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L’inapplicabilità del divieto di cui all’art 182 bis comma 3 l fall., alle azioni volte ad ottenere la dichiarazione di fallimento: la riunione dei procedimenti.

Nel documento Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (pagine 125-128)

IL CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE

4.7. Gli effetti dell’accordo prima della pubblicazione nel registro delle imprese.

4.8.2. L’inapplicabilità del divieto di cui all’art 182 bis comma 3 l fall., alle azioni volte ad ottenere la dichiarazione di fallimento: la riunione dei procedimenti.

Occorre chiedersi se il concetto di azioni esecutive, debba essere inteso nel senso più ampio e quindi comprendente anche il deposito del ricorso per ottenere la sentenza

quanto previsto dall’art. 4 del D.lgs 170/2004 secondo cui al verificarsi di un evento per il quale è prevista l’escussione della garanzia, il creditore ha la facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione di procedere osservando le formalità previste nel contratto: 1) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino alla concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita; 2) all’appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino alla concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione; 3) all’utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita. Nella prima ipotesi il creditore pignoratizio deve informare immediatamente il datore della garanzia o se del caso gli organi della procedura di risanamento o di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all’importo ricavato e deve provvedere a restituire l’eccedenza. L’opponibilità ai terzi della garanzia finanziaria, legata esclusivamente all’utilizzo della forma scritta, non richiede requisiti ulteriori, anche se previsti da vigenti disposizioni di legge (artt. 2 e 3 ).

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Cfr. D. ZANCHI, Osservazioni in ordine alla possibile applicazione di un trust agli accordi di cui all’art. 182 – bis L.F., in, Trusts e attività fiduciarie, 2008, p. 155 e segg; L. ROVELLI, Il ruolo del trust nella composizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art. 182 bis l. fall., in, Fall. , n. 5/2007 p. 595 e segg.

dichiarativa del fallimento, o se invece la norma di cui all’art. 182 bis comma 3, abbia inteso riferirsi soltanto alle azioni esecutive e cautelari in senso stretto.

In relazione a questo profilo, recentemente il Tribunale di Milano, si è occupato di alcuni procedimenti di omologa ex art. 182 bis, presentati da società appartenenti allo stesso gruppo, caratterizzati dalla contestuale pendenza del ricorso per dichiarazione di fallimento presentato dal Pubblico Ministero, e dei procedimenti per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, questi ultimi tra l’altro depositati successivamente252. I giudici nel caso di specie, hanno ritenuto innanzitutto di non poter applicare la norma di cui all’art. 182 bis comma 3 , secondo cui dalla data della pubblicazione degli accordi e per i sessanta giorni successivi, i creditori per titolo o causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore sulla base di due elementi, desunti da un lato da un’interpretazione letterale della norma, e dall’altro da una precisa opzione interpretava in ordine alla sua ratio.

In relazione al primo profilo, viene evidenziato il riferimento della norma alle sole “azioni esecutive e cautelari” e dunque il mancato collegamento, anche implicito, ai ricorsi di fallimento di cui all’art. 6 l. fall. ed in particolare alla richiesta di fallimento presentata dal pubblico ministero.

Tale interpretazione, viene motivata inoltre, sul presupposto che la ratio del divieto di agire in executivis o in via cautelare sul patrimonio del debitore, risieda nella opportunità di evitare che queste possano determinare dei vincoli patrimoniali che avvantaggiano soltanto alcuni creditori, pregiudicando invece gli altri, a causa della limitazione subita alla disponibilità del patrimonio.

In questa prospettiva, l’istanza di fallimento è stata considerata, da questa giurisprudenza, di per sé inidonea, a creare questo vincolo alla libertà di disporre delle proprie risorse, o a creare o consolidare posizioni di vantaggio per una cerchia ristretta di creditori.

Un ulteriore ostacolo, all’applicazione del divieto di cui all’art. 182 bis comma 3 l. fall., è stato individuato, nell’ipotesi di pregressa pendenza di un ricorso ex art. 6 l. fall. ed in particolare, per il caso in cui questo sia stato depositato dal pubblico ministero, nella prevalente esigenza, di natura pubblicistica, di accertare l’eventuale stato di insolvenza dell’obbligato.

Tale interesse pubblico assumerebbe dunque, secondo la giurisprudenza, carattere prevalente, rispetto <<all’interesse particolare del debitore>> a non vedere alterata la propria situazione patrimoniale nei sessanta giorni successivi al deposito dell’accordo. Quest’ultima affermazione appare tuttavia contraddittoria rispetto all’assunto precedente e pertanto non convince, perché da un lato la giurisprudenza afferma che la norma tutelerebbe gli interessi di tutti i creditori a non vedere alterate, nelle more dell’omologazione dell’accordo, la situazione patrimoniale del debitore a vantaggio di

252 Si tratta del procedimento di omologazione degli accordi di ristrutturazione presentati da nove società proponenti riconducibili al gruppo Risanamento S.p.a. cfr. Trib. Milano, 10 novembre 2009, (Decr.) Pres. Lamanna – Rel. Pernotti, in, www.ilcaso.it.

alcuni soltanto di essi, mentre dall’altro sostiene che questa tutelerebbe <<l’interesse particolare del debitore>>.

Orbene sembra invece che la ratio della disposizione di cui all’art. 182 comma 3 l. fall., vada ricercata in una prospettiva di più ampio respiro, che tenga conto della diversa filosofia di fondo che pervade l’intero impianto della legge fallimentare novellata, in seguito all’introduzione delle nuove forme di composizione negoziale della crisi d’impresa.

Invero l’introduzione di istituti quali gli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis), la transazione fiscale (art. 182 ter) , il piano attestato di risanamento (art. 67 comma 3 lett. d), e la modifica della disciplina del concordato preventivo (artt. 160 e segg. l.fall.), risponde proprio all’esigenza di contemperare la stabilità dei rapporti negoziali, con l’evento patologico costituito dall’insolvenza, nonché al fine di comporre il conflitto d’interesse generato dall’intersezione di questi due fenomeni.

Se è vero infatti che l’insolvenza costituisce la qualificazione giuridica di un fatto, considerato patologico dall’ordinamento, e al quale occorre porre rimedio, autorevole dottrina ha evidenziato come l’autonomia negoziale, rappresenta al contempo uno dei valori fondanti dello stesso e trova la sua espressione massima nell’ambito dei diritto dei contratti253.

L’interesse perseguito dunque, con questi nuovi strumenti ed in particolare con gli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis) non è soltanto quello del debitore proponente, ma è innanzitutto quello di tutto il ceto creditorio, innanzitutto dei creditori aderenti, i quali sono mossi ad aderire all’accordo, non certo per spirito di liberalità ma piuttosto, perché avranno valutato che così facendo potranno ottenere comunque dei vantaggi maggiori, di quelli conseguenti ad una dichiarazione di fallimento.

Allo stesso tempo i creditori estranei verranno comunque pagati integralmente.

Se dunque l’accordo soddisfa gli interessi del ceto creditorio in maniera migliore di una procedura fallimentare, indirettamente viene tutelato anche l’interesse pubblico ad un corretto funzionamento delle dinamiche di mercato e del sistema economico nel suo complesso.

Ciò significa che il fatto che la procedura fallimentare, caratterizzata per definizione da una forte connotazione pubblicistica, a causa del carattere della “officiosità” della stessa, non necessariamente soddisfa l’interesse pubblico sopra descritto in maniera più efficace di una composizione negoziale della crisi attuata mediante lo strumento degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis).

Questo assunto è dimostrato, dalle adesioni convinte delle banche agli accordi di ristrutturazione sottosposti di recente all’attenzione dei giudici254, e dagli impegni,

253 F. MACARIO, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia contrattuale. Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, in, Rivista delle Società, Milano, 2008, fasc. 1, p. 102 e segg.

254 Cfr. Trib. Milano, 10 novembre 2009, (decreto ex art. 182 bis l. fall), Pres. L. Lamanna, Rel. P. Perrotti, in, Riv. Dir. Fall, . n° 3-4 del 2010, pag. 343 e segg. con nota di M. GALARDO; Trib. Milano 17 giugno 2009, (decreto ex art. 182 bis l. fall), Pres. Relatore Galioto – Dott. M. Vitiello – Dott. R. Nunnari; Trib. Milano, 18 Luglio 2009, Sez. II Civile, (decreto ex art. 182 bis l. fall), Pres. M. Galioto, Rel. M. Vitello.

assunti dalle stesse, da considerarsi essenziali nell’economia delle complessive operazioni di ristrutturazione.

Per tale ragione, il riferimento ad un generico e non dimostrato interesse pubblico, al fine di giustificare comunque la procedibilità delle azioni volte ad ottenere la dichiarazione di fallimento, dell’imprenditore che ha richiesto l’omologazione di un accordo di ristrutturazione, appare un’affermazione troppo generica, laddove si consideri, che la gestione della crisi privatamente concordata, dimostra di generare una maggiore quantità di risorse rispetto ad una procedura fallimentare, realizzando così l’interesse dei creditori e dell’economia nel suo complesso.

Invero in questa prospettiva, la stessa giurisprudenza255 ha ritenuto che laddove la pubblicazione degli accordi di ristrutturazione sia stata preceduta da un’istanza di fallimento presentata dal pubblico ministero, il tribunale, previa riunione dei procedimenti, pur dovendo esaminare nel dettaglio anche le considerazioni critiche svolte da quest’ultimo e dai suoi consulenti, valutando in un unico contesto l’uno e l’altro tipo di procedimento, nell’ambito di una struttura articolata, in entrambi i casi in senso camerale, dovrà tuttavia rispettare un rapporto di pregiudizialità logica e funzionale, valutando prioritariamente se siano omologabili gli accordi di ristrutturazione e solo in caso di risposta negativa a detto quesito se sussistano i presupposti per la declaratoria di fallimento.

Queste considerazioni, in seguito alle modifiche apportate dal D.L. 78/2010 e della legge di conversione 122/2010, possono oggi estendersi al procedimento relativo alla sospensione, promosso nell’ambito delle trattative stragiudiziali, di cui all’art. 182 bis commi 6-7-8 e 9.

4.9. Gli effetti dell’accordo dopo l’omologazione: l’esenzione dall’azione

Nel documento Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (pagine 125-128)

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