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Pactum de non petendo, percentuale minima di adesione e superamento

IL CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE

3.4. Pactum de non petendo, percentuale minima di adesione e superamento

dello stato d’insolvenza.

Tra le clausole che pongono degli obblighi di comportamento a carico dei creditori, merita particolare attenzione, rientrando nel contenuto di un accordo di ristrutturazione (182 bis. l.fall.) il c.d. pactum de non petendo94.

La Suprema Corte lo ha definito come un accordo finalizzato alla dilazione dei termini di scadenza di un credito scaduto o anche da scadere evidenziando l’idoneità dello stesso ad incidere sullo stato d’insolvenza del debitore95.

La caratteristica peculiare di questo accordo, consiste nel precludere al creditore l’esercizio giudiziale dei suoi diritti di credito, attraverso la modifica dell’originario rapporto obbligatorio96. Il pactum de non petendo può essere concepito in perpetuum,

94 Cfr. E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova 2009, p. 120; MAIMERI F., Sistemazioni stragiudiziali delle crisi d’impresa e codice di comportamento bancario, in, Banca Borsa e titoli di credito, 2000, 3, 417; Cfr. SANTARONI M., L’intervento delle banche nelle imprese in crisi, in, Giust. Civ. 2000, 2, 45.

95 Cfr. Cass. 19 novembre 1992 n. 12383, in, Fall., 1993, p. 510 e in Dir. Fall., 1993, II, pag. 1084, con nota di Lembo; Cass. 28 ottobre 1992 n. 11722, in, Fall., 1993, p. 352. in merito alla incidenza sullo stato di insolvenza del pactum de non petendo concluso con alcuni creditori cfr. PERRONE, Insolvenza, cit. pag. 661 e segg.

96 SCOGNAMIGLIO, Considerazioni sul pactum de non petendo alla luce di un rimeditato concetto del patto nell’ordinamento attuale, in, Riv. Notariato, 1986, I, pagg. 587 e segg.; Cfr. SARGENTI, Pactum de non petendo e remissione del debito, in, Foro Pad., 1959, 299 e segg.; F. GALLO, Sull’asserita sopravvivenza del pactum de non petendo nel diritto civile italiano, in, Foro It., 1960, IV, 129; RUSCELLO, Pactum de non petendo e vicenda modificativa del rapporto obbligatorio, in, Riv. Dir. Civ., 1976, II, pagg. 198 e segg.;

quando consiste nell’impegno definitivo di non chiedere la prestazione; oppure ad tempus, quando l’accordo stabilisce un termine prima del quale il creditore non deve chiedere al debitore l’adempimento della sua obbligazione.

La conclusione di un accordo di questo tipo paralizza il potere del creditore di ottenere eventualmente in via coattiva l’adempimento, senza peraltro comportare l’estinzione definitiva dell’obbligazione. Questo effetto particolare differenzia il pactum de non petendo, dalla remissione del debito (art. 1236 cod. civ.) , al primo infatti non consegue, l’estinzione dell’obbligazione, effetto che è invece tipico della remissione.

Per quanto riguarda l’incidenza che il pactum de non petendo, può avere con riferimento al superamento dello stato d’insolvenza, parte della giurisprudenza97 ha ritenuto che esso possa avere tale effetto solo qualora l’accordo intervenga tra l’imprenditore e tutti i suoi creditori, in quanto soltanto in tale ipotesi si inciderebbe direttamente sugli inadempimenti, “azzerando” lo stato di insolvenza del debitore, diversamente qualora l’accordo venisse concluso tra l’imprenditore e soltanto alcuni suoi creditori, il patto in questione non sarebbe idoneo a rimuovere lo stato d’insolvenza.

In senso contrario sembra invece preferibile ritenere che la circostanza che al patto abbiano o meno aderito tutti i creditori non sia idonea, di per sé sola, ad individuare la linea di confine tra il patto che incide sullo stato d’insolvenza e quello che, invece, non rileva sul medesimo98. Il pactum de non petendo infatti, incide direttamente sull’inadempimento, escludendolo, e si riflette sull’insolvenza se e in quanto detta inadempienza sia determinante al fine configurare la sussistenza di uno stato d’insolvenza. Ne consegue che né il patto sottoscritto da tutti i creditori, né quello sottoscritto da alcuni soltanto di essi ha un’efficacia diretta sullo stato d’insolvenza, in quanto l’oggetto del patto, non è lo stato d’insolvenza, ma solo l’inadempimento di uno o più crediti, o eventualmente anche di tutti.

In entrambi i casi, dunque, l’incidenza del patto sullo stato d’insolvenza è soltanto “mediata”, nel senso che il patto è in grado di escludere lo stato d’insolvenza solo se e nella misura in cui, l’insolvenza medesima può essere rimossa, modificando anche soltanto parte dei rapporti obbligatori riconducibili all’impresa.

Sotto tale profilo, dall’esame delle precedenti esperienze in tema di convenzioni bancarie di salvataggio99, si evince che uno aspetti più problematici, riguarda proprio la determinazione convenzionale di una percentuale minima di adesioni, il cui raggiungimento è necessario per rendere efficace la convenzione nei confronti dei firmatari della stessa, se il numero di adesioni stabilito non venisse raggiunto, la convenzione non acquisterebbe efficacia. La determinazione convenzionale di una percentuale minima di adesioni è alquanto problematica, in quanto se essa fosse troppo elevata, si rischierebbe il non raggiungimento, se fosse troppo bassa, si rischierebbe di

97 Trib. Napoli, 23 aprile 2002, in, Giur. Merito, 2003, 10, 1954.

98 Cfr. RESTAINO L., Ancora qualche considerazione sulla natura dell’attività esercitata dalla holding, e sulla rilevanza del pactum de non petendo, nota a Trib. Napoli, 23/4/2002, in, Giur merito, 2003, 10, 1954.

99 Cfr. SANTINI R., Il percorso delle soluzioni stragiudiziali alle crisi d’impresa, in, Giur. Comm., 1998, 4, 609.

non avere risorse sufficienti, per transigere i crediti di coloro che non hanno firmato la convenzione, per i quali viene previsto comunque il pagamento integrale.

Tali problemi sono stati oggi superati dal legislatore, con l’introduzione della disciplina riguardante gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.), la quale è incentrata su due elementi “nevralgici”, e cioè: 1) la necessità che l’accordo coinvolga almeno il 60% dei crediti100; 2) l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei all’intesa; presupposti, che nell’intenzione del legislatore, costituiscono il “fulcro” della disciplina di cui all’art. 182 bis l. fall., tant’è che la loro sussistenza, dovrà essere confermata sia dal professionista incaricato, che redigerà la relazione da allegarsi al ricorso, sia dal tribunale nell’ambito del giudizio di omologazione.

E’ evidente dunque, che negli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis), la previsione di una soglia minima di adesioni, nell’intenzione del legislatore, assolve proprio alla funzione di rendere disponibili le risorse sufficienti per superare lo stato d’insolvenza, garantendo al contempo il regolare pagamento dei creditori non aderenti. Pertanto deve ritenersi che ricorrendo tutte le condizioni previste dal legislatore nell’articolo 182 bis, compresa, l’avvenuta omologazione dell’accordo, debba sicuramente ritenersi superato lo stato d’insolvenza dell’impresa.

3.5. L’eventuale suddivisione dei creditori in classi: differenze rispetto al

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