Socìetas Raffaello Sanzio: la metamorfosi della scena
IV.II. Il testo latente nella drammaturgia shakespeariana
Eppure questo non soltanto non impedisce a Romeo Castellucci di elaborare una concezione dell’attoralità, ma lo fa servendosi dell’ Amleto di Shakespeare e, più ancora che di Amleto, di quell’Amleto vivente e presente che “occupa l’Amleto”287
, come è indicato nel foglio distribuito agli spettatori in occasione della prima rappresentazione di Amleto, la veemente esteriorità della morte di un mollusco, a Cesena nel 1992.
Che Amleto occupi l’”Amleto” vuol dire che l’attore occupa l’autore elisabettiano, il testo omonimo che lo rappresenta ai posteri, così come gli studenti possono decidere di occupare le aule di un’università, accampandosi nei loro sacchi a pelo. Vedremo che Amleto senza virgolette non è qui che l’attoralità fisiologica, rimossa dal testo che chiamiamo “Amleto” con le virgolette.
In questo che è il primo spettacolo della Epopea della polvere, Castellucci compie l’intero periplo di una rivoluzione intorno al pianeta-attore, che sarà preliminare agli altri spettacoli della pentalogia, ed anzi - sotto questo aspetto - comporterà una sorta di dittico col successivo spettacolo dedicato al masochismo dell’attore.
L’attoralità rimossa dal testo drammaturgico elisabettiano consta delle pieghe stesse di quest’ultimo, si annida nelle pause e negli intervalli della lettera shakespeariana, negli interstizi tra i pieni della sua struttura retorica.
In questa messinscena dedicata ad Amleto noi ci imbattiamo letteralmente nel negativo della struttura retorica dell’omonimo testo teatrale e letterario (e letterario più ancora che teatrale); ci troviamo davanti al sistema carsico dei suoi vuoti affiorati, alla forma del Vuoto rimosso che abita
287 Socìetas Raffaello Sanzio, Amleto, la veemente esteriorità della morte di un mollusco, Laboratori meccanici
gli intervalli nella sua proverbiale verbosità, la quale, giustappunto, negativizzandosi come un guanto rivoltato, si capovolge in mutismo e, per l’esattezza, nel mutacismo288
di certi individui affetti da sindromi autistiche. Le parole rarefatte che risuonano nell’arco della messinscena sono ora come le pause di questo mutacismo, che riverbera la sua scabra atmosfera in ogni piega e aspetto dello spettacolo, e il contrappunto di una sorta di minimale coro vi è chiamato “la voce che rinuncia alla parola”289
: sintagma, quest’ultimo, nel quale sembra esplicitarsi la foce verso la quale protende la sua prua l’intero spettacolo.
Poniamo la plenitudine letterario-retorica del testo shakespeariano sotto l’egida della copula è290: questa copula è sia fornicazione all’interno della frase delle parole tra di loro, che libidine comunicativa del testo nel suo insieme verso i lettori e il pubblico.
L’Amleto mutacico “ingorga”291
allora tutti gli è del testo elisabettiano, di esso facendo venire a galla lo sciame delle e da quelli fino ad allora obliato, come se l’emergenza di ogni è, di ogni nesso escludente, comportasse il sacrificio di un intero gruppo di e, cioè di nessi paratattici di compresenza.
Questa veemente ostensione del silenzio, che giace misconosciuto ed emarginato nelle riposte pieghe del Testo, conferisce ulteriori ripercussioni del sabotaggio nei confronti della “subordinazione delle congiunzioni al verbo essere, per farle gravitare attorno ad esso”, come auspicato da Deleuze292. Avvalendosi delle risorse del teatro, nella prassi scenica della Socìetas depotenziare la copula (nella doppia funzione di riproduzione del senso tramite l’amplesso impari tra le parole, e riproduzione di rapporti sociali attraverso l’altrettanto impari comunicazione tra testo e lettore-pubblico), significa in primis neutralizzarne l’accento, vera e propria egida fallica della copula, in quanto conduttore dell’enfasi e strumento naturalmente atto alla discriminazione fra prosodia e retorica.
288
Ibid.
289Amleto, locandina, in Epopea della polvere, cit. pag. 41.
290 Gilles Deleuze, Un nuovo tipo di rivoluzione sta per essere possibile, in Marka, n. 28, Ascoli Piceno, 1980, pag. 51.
(Citato in Epopea della polvere, cit. pag 43).
291 Amleto, locandina, in Epopea della polvere, cit. pag. 41.
Lo sprofondamento della retorica della comunicazione, alla quale si lasciava che si riducesse l’intera percezione del lascito shakespeariano, comporta il concomitante affiorare di una retorica autistica. La marca più vistosa di questa retorica emergente è l’atonalità, come conseguenza della smussatura dell’Accento, in quanto sorgente emanante di subordinazione e discriminazione. In ultima analisi sono questi marchingegni segmentali accentati di senso, che chiamiamo battute, ad ammutolire una buona volta293, facendo posto ad altre segmentalità, verbalmente rarefatte e atonali, dove anzi la parola è un optional fra gli altri, e subisce in tal modo una paradossale valorizzazione, quale rarefatta efflorescenza nel nuovo, desolato paesaggio retorico. Castellucci è qui assorto a divinare le conseguenze scenografiche pertinenti a questa retorica autistica, consapevole che la scena di questo spettacolo descrive l’Attore quanto i comportamenti dell’attore stesso del dramma. Se riteniamo la retorica destinalmente legata alla comunicazione, siamo a nostra volta destinati a considerare quella autistica una retorica paradossale. Essa infatti mira a far fallire la comunicazione o per lo meno a farvi ostruzionismo. Le parole si abbandonano trepidanti alla forza di gravità che garantisce la loro auspicata caduta, modellizzandosi ad una dinamica fecale, sterile rispetto ad ogni prolificità comunicativa. La parola è così restituita – o per la prima volta consegnata – allo statuto di secrezione, intima ed autoefficace, e che condivide con le altre secrezioni corporee (una lunga teoria delle quali è incastonata nelle fibre dello spettacolo come pietre preziose della fisiologia che lo solcano, lo crivellano e lo cadenzano per l’appunto come scansioni e cesure di un’altra retorica), lo stesso destino gravitazionale, la stessa parabola verso il basso. Questa parola-secrezione, questo logos endocrino, connoterà l’Epopea almeno quanto la polvere cui si intitola, e con cui deve essere strettamente messa in relazione. Certamente l’autismo che qui è in questione non si lascia ridurre alla lettera psichiatrica della sintomatologia così rubricata. Intorno a quest’ultima si modellizza una concezione attorale della parola, del gesto e dell’azione scenici, di cui si osserva la mutazione loro impressa dall’essere sottratti il più possibile a quella teleologia comunicativa che, tradizionalmente, li struttura nella retorica della scena non meno che in quella della socializzazione.
293
“La pausa – il tempo non battuto – è ora la battuta, la strada spoglia che la memoria percorre”. Romeo Castellucci, Amleto: là dove la A risuona come alfa privativa (tratto dal programma di sala); in Epopea della polvere, cit. pag. 44.
Si è già osservato come assecondare la spinta verso un immediato sbocco comunicativo costituisca una sorta di riflesso condizionato insito alla fenomenologia dell’attore, che è sempre in qualche modo abbandonato, quasi gettato nella speciale solitudine dell’essere-in-scena. Tutto il lavoro critico e poetico di attori come Bene e Sudano – e dietro di loro la problematizzazione metafisica artaudiana dell’evento teatrale come inquietudine capostipite – può essere letto, a questo livello di analisi, come resistenza (in vario modo congegnata) nei confronti degli automatismi di quel riflesso, di quella reattività indotta dall’angoscia intrinseca all’esposizione scenica.