L’esempio dell’ermeneutica ebraica che ho iniziato a esplorare semioticamente in questo capitolo e che sarà sviluppato nel se- guito di questo libro, potrebbe essere giudicato un caso estre- mo. Di fatto non lo è, perché molti filoni interpretativi, dalla psicoanalisi alla critica artistica e letteraria, funzionano secondo principi almeno parzialmente analoghi. Ciò che rende partico- larmente interessante questo caso è il fatto di essere perfetta- mente lucido e autocosciente: al di là di certe espressioni un po’ mitiche che amano impiegare ogni tanto, i maestri del Talmùd
e i loro successori sono intellettuali raffinati e ipercritici educati a una disciplina testuale particolarmente rigorosa anche perché organizzata in contraddittori e discussioni continue.
Le pratiche ermeneutiche che ho analizzato non dovreb- bero essere considerati esempi di “decodifica aberrante” o di “se- miosi ermetica”92, per citare delle categorie semiotiche con cui si
92 Cfr. Maria Pia Pozzato (1989), Umberto Eco (1990). In particolare, si veda
il paragrafo dedicato a “Il paradigma del velame”, pp. 89 sgg., in cui sono ac- cennate alcune delle problematiche che ho sviluppato in questo capitolo.
uesto è il principio di controllo ermeneutico fondamentale e questa è anche la ragione per cui in questi testi sono con- servate anche quelle che nel linguaggio giuridico anglosassone chiameremmo oggi “dissenting opinions”.
Conseguenza ulteriore di tale obiettivo interpretativo è la domanda tipica che viene posta nella tradizione ebraica al testo da interpretare: non ci si chiede tanto “che cosa voglia dire questo versetto”, cioè quale sia il suo significato inteso da una volontà autoriale, o il suo riferimento; bensì “che cosa esso ci insegni”, cioè quale sia il suo valore per noi, la sua possibile
capacità di guida pragmatica o di arricchimento cognitivo rap- portato ai lettori effettivi di un certo tempo e luogo.
Il principio metacomunicativo del trarre insegnamen- to, che a differenza di quello del ricevere informazione implica
nell’attribuzione del senso un primato del lettore e dei suoi bi- sogni, delle sue domande, delle sue pertinenze sulla semplice riproduzione dei contenuti, sulla fedeltà al proprio significato iniziale, è fondamentale in queste pratiche interpretative e for- se non solo in queste.
L’insegnamento – almeno l’insegnamento di una sa- pienza, ma forse questo discorso si può estendere all’appren- dimento di molti saperi, dal saper fare pratico di una tecnica a quello teorico di una scienza viva come la matematica – è pro- duttivo nel senso che, quando funziona, trasforma chi lo riceve
e rende la sua comprensione più ricca e vasta anche rispetto a ciò che letteralmente gli viene insegnato, perché ciò, oltre a essere una conoscenza valida in sé, è sempre anche esempio di
un sapere più vasto, che deve essere realizzato personalmente, esteso, riprodotto. In altri termini, non si tratta solo di pro- durre un interpretante, in senso peirceano, cioè un altro segno che dica la stessa cosa; ma di dire qualcosa di più, di spostarne
esaminata finora nei suoi esempi ebraici, e dunque in quanto distinta dalla comprensione naturale è formalmente una propo- sta di sostituzione/equivalenza testuale. L’interprete estrae dal
testo (T) che gli interessa un frammento o una caratteristica del significante (x) e propone di leggere il testo (anche come se
al posto di (x) ci fosse un altro frammento testuale (y), di soli- to più vasto e più esplicito. Per usare una formula riassuntiva mnemonica, interpretazione è l’operazione per cui T(x)→T(y).
uesta sostituzione produce un nuovo testo più ampio,
che naturalmente richiede di essere a sua volta compreso, il che significa che dal punto di vista teorico l’interpretazione presup- pone sempre la comprensione. Un secondo aspetto da sottoline-
are è che quel che accade qui è una sostituzione di significanti,
cioè un processo che potremmo cercare di comprendere nei termini di una teoria peirceana dell’interpretante, inteso come nuovo representamen che sostituisce il primo. La differenza è
che il nuovo segno non si riferisce necessariamente alla stessa cosa, non è affatto equivalente dal punto di vista della significa-
zione. Come abbiamo visto, accade che esso non riformuli il si- gnificato, ma trovi nuovi significanti per il significante dato, cui
esso alluderebbe, al di là del suo senso naturale. È qui che ha radici il primato del significante di cui ho parlato: il significato
interpretativo è un effetto del confronto di due significanti e anche la sua giustificazione avviene sul piano del significante.
In questo senso l’interpretazione lavora certamente sull’intenzione del segno (sul suo “tendere a”, sul suo “voler
dire”) ma solo in senso oggettivo, cioè a partire dal fatto che il
testo si può leggere anche secondo questa nuova equivalenza
proposta. Per questa ragione l’interpretazione esplicita non è esclusiva, si pone rispetto alle altre che riguardano lo stesso te-
sto in termini di vel e non di aut. Infine la proposta di equiva-
sarebbe tentati di etichettarli, dato che esse, come ho mostrato, sono canoniche e non polemiche, applicate con metodo e ge- neralmente accettate nella loro cultura di riferimento, pubbli- che e non ermetiche o segrete; anzi, sono materia obbligatoria e centrale di insegnamento nel curriculum tradizionale degli studi ebraici, e infine perché esse convivono tranquillamente con un riconoscimento del senso letterale del testo e della sua verità93.
In realtà si tratta di una codificazione specialistica di un uso molto generale del termine “interpretazione”, quello stesso che riguarda sogni, comportamenti, quadri, film, configurazioni di gioco ecc.: non ciò su cui ha lavorato finora la semiotica, vale a dire l’equivalente della comprensione o il correlativo di una signi- ficazione volontaria, e neppure l’individuazione del senso unico di
un testo (o dei pochi sensi attivati da esso con sfortunata ambi- guità), ma la capacità di riferire una configurazione significante a molteplici fattori, di mostrarne le coerenze, individuarne le perti- nenze. I principi strutturanti del primato del significante, dell’au-
tonomia del testo, dell’attribuzione semisimbolica del senso, della piega del testo su se stesso come principio di spiegazione,
dell’interpretazione fiduciaria e caritatevole, sono tutti inerenti alla maggior parte delle pratiche semiosiche e richiedono certa- mente una teoria adeguata, che ancora manca.
Non è possibile cercare di sviluppare qui una teoria se- miotica su questi fenomeni, anche perché la storia della no- zione di interpretazione e delle sue pratiche è talmente ricca e interessante da imporre una riflessione preliminare su di essa; ma vale la pena di accennare brevemente a quali potrebbero es- sere i suoi termini. L’interpretazione esplicita, come l’abbiamo
93 Su questo punto, per una storia e una discussione, vedi David Weiss