L’unica funzione evidentemente svolta dei cherubini manufatti sull’arca era di incorniciare e in un certo senso di permettere la manifestazione della presenza divina nel tabernacolo: “uando Mosè entrava nella tenda del convegno per parlare con il Si- gnore, udiva la voce che gli parlava dall’alto del coperchio che è sull’arca della testimonianza fra i due cherubini; il Signore gli parlava”. (Numeri VII,89). Si dice che la “voce” parla a Mosè
“tra i due cherubini”. Dopo la costruzione del Tabernacolo, questa è la sistemazione standard descritta dalla Torah per la
Presenza divina. Non sono i cherubini a parlare, naturalmente; non devono certo essere scambiati con la divinità. In questo sen- so è importante che siano una coppia: “C’erano due cherubini sull’Arca perché, se ce ne fosse stato uno solo, si sarebbe potuto confonderlo con una rappresentazione dell’Unico Dio24”.
24 Jacobs 1995, citato in http://www.myjewishlearning.com/texts/Bible/To-
solo una necessità di fatto. In linea di principio, al di là del fumo, i cherubini erano visibili e la Presenza divina tra loro era un’as- senza incorniciata dalla loro presenza. L’opposizione tra i due tipi di invisibilità non è una semplicemente fattuale, costituisce una modalità semiotica. Come succede per il Suo Nome, il Tetra- gramma, che nella tradizione ebraica non deve essere pronunciato e perfino il cui appellativo sostitutivo non deve essere usato al di fuori del contesto liturgico (Volli 2012), anche questa Presenza subisce una duplice cancellazione, essendo invisibile in principio
e in pratica immersa in un contesto: il fumo che rende invisibile anche questa invisibilità.
La cosa più importante è che non esiste una fonte ma- teriale per la voce; essa sorge “fra” i due messaggeri o testimo-
ni, che agiscono non tanto come un canale di comunicazione, perché in questo caso non agiscono affatto, ma piuttosto come
una cornice, una condizione concreta per il funzionamento
della comunicazione. Si potrebbe facilmente notare che il ca- rattere plurale della loro presenza è semioticamente pertinen- te. Guardandosi l’un l’altro, come è prescritto, inevitabilmen- te guardano anche in direzione della voce che si manifesta fra
loro o forse della sua sorgente, che però non è manifestata; e, essendo due oggetti materiali in posizioni diverse, la osservano necessariamente da diversi punti dello spazio, con prospettive diverse, come fa sempre un pubblico durante l’ascolto di qual- cuno. In questo modo introducono materialmente nella rive- lazione divina una condizione di pluralità che è così importan- te nell’ebraismo. Dunque vanno sì considerati rappresentanti però non ottiene alcuna visione di quel luogo. Perché porta con sé un bra- ciere pieno di carbone in fiamme e incenso e la grande quantità di vapore oscura la vista “; Filone, De specialibus legibus 1.13.71 [trad. mia UV].
vina nel centro. Come spesso accade con questo tipo di confi- gurazione, c’è una gerarchia visiva: nel mezzo è situata la cosa più importante, e nella periferia sta ciò che è secondario, che svolge solo il ruolo di testimone e spettatore25. Ma al centro
non c’è proprio niente o almeno niente di visibile. In questo modo l’opposizione di stampo plastico è in grado di esprime- re un’opposizione di senso: ciò che è più importante qui, nel posto più importante della religione ebraica e quindi ciò che è da essa considerato più importante nel mondo intero è non visibile, non ha forma, non è qualcosa di materiale. Il vuoto tra i cherubini, di fatto: lo spazio vuoto reso percettibile dalla pre- senza dei cherubini è per la cultura ebraica la rappresentazione corretta della Trascendenza. Questo ossimoro è il significato veramente aniconico e la funzione dell’intera struttura.
Ma, in effetti, nemmeno i cherubini potevano essere visti. L’unica volta che Aharòn e i suoi successori, i Sommi Sacerdoti, venivano ammessi nello spazio sacro del Santo dei Santi era nel Giorno dell’Espiazione; ma anche in quel giorno “Metterà l’incen- so sul fuoco davanti al Signore, perché la nube dell’incenso copra il coperchio che è sull’arca e così non muoia” (Levitico XVI,13).
Ciò significa che, “per non morire”, “perché l’uomo non Mi può vedere e vivere” (Esodo XXXIII,20), anche il Sommo Sacerdote,
che entrava legittimamente nello spazio sacro, doveva creare con cura una cortina fumogena tra sé e l’arca, in modo che non potesse vedere i cherubini né lo spazio tra loro26. Ma questa invisibilità era
25 Gli astanti rappresentati sono considerati dalla semiotica visiva dispo-
sitivi importanti per l’interpretazione degli effetti di senso visivi, perché sono in grado di prendere il posto degli spettatori e coinvolgerli efficace- mente nelle loro azioni o atteggiamenti rappresentati. Cfr Eugeni 1999.
26 Come testimonia anche Filone: “Tutto dentro non è visibile, tranne che
mento in cui Israele ubbidisce alla volontà dell’Onnipresente”, cioè probabilmente il tempo fondativo del Sinài e della Rive- lazione; ma si dice che si distolgano l’uno dall’altro e quindi anche dallo spazio intermedio, dove in effetti non c’è più voce parlante, durante il tempo storico in cui l’obbedienza a Dio e la concordia tra il popolo ebraico sono stati persi. In termini semiotici, dobbiamo qui ravvisare una sorta di collegamento semisimbolico ipotizzato dai maestri del Talmùd tra l’atteg-
giamento morale del popolo ebraico e la posizione fisica attri- buita ai cherubini: un’opposizione di contenuto – obbedienza
vs disobbedienza –, cui ne consegue un’altra – concordia vs di-
scordia –, è resa attraverso una categoria dell’espressione: guar- darsi l’un l’altro vs guardare altrove. La direzione dello sguardo
dei cherubini mostra le tendenze dell’atteggiamento del popo- lo ebraico. uindi dobbiamo pensare, anche per questa ragio- ne, ai cherubini sull’arca come “rappresentanti” del popolo ebraico in termini semiotici, simulacri dell’enunciatario e non come rappresentazioni della divinità, segni dell’enunciatore. Hanno una funzione metacomunicativa, indicando lo stato della comunicazione, esprimendo non il suo contenuto ma la relazione che la genera.
Si ripropone spesso la domanda del perché queste im- magini trovino posto nel sancta sanctorum. uesti versetti
hanno spinto il Maimonide a proporre la seguente spiegazio- ne, che parte dalla natura angelica dei cherubini:
La credenza fondamentale nella profezia precede la credenza nel- la Legge, poiché senza la credenza nella profezia non può esserci alcuna fede nella Legge, ma un profeta riceve solo ispirazione di- vina attraverso l’azione di un angelo, come si vede ad esempio in passi come ‘L’angelo del Signore chiamò “(Genesi XXII,15);”
L’angelo del Signore gli disse “(ibid. XXVI,11), e altri innume-
ma non di una presenza divina sebbene, proprio al contrario, del popolo ebraico che ascolta Dio. La voce che parla “tra loro”
dovrebbe quindi, anche essere intesa come una metafora del fatto che “Dio dimora in mezzo al popolo” (Esodo XXV,8)
uesta ipotesi sui cherubini come rappresentanti (e non rap- presentazioni) del popolo può essere rafforzata da una pagina
piuttosto strana del trattato Bavà Bathrà (99a), già citato pri-
ma, ma che vale la pena di riprendere qui:
Come erano collocati? R. Yohanàn e R. El‘azàr [sono in disputa sul tema]. Uno dice: “Stavano l’uno di fronte all’altro”. E l’altro dice: “Le loro facce erano rivolte verso l’interno. “Ma a chi dice che stavano di fronte, [potrebbe essere obiettato:] “Non è scrit- to ‘E Le loro facce erano rivolte verso l’interno’? [uesta non è] una difficoltà: il primo caso [avveniva] nel momento in cui Israele obbediva alla volontà dell’Onnipresente; il secondo [ac- cadeva] nel momento in cui Israele non obbedire alla volontà dell’Onnipresente.
Come non è insolito nel Talmùd, questa è una di-
scussione incidentale che mira a chiarire il testo biblico e ri- muovere una possibile contraddizione. L’oggetto è lo sguardo dei cherubini: nel passaggio dell’Esodo sul tabernacolo sono
descritti come “l’uno di fronte all’altro”, mentre nella descri- zione del Tempio di Salomone nel Libro delle Cronache sono
diretti “verso l’interno”, cioè lontano dagli spettatori, che però in realtà era solo uno, il Sommo Sacerdote, l’unico ammesso nel sancta sanctorum ma solo durante il servizio del Giorno
dell’Espiazione (Yom Kipùr), e peraltro impossibilitato a ve-
derli, come ho chiarito prima. Ciò che importa per noi qui è la spiegazione offerta per questo cambiamento: i cherubini si guardano l’un l’altro e nella direzione della Voce, “nel mo-
Una curiosa leggenda talmudica sostiene che i cherubini nel Santuario di Salomone erano in forma di maschio e femmina. uando gli israeliti venivano al Tempio in pellegrinaggio, la tenda davanti all’arca veniva tirata da parte e i cherubini erano visti come abbracciati in un incontro sessuale. Si diceva che ciò fosse un’indicazione miracolosa che l’amore di Dio per Israele assomiglia all’amore dell’uomo e della donna27.
Il testo talmudico (Yomà 54a) inizia in modo molto
semplice. Parlando in generale riguardo al Giorno dell’Espia- zione e al suo rituale nel Santuario, la discussione si sposta sull’arca e, da quest’ultima, ai cherubini. ui occorre la strana dichiarazione attribuita a un importante rabbino del IV seco- lo:
Rabbì Kattina disse: Ogni volta che i figli di Israele venivano in pellegrinaggio [a Gerusalemme] per una Festa, il paròkhet
[il sipario che divideva lo spazio “santo” dal “Santo del Santo”] veniva rimosso per loro e venivano mostrati loro i cherubini, i cui corpi erano intrecciati l’uno con l’altro; e venivano am- moniti: guardate! Siete amati da Dio com’è l’amore tra uomo e donna”28.
La discussione continua su quando questo fenomeno possa aver avuto luogo – nel Primo o Secondo Santuario – e
27 Jacobs 1995, citato da http://www.myjewishlearning.com/texts/Torah/
Exodus/The_Tabernacle/Cherubim.shtml.
28 In relazione a questa unione delle creature angeliche nel Sancta Sanc-
torum, Elior osserva inoltre che “la relazione di similitudine tra le parole
ebraiche per il Santo dei santi – kòdesh ha-kodashìm – e per il fidanza-
mento – kidushìn – suggerisce un’antica base comune fra unione celeste e
terrena” [2004, 158]. revoli esempi. Persino Mosè, nostro Maestro, ricevette la sua
prima profezia attraverso un angelo”. E un angelo di il Signore gli apparve nella fiamma del fuoco (Esodo III). È quindi chiaro
che la credenza nell’esistenza degli angeli precede la credenza nel- la Profezia, e quest’ultima precede la credenza nella Legge. Per stabilire con fermezza questa convinzione, Dio comandò [agli israeliti] di arricchire l’Arca con la forma di due angeli. La cre- denza nell’esistenza degli angeli viene così inculcata nella mente del popolo, e questa credenza è importante accanto alla credenza nell’Esistenza di Dio; ci porta a credere nella Profezia e nella Leg- ge e si oppone all’idolatria. Se ci fosse stata solo una figura di un cherubino, il popolo sarebbe stata fuorviato e l’avrebbe scambia- to per l’immagine di Dio che doveva essere adorata, alla manie- ra dei pagani; o avrebbero potuto presumere che anche l’angelo [rappresentato dalla figura] fosse una divinità e avrebbero quindi adottato un dualismo. Ordinando due cherubini e dichiarando distintamente che “il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno”, Mosè proclamò chiaramente la teoria dell’esistenza di un certo numero di angeli, eppure non lasciò spazio all’errore di conside- rare quelle figure come divinità, poiché [dichiarò che] Dio è uno, e che Egli è il Creatore degli angeli, che sono più di uno. “(Guida per i Perplessi, III, capitolo 45).
I cherubini, dunque, per Maimonide, portano un mes- saggio teologico: ci insegnano l’esistenza degli angeli. La pre- senza dei cherubini nel Tabernacolo proclama che, oltre a Dio, esistono gli angeli che sono i Suoi messaggeri.
C’è un’altra e più inquietante osservazione talmudica sui cherubini che supporta un’identificazione simile di queste figure con il popolo ebraico. Essa riguarda le figure ricamate sulle tende che proteggevano il sancta sanctorum e non le sta-
tue sull’arca, ma anch’esse sono cherubini e la loro presenza è pure prescritta dalla Torah. Come dice Jacobs,
confrontato con una comprensione semiotica delle immagi- ni, perché l’effetto che si cerca di ottenere in entrambi i casi è sempre la presenza di un’assenza, la visibilità di qualcosa che
non può essere visto perché lontano o immaginario, l’apertura di un’alterità virtuale. Ma anche questa metafora dei pali do-
vrebbe essere affrontata dalla prospettiva della posizione co- municativa della trascendenza, la cui non-mondanità è la con- dizione stessa per il significato delle sue tracce. uest’ultimo lato dell’ossimoro è sottolineato in una bella analisi di questo passaggio di Ouaknine [1986] e 1998: 265, 334. Ma dobbia- mo anche ricordare qui la spiegazione di Lévinas, sopra citata, circa i pali come simbolo della mobilità della Legge.
La seconda spiegazione, sullo stesso ordine ossimorico, è presa dalla la vita familiare (Yomà 54a): “R. Nahman rispose: uesto può essere paragonato a una sposa: finché lei è nella casa di suo padre, è riservata nei confronti di suo marito, ma quando viene a casa del suocero, non è più così riservata nei suoi confronti di lui”. Il punto più importante in questo com- mento è un triplice confronto: gli amori tra i cherubini, quelli tra uomo e donna, e tra Dio e il popolo ebraico sono in qualche modo simili. Il confronto tra l’amore coniugale e il rapporto tra Israele e Dio è un motivo molto persistente nella scrittura profetica e in una importante tradizione mistica ebraica, che si può fare iniziare con una dichiarazione del grande rabbino ‘Aqivah: “uando marito e moglie sono degni, la Shechinah
[Presenza divina] dimora con loro; quando non sono degni, il fuoco li consuma” (Sotah 17a). A partire da questo assunto, l’e-
quivalenza della vita coniugale con il Santuario, non più attivo
come residenza per la Divina Presenza, inizia un’importante percorso mistico, il cui successivo sviluppo ricco è esplorato da Idel (2005). Il collegamento con i cherubini è meno cono- come il popolo avrebbe potuto vedere i cherubini che, seguen-
do le regole della Torah, erano sempre nascosti nello spazio in-
visibile del sancta sanctorum. Ci sono due diverse spiegazioni o meglio paragoni, entrambi riferiti a una sfera erotica. Il pri- mo è più diretto, dato che si riferisce all’arca. Come accenna- to in precedenza, la Torah afferma che ai lati dell’arca devono
esserci sempre due “bastoni” o pali, per il suo trasferimento, i quali non dovrebbero mai essere staccati da essa. 1 Re VIII,8
riporta che nel Santuario di Salomone erano solo in parte vi- sibili: “e i pali erano così lunghi che le loro estremità potevano essere viste dal luogo santo fuori della cella; ma non dall’ester- no: e sono così fino a oggi”. uesto significa che probabilmen- te esse potevano essere viste solo da una certa posizione e non “da fuori” (ba-hutza). Ma l’interpretazione talmudica è più
complessa (Yomà 54a):
R. Yehudah contrappose i seguenti passaggi: E le estremità dei pali erano viste ed è scritto che non potevano essere visti dall’e- sterno: come è possibile? Si potevano guardare, ma non davvero vedere. Così è stato anche insegnato: “E le estremità delle doghe si vedevano”. Si sarebbe potuto presumere che non sporgessero dal loro posto. Ce lo insegna il fatto che la Scrittura dica: “E i pali erano così lunghi”. Si potrebbe presumere che essi avessero sollevato la tenda e guardato oltre; come lo sappiamo? La Scrit- tura dice: “Non potevano essere visti senza [la cortina]”. Come risolvere allora la contraddizione? Esse sporgevano come i due seni di una donna, come è detto: il mio diletto è per me come un sacchetto di mirra, che si trova tra i miei seni.
uesta interpretazione, oltre al suo sapore erotico, ela- bora una dialettica tra visibile e non visibile (nirìn veen nirìn),
pratiche e ha provato a sradicarle nel modo più duro, com’è mostrato per esempio dalla approvazione divina del doppio omicidio compiuto da Pinhàs contro una coppia coinvolta in attività sessuali con significato idolatrico (Numeri XXV, 1-5
e XXXI,16). uesto atteggiamento dovrebbe rendere molto
strana la presenza dei cherubini in amore nel Santuario: una grave duplice trasgressione. Non solo vi sono statue – contro tutto lo spirito aniconico ebraico – nel luogo più sacro dell’e- braismo, ma queste immagini hanno un aspetto scandalosa- mente sessuale. In effetti, lo stesso testo talmudico che traman- da questa sconvolgente tradizione esprime preoccupazione in materia (Yomà 54b):
Ed è anche scritto: Secondo lo spazio di ciascuno, con loyoth29
[ghirlande intrecciate attorno] Che cosa significa? Rabbah, figlio di R. Shilah, disse: come un uomo che abbraccia la sua compagna. Resh Lakìsh disse: uando i pagani entrarono nel Santuario e videro i cherubini i cui corpi erano intrecciati l’uno con l’altro, li portarono fuori e dissero: uesti israeliti, per cui una benedizione è una benedizione, e la cui maledizione è una maledizione, si occupano di tali cose! E subito li disprezzavano, come si dice: tutti coloro che la onoravano, la disprezzarono, perché videro la sua nudità [Lamentazioni I,8].
La stessa idea dei cherubini come qualcosa di vergo- gnoso agli occhi dello straniero, quindi un segreto, si trova in un midràsh molto antico, del tempo della Mishnah:
uando i peccati causarono che i gentili entrassero a Gerusa- lemme, Ammoniti e Moabiti si unirono con loro ed entrarono
29Loyoth è connesso con la radice che significa unire, coniugare, da cui
“compagni”, coniugi; vedi http://juchre.org/talmud/yoma/yoma3.htm.
sciuto, ma è sempre stato attivo (Orlov 2012, 138 n. 69). Nella successiva mistica ebraica, infatti, l’immaginario dei cherubini nel Santo dei Santi è stata interpretata come l’unione coniuga-
le tra maschio e femmina. Così, in Zohar III.59b si può trovare
la seguente tradizione:
R. Shim‘òn era sul punto di andare a visitare R. Pinchàs ben Yaìr, insieme con suo figlio R. El‘azàr. uando li vide esclamò: ‘Salmo dei gradini: Guarda quanto è buono e quanto piacevole per i fratelli dimorare insieme in ‘unità’ (Salmo CXXXIII, 1).”
L’espressione “in unità”, disse, si riferisce ai cherubini. uando i loro volti si volgevano l’uno verso l’altro, il mondo procede- va bene “quanto è buono e quanto piacevole”, ma quando il maschio distoglieva la sua faccia dalla femmina, il mondo era malato. Adesso, anch’io vedo che tu sei venuto perché il ma- schio non guarda la femmina. Se vieni solo per questo, torna, perché lo vedo che in questo stesso giorno la faccia dell’uno sarà di nuovo voltata verso l’altra.’” [Sperling e Simon 1933, 5:41].
Un altro passo dello Zohar (III.59) parla anche dell’u-
nione coniugale dei cherubini:
Allora il sacerdote ascoltava la loro voce nel Santuario, e pone- va l’incenso al suo posto con tutta la devozione, affinché tutti potessero essere benedetti. R. Yosé ha detto: La parola “devo- zione” (mesharìm) nel verso sopra citato indica che i cherubini
erano maschio e femmina. R. Yitzhàq disse: ‘Da questo impa- riamo che dove non c’è unione di uomini e donne, gli esseri umani non sono degni di vedere la Presenza Divina’.
I rituali ierogamici erano ampiamente diffusi nel Vici- no Medio Oriente per tutto il periodo biblico, ma la religione ebraica è sempre autodefinita in feroce polemica con queste
è il più potente dei dispositivi sociali per preservare l’identità (Halbwachs 1925; Assman 1992), quindi le loro narrazioni sono molto significative. In effetti, il disprezzo specifico degli stranieri che essi temono – quello sul lato iconico e sessuale dei cherubini – non si realizzò: nella storia sono stati proposti molti altri motivi per odiare gli ebrei, ma non questo. I “paga- ni” non li “disprezzavano” per una presunta idolatria, cioè per avere una fede troppo ampia, al contrario, li “disprezzavano” per loro rifiuto di credere in un Messia o in un Profeta, cioè per avere una fede “troppo ristretta”, essere “perfidi”. uindi dobbiamo considerare le loro preoccupazioni piuttosto come un segno di disagio interno:
I cherubini sono la nostra nudità; un momento vulnerabile, un momento che mette in discussione le fondamenta dell’ebrai- smo normativo, per cui Dio non ha faccia ed è senza nome; una crepa nel sancta sanctorum. Forse, il sacro richiede incoerenza e
ambiguità anche se può mettere in imbarazzo31.
In un quadro diverso, Jacques Lacan e Jurij Lotman lo hanno notato: ogni sistema di significato deve avere il suo