoscenza, l'approccio della Scuola di Edimburgo mantiene l'imputazione causale ad un livello social-strutturale. In definitiva ci si limita il più delle volte a identificare delle somiglianze o degli isomorfismi fra interessi (comunque definiti) e tipi di credenze scientifiche, ma non si è in grado di chiarire come, ovvero attraverso quali concreti meccanismi, questi fattori sociali agiscono nella produzione delle conoscenze. Per i costruttivisti gli aspetti macro-sociologici non esauriscono, se non in modo solo molto

8 In questo periodo, tuttavia, dobbiamo ricordare anche gli studi di Williams e Law (1980), di Garfinkel, Lynch e Livingston (1981), di Zenzen e Restivo (1982), di Lynch (1982; 1985). Per una rassegna sul "programma del costruttivismo" cfr. Knorr-Cetina (1983).

parziale, il carattere sociale della scienza. Ecco, ad esempio, come si esprime Knorr-Cetina sul Programma Forte:

La questione non chiarita da questo approccio è dove esattamente, in quali giunzioni e in quale maniera, fattori contestuali quali gli interessi sociali entrano in un particolare oggetto di conoscenza […] [Esso] non specifica la catena di eventi causalmente connessi dalla quale un oggetto di conoscenza emerge in maniera congruente con interessi antecedenti o con altri atti sociali9.

In linea generale, nel fornire una spiegazione sociologica dei contenuti cognitivi delle scienze naturali, i costruttivisti non privilegiano in modo particolare la nozione di interesse od ogni altra determinante classicamente sociologica, quanto piuttosto una nozione di pratica sociale microsociologicamente interpretata come processo delle interazioni sociali della vita scientifica quotidiana. Essi evidenziano le caratteristiche situazionalmente contingenti nelle quali quella pratica è condotta, ed adottano un punto di vista incentrato sulla prospettiva dei partecipanti. I costruttivisti non cercano di spiegare l'origine sociale di una credenza o teoria scientifica nello stile del Programma Forte, piuttosto indagano le sequenze di interazioni e negoziazioni tra scienziati che danno luogo a trasformazioni attraverso le quali vengono costituiti gli oggetti della conoscenza scientifica. Pertanto, anche quando le Scuole di Edimburgo o di Bath utilizzano l'espressione di "costruzione sociale" in riferimento alle nostre conoscenze scientifiche, il loro approccio sembra ai costruttivisti ancora distante dai dettagli dell'attività degli scienziati, ovvero da ciò che essi chiamano i microprocessi di costruzione della conoscenza scientifica.

In terzo luogo i costruttivisti sono orientati a vedere la dimensione sociale della scienza in una maniera diversa dalla precedente sociologia della scienza. Mentre il Programma Forte tende ad interpretare questa locuzione nel senso di individuare i fattori sociali che influenzano le operazioni interne alla scienza, per la maggior parte dei costruttivisti ciò significherebbe ribadire ancora una volta la vecchia distinzione tra sociale e cognitivo, tra approccio internalista ed esternalista nello studio della scienza: una distinzione che essi tendono a rifiutare. Da un lato i costruttivisti sembrano estendere la dimensione sociale della

scienza; come osservano Latour e Woolgar, non si deve solo riconoscere che le conoscenze scientifiche sono socialmente condizionate – cioè che le influenze sociali intervengono "ad un certo punto" nelle procedure interne della scienza – ma piuttosto che esse sono fin da principio interamente costruite e costituite attraverso processi microsociali.

D'altro canto però, la stessa dimensione sociale si fa alquanto evanescente. Le correnti più radicali fra i costruttivisti tendono infatti a rifiutare, nel nome di un "principio esteso di simmetria", ogni distinzione preliminare tra sociale e cognitivo, tra interno ed esterno o anche tra natura e società, e a vedere ordine sociale ed ordine naturale come realtà coemergenti da processi e pratiche di negoziazione. Come scrivono Latour e Woolgar:

Che cosa significa parlare di una "costruzione" sociale? […] è chiaro che il nostro continuo uso del termine [è] ironico. […] Il 'sociale' mantiene un significato […] nei tentativi della Scuola di Edimburgo per spiegare il contenuto tecnico della scienza (in contrasto con le spiegazioni internaliste del contenuto tecnico). In tutti questi casi, "sociale" era in modo essenziale un termine antagonista, parte di una opposizione binaria. Ma in che modo è utile quando si accetta che tutte le interazioni sono sociali? Che cosa il termine "sociale" trasmette quando esso si riferisce allo scrivere di una penna su un grafico, alla costruzione di un testo e alla graduale elaborazione di una catena di amino-acidi?10

L'imperativo del costruttivismo sembra quindi essere: nulla precede il processo di negoziazione sociale.

In virtù delle tre differenze appena elencate, i costruttivisti giungono a sostenere la tesi della ridondanza dei fattori epistemici seguendo una via piuttosto diversa da quella dei sociologi della Scuola di Edimburgo. Essi ritengono di poter mostrare come le interazioni sociali siano determinanti nella costruzione di un "fatto" scientifico, e come di conseguenza i fatti – che rappresentano tradizionalmente il più importante dei fattori epistemici – non esercitano alcuna influenza sulla formazione e la valutazione delle teorie e delle credenze scientifiche. La principale differenza tra i sociologi del Programma Forte ed i costruttivisti può essere così sintetizzata: i primi ritengono che sia la corretta logica della spiegazione

storica, basata su leggi di copertura, a mostrare la ridondanza dei fattori epistemici; i secondi invece, adottando un modello interpretativo o ermeneutico11, ritengono che si possa giungere

alla medesima conclusione mostrando come le ontologie adottate dagli scienziati non siano imposte dagli oggetti del mondo, ma sia la prassi del laboratorio a reificare i concetti utilizzati dagli scienziati. In sostanza, mentre i sociologi della Scuola di Edimburgo si concentrano sul modello nomologico di spiegazione, gli antropologi sono maggiormente interessati ai processi che determinano la costruzione delle ontologie scientifiche.

Prima di procedere nell'analisi dei metodi e delle implicazioni teoriche dell'approccio costruttivista è necessaria una precisazione. Durante l'esposizione della versione feyerabendiana della tesi dell'incommensurabilità abbiamo parlato di una "matrice costruttiva" del linguaggio impiegato dalle teorie scientifiche12. Si è scelto di utilizzare il

termine "matrice costruttiva" con il chiaro intento di stabilire un legame filosofico tra quella particolare idea del linguaggio delle teorie – ovvero un linguaggio contenente una dimensione ontologica – e le tesi sostenute dai costruttivisti. Del resto, come abbiamo avuto modo di vedere, è stata proprio la tesi dell'incommensurabilità a rimarcare la dimensione ontologica del linguaggio impiegato dalle teorie scientifiche, innescando quel rifiuto della concezione "descrittiva" delle teorie che i costruttivisti, come vedremo, ribadiscono senza riserve. Tuttavia, pur individuando una sorta di "filo rosso" tra la tesi dell'incommensurabilità di Feyerabend e le posizioni dei costruttivisti, non vorremmo che il nostro tentativo venga confuso con lo sforzo di stabilire una "continuità storico-intellettuale" tra due modi di pensare così diversi. Nei prossimi capitoli i metodi e le implicazioni teoriche del costruttivismo saranno analizzate in relazione ai problemi epistemologici sollevati dalla nuova filosofia della scienza di stampo storicista; in questo senso le riflessioni di Feyerabend (e in parte di Kuhn) devono essere considerate come un insieme di suggestioni capace, al medesimo tempo, di formulare domande e fornire alcune "tracce" di risposta.