ueste considerazioni sono particolarmente importanti per il fatto che nel versetto successivo (15), in perfetta continuità con quelli precedenti, viene fornita un’ulteriore autonomina- zione, che introduce solennemente nel gioco il Nome Tetra- gramma:
15. E disse ancora Elo-hìm a Mosè: “Così dirai ai Figli d’Israele: Y-H-W-H Elo-hìm dei vostri padri, Elo-hìm di Abramo, Elo- hìm di Isacco ed Elo-hìm di Giacobbe, mi ha mandato a voi.
uesto è il Mio Nome per sempre: e questo il ricordo di Me di generazione in generazione.
Elo-hìm dunque si ripresenta qui nella modalità dell’an- teriorità che abbiamo discusso sopra (“il Dio dei vostri padri”),
nemente accordato un carattere di eternità: si tratta di un Nome “per sempre”, le‘olàm, che verrà impiegato dalle generazioni futu-
re come “ricordo”, zichòr. Sono queste espressioni tutt’altro che
scontate e banali, proprio per il loro oggetto. Il ricordo è un tipico obbligo della legge ebraica: per esempio, la quinta Parola del Deca- logo impone di “ricordare il sabato”; e altrove è prescritto anche di
“ricordare il male di ‘Amalèq”, nemico archetipo del popolo ebrai- co. Ma, rispetto al Nome di Dio, questa preoccupazione sembra un po’ strana. Ha senso infatti imporre di ricordare solo qualco- sa che sia a rischio di oblio. uanto alla caratteristica di Nome “perpetuo” o “per sempre”, che può voler dire anche “universale”, dato che ‘olàm significa sia “eternità” che “mondo”/“universo”, la
tradizione ebraica la interpreta piuttosto in senso inverso, come si vede dal commento di Rashì:
uesto è il Mio Nome perpetuo — L’espressione le‘olam (= per-
petuo) è scritta nel testo biblico senza la vav50, per cui può es-
si riferisce alla vicenda di Elia dove si legge: “Y-H-W-H è Elo-hìm”, Y-H- W-H hu ha-Elo-hìm., uesto versetto viene usato, ripetuto dieci volte, per
concludere la liturgia della più importate ricorrenza religiosa ebraica, Yom Kippùr. Vale anche la pena di notare che la stessa direzione dell’equazione
fra i due Nomi è proclamata nella principale dichiarazione di fede ebraica, lo “Ascolta Israele”, lo Shema‘ Israel, dove si afferma che “Y-H-W-H è il
nostro Elo-hìm, Y-H-W-H è uno” (un’altra traduzione: unico). uel che si sembra sottolineare con queste formulazioni è che l’aspetto divino della misericordia genera quello delle regole, cioè, in definitiva, che la Legge è un
aspetto della misericordia divina; non si parla invece di un Dio severo, che, a un certo punto, prenda la maschera della misericordia.
50 La vocale o in ebraico, normalmente non scritta come tutte le vocali,
viene indicata di solito in certe parole da una lettera vav che dà l’indicazio-
ne del suono. L’uso di consonanti usate solo per indicare una vocale (ma- tres lectionis) è una caratteristica dell’ebraico. Ma la vocalizzazione può
farò uscire da sotto i fardelli d’Egitto […]. 7. E prenderò voi per Me come popolo e sarò per voi come Elo-hìm. E saprete che Io
sono Y-H-W-H vostro Elo-hìm, Colui che vi fa uscire da sotto
i fardelli d’Egitto.
Il primo senso di questi versetti, particolarmente evidente in VI, 2, è dunque che il Nome Elo-hìm (il soggetto divino dello
strato più antico della Torah, secondo l’Ipotesi documentaria; op-
pure, piuttosto, il Nome che mette in evidenza l’aspetto divino del rigore e della giustizia, secondo l’interpretazione ebraica tradizio- nale), si riveli come Y-H-W-H, cioè il soggetto di uno strato più
recente, oppure l’espressione della misericordia divina: una iden- tità di grande significato teologico, il centro pulsante di quell’in- treccio onomastico che stiamo cercando di dipanare. I due Nomi, in realtà, erano già stati uniti – ma solo diegeticamente, mai nella
forma teologicamente assai più impegnativa di un’enunciazione divina – a partire dal secondo capitolo del Libro della Genesi48,
quando, dopo il primo racconto della Creazione, tutta attribuita a Elo-hìm, viene proposta una seconda narrazione che attribuisce
invece la Creazione a Y-H-W-H Elo-hìm. Ma ora l’identificazio-
ne è esplicita e programmatica: Elo-hìm afferma esplicitamente
di essere Y-H-W-H49. Ancor di più, a questo Nome viene solen-
48Genesi II;4: “ueste sono le origini del cielo e della terra quando furono
creati, nel giorno in cui Y-H-W-H Elo-hìm fece terra e cielo”.
49 E teologicamente critica, come mi ha atto notare Haim Bharier, perché
potrebbe far pensare a una sorta di incarnazione o di mascheramento del Dio della legge nella forma di un Dio della misericordia. Ma il rischio è che questa direzione di identità, se fosse presa in maniera assoluta e metafisica e non come un mutamento di atteggiamento nei confronti del popolo ebrai- co, potrebbe indicare l’assunzione di “un’identità fittizia o di una maschera di misericordia”. È importante notare che nella Bibbia ebraica viene stabili-
per l’assenza di vocalizzazione propria che abbiamo discusso. Esso ha anche il senso di de-automatizzare la lettura e di con- fermare il carattere problematico, non oggettivo o non cosale, dell’ontologia divina. Ne risulta una strana entità linguistica,
con tre significanti: uno grafico e due sonori che però non gli corrispondono alfabeticamente. Il significante grafico che trascriviamo qui con Y-H-W-H non è mai letto nella pratica
ebraica come è scritto: nessun ebreo si sognerebbe di pronuncia-
lo neppure mentalmente “Geova” o “Iaveh” come lo si trascri- ve talvolta nelle lingue occidentali. Anche come grafismo, esso è sottoposto a certe restrizioni: è proibito cancellarlo o butta- re un oggetto su cui stia scritto51, ma è anche proibito inter-
rompersi mentre lo si sta scrivendo, “si presentasse pure il Re” ovvero il Messia52. Perché tale complesso apparato semiotico?
Senza dubbio per stabilire una separazione, che in ebraico è il primo segno del kadòsh “sacro” ma anche “distinto”. uesto è
un caso assai notevole in cui la separazione non è solo enuncia-
51 Di qui l’istituzione nella comunità ebraiche di un deposito di carte in-
servibili, detto Ghenizah; in qualche caso, come in quello celebre del Cai-
ro, questi depositi si sono rivelati fonti archivistiche straordinarie.
52 Su questo punto e sulle sue conseguenze teoriche, vedi Emmanuel Le-
vinas 1982, cap. VIII. I Nomi che è proibito cancellare sono sette: E-l, Elo-hìm, Ad-onai, Y-H-W-H, Ehyeh-Asher-Ehyeh, Shaddai e Tzevaot
(quest’ultimo è il solo che non discuto in queste pagine). La proibizione dell’interruzione riguarda però solo il Tetragramma, stabilendo così una “gradazione” (Lévinas). Vi sono poi dei Nomi di dimensione maggiore, usati in contesti più mistici che liturgici. Vi è infine la convinzione qab- balistica che l’intera Torah sia un Nome divino, o il Suo anagramma. Di
qui il lavoro combinatorio della abbalah di Abulafia e dei suoi allievi, su
cui si può utilmente consultare il lavoro di Scholem. Non mi occupo qui di questi aspetti.
sere letta le‘alem, cioè ‘questo è il Mio Nome da tener nascosto’,
quasi per dire: “Tieni nascosto il Nome di Dio, affinché non venga letto come è scritto”.
Così vengo designato — Gli insegna come deve essere letto. Così
dice Davìd: “O Signore, il Tuo Nome è eterno e la Tua memo- ria è per tutte le generazioni”.
Nel momento stesso in cui il Nome viene annunciato, se ne prescriverebbero così quei limiti d’uso, che sono una ca- ratteristica importante della pratica religiosa ebraica: il Nome è eterno sì, ma deve essere tenuto nascosto e sostituito da un’altra parola, come abbiamo visto, in modo da non essere in alcun modo oggettivato o posseduto. Su queste analisi delle espressioni usate nel versetto, infatti, ancor prima che sulla se- conda “Parola” del Decalogo (“non pronunciare il Mio Nome
invano”, Esodo XX,7) si fonda infatti quella proibizione della
pronuncia di questo Nome, di cui ho già parlato: una regola che però alcuni storici fanno risalire solo all’epoca del Secondo Santuario, sostenendo che in antico il Nome venisse pronun- ziato. Non mi interessa discutere qui quest’ipotesi.
Certamente il doppio distacco fra grafismo e pronun- cia del Nome costituisce una peculiarità semiotica particolar- mente importante che, oltre ad avvolgerlo in una cortina di reverenza e di mistero, lascia indeterminato il suo significato,
essere notata con segni diacritici, anche senza la mater lectionis. Le parole
che normalmente le avrebbero, ma in un certo caso sono scritte senza di esse, sono dette difettive. uesta caratteristica ortografica, riprodotta ri-
gorosamente su tutte le copie del testo biblico, è giudicata dall’ermeneuti- ca ebraica un fatto significativo, suscettibile di interpretazione: come se in
italiano si traessero conclusioni semantiche dall’uso della “d” eufonica in “ed”, “ad” ecc. Su questo carattere di interpretazione totale e sul primato del significante che ne segue, rimando al capitolo precedente.
tradizione di lettura ebraica del testo. Nel Talmùd, testo canonico
dell’ermeneutica rabbinica, da un lato si racconta infatti di un Mosè che, pur essendo il primo depositario della Rivelazione se non il suo autore, si meraviglia e perfino non comprende gli sviluppi prodotti dai rabbini; dall’altro, si afferma che proprio a lui e alla sua ricezione vada attribuita qualunque “scoperta” fatta finora e anche in futuro da qualunque studioso legittimo53.