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La dimensione artificiale del laboratorio

3. Il laboratorio come luogo strategico di ricerca: implicazioni teoriche

3.1. La dimensione artificiale del laboratorio

Il primo punto che viene sottolineato è che il laboratorio costituisce un ambiente essenzialmente artificiale. Nel laboratorio non si ha a che fare con oggetti del mondo naturale, in qualche misura esterni e preesistenti. Le materie prime che vengono utilizzate sono sostanze altamente standardizzate, tecnicamente prodotte con caratteristiche definite. Un ovvio esempio è costituito dai composti e reagenti chimici, preparati secondo precisi gradi di purezza; ma anche molti materiali biologici sono preparati come campioni standardizzati o sono soggetti a complesse procedure di purificazione. Perfino gli esemplari di piante e i topi da esperimento vengono selezionati e nutriti con tecniche specifiche e manipolati geneticamente. Quella su cui si applica l'attività dello scienziato è quindi una realtà molto sui generis, inesistente in natura. Lo stesso si deve dire dei risultati di laboratorio. La scienza sperimentale moderna si basa su fenomeni che non hanno esistenza naturale, sono effetti prodotti strumentalmente che dipendono dal contesto artificiale del laboratorio: gli oggetti di conoscenza sono più il risultato di interventi sul mondo che una sua rappresentazione. Come scrive Knorr-Cetina:

I materiali "grezzi" che entrano in laboratorio sono attentamente selezionati e "preparati" prima di essere sottoposti ai controlli "scientifici". In breve, da nessuna parte nel laboratorio troviamo la "natura" o la "realtà" che è così cruciale per l'interpretazione descrittivista della ricerca. Ad un osservatore esterno, il laboratorio si mostra come un luogo di azioni dal quale la "natura" è il più possibile esclusa che inclusa28.

Va osservato per inciso, che la concezione "artificialista" del laboratorio non è così corrosiva, e nemmeno interamente nuova. Anche le epistemologie più tradizionali sarebbero

disposte ad accettare che sia necessario riprodurre le stesse circostanze sperimentali per avere un certo risultato. Quasi qualsiasi epistemologo concorderebbe che lo scopo delle sperimentazioni scientifiche è precisamente quello di progettare circostanze non naturali – cioè riproducibili solo in laboratorio – per studiare in modo migliore gli effetti naturali dell'esperimento condotto in quelle circostanze. Affermare il carattere artificiale degli antecedenti è cosa ben diversa dall'affermare il carattere artificiale dei conseguenti; per quanto le circostanze all'interno delle quali si sviluppa l'esperimento siano di ordine non naturale, esse possono comunque dar vita ad effetti naturali, ad effetti cioè il cui carattere non è interamente riducibile alle condizioni non naturali che li hanno prodotti. In questo senso non è del tutto corretto sostenere che le condizioni artificiali del laboratorio finiscono per produrre risultati artificiali; e nemmeno che l'asserita universalità dei risultati ottenuti in laboratorio – per utilizzare il linguaggio di Latour – sfiori la tautologia29. La condizione

"artificialista" del laboratorio, dicevamo, non è neppure interamente nuova. Anche un filosofo della scienza come G. Bachelard aveva visto nella stretta coordinazione di conoscenza scientifica e dispositivi strumentali una condizione costitutiva dell'oggettività scientifica. Bachelard sottolineava il carattere "artificiale" del fenomeno scientifico per il fatto che esso è sostanzialmente prodotto attraverso tecniche di "purificazione" e "stabilizzazione" dei fenomeni. La sua nozione di fenomenotecnica30, ad esempio, come

riconoscono Latour e Knorr-Cetina, va in questa direzione; e così pure la sua definizione dello strumento scientifico come "teoria reificata". Tuttavia la problematica da cui muove Bachelard è alquanto diversa da quella dei costruttivisti ed estranea ad un esame dettagliato delle operazioni degli scienziati e alle modalità pratiche attraverso le quali gli oggetti scientifici sono prodotti in laboratorio31.

Il fatto che al laboratorio come ambiente artificiale viene assegnato un significato teorico del tutto peculiare, modifica radicalmente la visione della conoscenza scientifica come corrispondenza con la realtà esterna, ma non ci allontana da modelli abbastanza consueti. La realtà artificiale degli strumenti e dei fenomeni di laboratorio, realizzata in base a

29 "Che la stessa cosa possa essere ripetuta [in luoghi diversi da quello del laboratorio] non mi colpisce come miracolosa, ma lo sembra a tutti coloro che immaginano che i fatti si ottengano fuori dai laboratori senza estendere le pratiche del laboratorio. […] Molte delle difficoltà associate alla scienza e alla tecnologia provengono dall'idea che ci sia un momento dove si hanno le innovazioni nei laboratori ed un altro in cui esse sono provate in una serie di condizioni che invalidano o verificano l'efficacia di queste innovazioni. Questa è l'adequatio rei et intellectus che affascina così tanto gli epistemologi". Cfr. Latour (1983), p. 155. 30 Cfr. Bachelard (1951).

31 Il razionalismo di Bachelard rende questo autore estraneo ad una concreta considerazione del carattere "socialmente costruito" della conoscenza scientifica. Cfr. Ancarani (1981).

manipolazioni e a tecniche materiali, richiama una nozione di "costruzione" che ci è abbastanza familiare anche in altri contesti. Per esempio diamo per scontato che la produzione di artefatti, artigiani o industriali, dia luogo ad un nuovo ambiente materiale d'ordine diverso da quello naturale, che tuttavia consideriamo sempre ad esso collegato32.

Ciò non dovrebbe implicare per i costruttivisti, e ciò è riconosciuto almeno in parte da alcuni di loro, che debbano completamente scomparire i correlati fisico-empirici del mondo naturale. Possiamo dire, seguendo Knorr-Cetina, che questi vengono riconfigurati attraverso le operazioni di laboratorio, in una maniera che non corrisponde alla visione realistica della conoscenza scientifica, almeno nella sua versione più corrente. Anche Latour e Woolgar sono dello stesso avviso. Essi infatti ammettono che la realtà è capace di offrire una resistenza alle operazioni costruttive interne al laboratorio: "se realtà significa qualcosa, essa indica ciò che 'resiste' (dal latino res – cosa) alla pressione di una forza"33. Affermazioni

come questa rappresentano una concessione al senso comune che ci informa che gli scienziati possono commettere errori, e che la realtà non può essere plasmata dalla nostra volontà: "è possibile che la seguente [definizione di realtà] sia sufficiente: ciò che non può essere cambiato a piacimento conta come reale"34. Resta tuttavia un fatto che tra i

costruttivisti, anche quando l'esistenza della natura è riconosciuta in via di principio, in pratica la sua influenza sulle attività costruttive del laboratorio appare irrilevante. Prevale la tendenza a vedere gli oggetti della scienza come semplici oggetti socialmente prodotti e la natura come un sostrato malleabile dell'azione umana. Come avremo modo di vedere più avanti, questa idea, per quanto interessante, contiene alcune confusioni concettuali. Prima di tentare una critica filosofica delle tesi del costruttivismo è necessario mostrare come sono strutturati, secondo tale ottica, i processi di fabbricazione dei fatti. A ciò saranno dedicati i prossimi tre paragrafi.