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sostegno della

candidatura dei siti

minerari del Monte

Amiata ( Abbadia San

Salvatore, Morone, Siele)

Elementi importanti a sostegno della candidatura dei siti del Monte Amiata sono il fatto che essi possano essere considerati testimonianze di un importante interscambio di valori umani - in un arco di tempo o in un'area culturale del mondo - sugli sviluppi dell'architettura o della tecnologia; dell’urbanistica o della progettazione del

paesaggio. Inoltre si tratta di un esempio eccezionale di un tipo di costruzione, complesso o paesaggio architettonico o tecnologico che illustra una tappa significativa nella storia umana. Rispetto ai casi di Almadén e Idrija i siti dell’Amiata forniscono testimonianze di architetture industriali e di

inserimento delle installazioni nel paesaggio che ne fanno un importante documento integrativo dello sviluppo ( in particolare nel corso del ventesimo secolo)

dell’estrazione del mercurio. Per le loro peculiarità questi siti presentano caratteristiche che ne sostengono autorevolmente la candidatura ad una nomina seriale.

Inoltre questi siti si prestano ad una valorizzazione turistico- museale poichè sono già stati oggetto in parte di

un’operazione di bonifica.

Bonifica

La grande capacità

dimostrata dalle amministrazioni nel compiere complessi

interventi di bonifica non si è finora accompagnata ad altrettanta capacità di

valorizzazione patrimoniale: le aree decontaminate (Siele e Morone) restano chiuse al pubblico e nessun progetto di musealizzazione dei siti è stato ancora messo in attuazione.

Se patrimonializzazione significa gestione organizzata di luoghi e beni dalla cui

frequentazione il pubblico ricava conoscenze e emozioni riguardo alla storia passata, è possibile affermare che il bilancio delle cose fatte è assai modesto rispetto alle potenzialità del patrimonio disponibile.

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CLXXVIII Fino ad oggi a Abbadia S.

Salvatore, risultano regolarmente accessibili soltanto il Museo minerario, provvisoriamente allestito nell’edificio Torre dell’Orologio (in attesa di un suo definitivo trasferimento nella ex-officina dove un nuovo progetto di allestimento è in corso di elaborazione) e un sotterraneo minerario artificialmente

ricostruito dove sono state simulate, ad uso didattico, le differenti tecniche di

armamento delle gallerie e i diversi metodi di estrazione del minerale. L’area metallurgica, quella che offre la

rappresentazione più

completa in Europa delle fasi di lavorazione del mercurio, resta invece inaccessibile fin quando gli interventi di decontaminazione, già programmati, non saranno eseguiti. Invece per i siti già bonificati del Siele e del

Morone, dove non sussiste più alcun rischio per eventuali visitatori, il mancato avvio della musealizzazione rischia di tradursi in un inquietante fattore di rischio: l’assenza di gestione comporta mancanza di manutenzione e la

mancanza di manutenzione espone le strutture a un secondo ciclo di degrado dovuto a fattori naturali che prendono piede

inevitabilmente quando non sono attivamente contrastati. Nonostante le vernici

protettive apposte a

conclusione della bonifica, la prolungata esposizione alle

intemperie dei forni Pacific del Siele è causa di una

allarmante ripresa della

ruggine su molti elementi delle strutture metalliche. Lo

stabilimento dei forni Spirek nella miniera del Morone, non adeguamento protetto, è diventato un habitat per colonie di pipistrelli che, una volta insediatesi, hanno iniziato a infestare lo spazio interno dei loro escrementi. La vegetazione spontanea, non arginata a dovere, ha invaso spazi che non avrebbe dovuto occupare, ecc. Sono fenomeni spontanei che

immancabilmente si manifestano quando ai siti recuperati non vengono assegnate nuove funzioni. Se questi fattori di degrado non vengono tempestivamente contrastati non è da escludere che, in un futuro prossimo, si debba avviare un nuovo programma di interventi di risanamento e restauro.

Tale inerzia appare sconcertante se si

considerano gli ambiziosi propositi con cui nel 2002 è stato costituito il "Parco

Nazionale Museo delle Miniere dell’Amiata" che tra i suoi compiti, come si legge nella scheda informativa sul sito internet, “oltre alla messa in sicurezza, al recupero dei manufatti e alla tutela

ambientale dei siti minerari, ha quelli non meno significativi della conservazione degli archivi, della promozione degli studi, della raccolta delle testimonianze e della

valorizzazione ai fini turistici del territorio del Parco”.

Ad Abbadia San Salvatore, il sito non è accessibile al grande pubblico. Lo stato pericolante delle strutture, le insufficienti condizioni di sicurezza all’interno degli stabilimenti e, soprattutto i livelli di contaminazione dei luoghi hanno impedito l’allestimento di qualunque percorso di visita.

L’inquinamento da mercurio dell’area mineraria rappresenta l’inconveniente maggiore. I costi di bonifica sono elevati e l’onere, per legge, ricade sulle società titolari della

concessione mineraria il cui interesse è quello di procedere alla decontaminazione del sito al costo minore possibile, logica che potrebbe portare a scegliere come soluzione più conveniente una bonifica a “tabula rasa” con conseguente liquidazione dell’intero

patrimonio minerario. In Amiata è stato seguito un percorso diverso che è riuscito a conciliare gli opposti obiettivi degli attori in gioco: da un lato le amministrazioni comunali, desiderose che gli interventi di bonifica non avvengano a scapito del mantenimento del patrimonio minerario; dall’altro le società concessionarie che aspirano a liberarsi il più rapidamente possibile degli obblighi di legge relativi alla messa in sicurezza e alla bonifica delle aree.

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CLXXIX La soluzione adottata è

stata quella di trasferire l’assolvimento di questi obblighi direttamente alle amministrazioni locali alle quali sono state erogate, da parte delle società

concessionarie, le risorse previste per le bonifiche. Attraverso questo scambio, le società riescono a

disimpegnarsi dai propri obblighi, le amministrazioni, invece, addossandosene la responsabilità, hanno

provveduto (grazie alle risorse ottenute) a effettuare

interventi di bonifica che non andassero a scapito del patrimonio minerario esistente. Ad Abbadia, il piano di bonifica è stato recentemente approvato nel 2012 e prevede la

conservazione pressoché integrale degli impianti e degli edifici esistenti. Mentre invece i casi delle miniere del Siele e del Morone, già bonificate,

offrono la dimostrazione esemplare che la bonifica dal mercurio possa essere condotta senza distruggere gli impianti inquinati. In ambedue i siti gli interventi di decontaminazione sono stati effettuati senza ledere il principio di integrità del patrimonio. L’inquinamento di tali aree è stato provocato, a suo tempo, non dal minerale estratto, il cinabro, ma dalla sua lavorazione per la trasformazione in

mercurio che, durante la cottura, sprigionava vapori che fuoriuscendo dagli

impianti si depositavano nell'ambiente. I vapori potevano disperdersi nell’atmosfera durante le operazioni di caricamento dei forni (inconveniente in seguito risolto con l’introduzione di una doppia valvola che impediva il rilascio di esalazioni durante le ricariche), oppure

fuoriuscivano dalle giunture delle serpentine di

condensazione (composte di elementi in terracotta innestati a bicchiere). Inoltre, per

l’inefficace controllo del tiraggio dei fumi, non tutto il vapore riusciva a condensarsi nelle storte; una certa

quantità proseguiva il suo tragitto nella condotta fumaria e dalla ciminiera si diffondeva nell’ambiente esterno. Queste esalazioni, ricadendo,

andavano a impregnare in modo diverso i materiali con

cui erano realizzati gli edifici e gli impianti. Volendo

procedere ad una bonifica dell’area che non fosse lesiva del patrimonio esistente i tecnici incaricati

dell’intervento hanno messo a punto tecniche di

decontaminazione specifiche per ogni materiale (cemento, intonaco, metallo, mattoni refrattari, legno, ecc.). Grazie alla loro applicazione, la bonifica della miniera del Siele ha potuto essere eseguita preservando un patrimonio eccezionale per quanto riguarda la metallurgia del mercurio: in questo sito sussistono infatti tipologie di forno di cui la miniera di Abbadia è carente e che quindi completano il catalogo degli impianti metallurgici ancora presenti nelle miniere dell’Amiata.

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CLXXX Quella del Siele è la prima

miniera del territorio amiatino ad essere stata coltivata in epoca moderna. La

distribuzione dei suoi impianti, ai lati del torrente omonimo, sfruttava la pendenza naturale del terreno per assecondare, con un’organizzazione “a cascata” delle fasi di

trattamento, il trasferimento del minerale da una lavorazione all’altra. Nonostante le sostituzioni avvenute in passato, restano ancora testimonianze importanti degli stabilimenti più antichi.

Dopo l’intervento di bonifica tramite sabbiatura e verniciatura delle parti

metalliche, oggi la batteria dei forni Pacific risulta accessibile al pubblico fino alle piattaforme più elevate dove avveniva il carico del minerale da cuocere. Non tutte le torri di condensazione sono state salvate, ne resta comunque una che, insieme al salvataggio della condotta fumaria

costruita con grandi blocchi in pietra (con sopra incisi i nomi degli scalpellini che vi avevano lavorato) e della ciminiera, fornisce la sequenza completa delle fasi di lavorazione del mercurio.

La planimetria della miniera del Morone (1961) mette in evidenza uno schema planimetrico rigorosamente impostato su una trama ortogonale rispetto a cui sono allineati ordinatamente gli impianti superstiti dell’antica area mineraria: l’impianto di

frantumazione e i nastri trasportatori, gli asciugatoi, lo stabilimento dei forni Cermak- Spirek e un forno Pacific entrato in funzione nel 1964.

All’interno dello

stabilimento, recuperato e messo in sicurezza mediante ricostruzione delle coperture e di alcune murature, sono ancora visibili le “impronte” dei Cermak-Spirek (che,

purtroppo, non hanno potuto essere salvati), mentre

permangono le strutture

murarie di due forni a torre che vennero installati in loro

sostituzione dopo il 1951. L’impianto dei Pacific è però sopravvissuto ; attraverso una delicata operazione di ripulitura è stato possibile preservare i due forni rotativi verticali (visitabili fino alla piattaforma più elevata) e una delle due torri di condensazione. Inoltre sono stati messi in sicurezza, mediante rifacimento delle coperture, lo stabilimento della frantumazione e quello degli essiccatoi. A bonifica conclusa il bilancio della conservazione appare dunque soddisfacente: nel suo insieme lo stabilimento minerario del Morone offre ancora una testimonianza efficace delle sue fasi di attività: una testimonianza parziale, ma non trascurabile, degli impianti che hanno operato nella prima metà del Novecento e una

testimonianza pressoché integra della tecnologia in uso nella seconda metà del secolo.

La bonifica dei suoli effettuata fra il 2005 e il 2007 replica, in buona misura, l’esperienza precedentemente condotta sulla miniera del Siele: rimozione dei terreni limitrofi allo stabilimento dei forni Spirek e loro

trasferimento entro una vasca di stoccaggio (15.000 metri cubi di capacità) ricoperta con un coperchio di argilla,

livellamento e copertura dei depositi di sterili e, infine, deviazione del fosso Canala entro un nuovo alveo più esterno al sito minerario onde evitare ogni pericolo di

contatto fra l’acqua e i

materiali contaminanti interrati. Gli interventi hanno

comportato inevitabilmente un innalzamento della quota del terreno (come visibile dal confronto tra la foto anni 1950 e quella attuale). La morfologia del suolo si è quindi modificata rispetto a quella esistente quando la miniera era in attività, il luogo ha

inevitabilmente perso qualcosa in termini di “autenticità”, ma anche in questo caso il compromesso raggiunto con gli imperativi di legge per la bonifica dei suoli ex- minerari segna un risultato più che soddisfacente.

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CLXXXI

Sviluppando le premesse

accennate, i criteri

applicabili possono

essere:

Criterio (iv):

L’estrazione del mercurio si è svolta in un numero molto

limitato di miniere, tra le quali le due più grandi erano quelle di Almadén e Idrija, seguite in terza posizione dal complesso

dell’Amiata . Verso la metà del XIX secolo, geologi e ricercatori cominciarono ad esplorare il territorio dell'Amiata alla ricerca di giacimenti di cinabro per la produzione del mercurio. Le prime ricerche non ebbero molto successo, vennero

abbandonate e poi riprese, sino a quando, nel 1897, le nuove esplorazioni portarono alla individuazione di un giacimento in località le Lame che si

dimostrò essere il più

importante della zona. In seguito a questi ritrovamenti il 20 giugno 1897 fu fondata a Livorno da Vittorio Emanuele Rimbotti in associazione con uomini d'affari tedeschi la Società Anonima delle Miniere di Mercurio del Monte Amiata che, nell'agosto dello stesso anno, dopo aver acquistato terreni in località Le Lame e l'Ermeta, avviò la costruzione dello stabilimento metallurgico. L'infrastruttura tecnica dello stabilimento, progettato dal direttore tecnico Friedrich Amman con la

collaborazione dell'ingegnere

Vincenzo Spirek, era composta di quattro forni Cermak-Spirek muniti di condensatori e ventilatori, da un'officina meccanica e da un piccolo bacino idrico per la produzione di energia elettrica. Il 31 gennaio 1899 con l'accensione dei primi forni entra in attività la miniera di Abbadia San Salvatore.

Durante i primi anni del XX secolo, la miniera fu in continuo fermento: si acquistarono nuovi terreni, si aprirono nuove

gallerie, vennero costruiti nuovi impianti secondo le tecnologie più avanzate, si accrebbe il numero di minatori occupati e aumentò la produzione di mercurio che dal 1900 al 1920 passò dall’8% al 25% dell'intera produzione mondiale.

Contemporaneamente si potenziò la struttura finanziaria con l'entrata nella società di un nuovo partner: la Banca

Commerciale Italiana.

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CLXXXII Allo scoppio della prima

guerra mondiale i ritmi di lavoro in miniera erano elevatissimi. La produzione venne requisita dalle autorità militari. I tecnici tedeschi partirono da Abbadia e il controllo finanziario e direzionale della Monte Amiata passò totalmente in mani italiane (la Banca Commerciale Italiana). Dopo la guerra la Monte Amiata venne a beneficiare di una solida situazione finanziaria. Vantava un'organizzazione tecnico-produttiva

all’avanguardia: nel 1925 la miniera di Abbadia, ormai sviluppata in sotterraneo per oltre dieci livelli, disponeva di tre asciugatoi rotativi, di sette forni Cermak-Spirek a cupole e di quattordici forni a torre Spirek. L’attività proseguì con regolarità fino al 1930

quando, a cuasa della grande crisi economica mondiale, si dovette far fronte alla forte contrazione delle vendite e dal sensibile calo dei prezzi sul mercato mondiale. Nel 1932 il ministero dell’industria accolse la domanda della Società Monte Amiata di cessare i lavori. Il personale venne drasticamente ridotto alle sole necessità di

manutenzione delle gallerie. Il salvataggio economico della miniera fu possibile grazie all'intervento dell'IRI che dispose il trasferimento della Monte Amiata all’industria di Stato. Ciò consentì, nel 1936, la ripresa dei lavori che

continuarono a ritmi

regolari fino a tutto il 1943. Con il passaggio della guerra, nel 1944, la produzione venne

dimezzata anche a causa dei danni subiti dagli impianti: furono distrutti tutti i forni Spirek, la cabina di trasformazione e le installazioni dei pozzi. Fortunamente la centrale idroelettrica e buona parte del materiale e delle attrezzature,

opportunatamente

occultati, si salvarono. Nel 1946 l'attività produttiva della miniera raggiunse nuovamente i valori d'anteguerrra con 30.000 bombole prodotte e

l'impiego di circa 950 operai. Dal 1948 sino alla fine degli anni 1950 l'attività mineraria conobbe periodi alterni: a piccole crisi, con

conseguente diminuzione della produzione e della manodopera, si

susseguirono periodi di ripresa produttiva dovuta al buon andamento del mercato internazionale del mercurio. Vennero potenziati i lavori in profondità con la realizzazione di nuovi pozzi (Garibaldi e San Callisto) e furono installati nuovi forni a tencologia più avanzata (Gould), migliorarono le condizioni lavorative dei minatori sia sotto terra che nello stabilimento

metallurgico. Per tutti gli anni 1960, nonostante l'instabilità del mercato, l’aumento delle

giacenze di bombole

invendute e la riduzione della manodopera, l’attività

produttiva e di ricerca

continuò e vennero apportati, in adeguamento

all’evoluzione delle tecniche minerarie, miglioramenti alle metodologie di lavoro,

all’ambiente di cantiere e alle condizioni di sicurezza. Intorno al 1969-70, si aprì una crisi del mercurio a scala mondiale. Essa fu causata principalmente da motivi ecologici e da una più diffusa consapevolezza degli effetti inquinanti dell’impiego del mercurio nell’industria chimica.

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CLXXXIII Ciò fece scattare, nelle

nazioni industrialmente più progredite, l’emanazione di norme assai restrittive riguardo all'uso del minerale. Ne derivò un'intensa ricerca di prodotti sostitutivi. Al rischio ecologico si aggiunse l'arrivo di nuovi produttori, principalmente dai paesi in via di sviluppo, in grado di praticare prezzi di vendita molto bassi e quindi assai concorrenziali. A causa di queste difficoltà l’intero bacino mercurifero del Monte Amiata, compresa la miniera di Abbadia San Salvatore, cessò

definitivamente la sua attività nel 1972.

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CLXXXIV Nel loro complesso i siti

minerari di Amadén, Idrija e dell’Amiata, costituiscono il patrimonio più importante lasciato dalla estrazione intensiva del mercurio, in particolare nei periodi moderni e contemporanei. Queste testimonianze, integrandosi reciprocamente, costituiscono un eccezionale documento dei vari elementi architettonici, industriali, territoriali, urbani e sociali di un determinato sistema tecnico nei settori minerario e della produzione di metalli. Le peculiarità principali del complesso di Abbadia San Salvatore sono quelle di

documentare esaurientemente i procedimenti di estrazione e lavorazione del mercurio negli ultimi due secoli della sua produzione e di preservare un gruppo di edifici progettati dall’architetto e urbanista Eugenio Montuori (1907- 1982) dalla fine degli anni 1930, che debbono essere considerati una significativa testimonianza dell’ultima stagione dell’architettura razionalista in Italia. Componente del Miar, presente alle due mostre di architettura razionale italiana di Roma del 1928 e del 1931, Montuori aveva ottenuto il primo premio nei concorsi per il piano regolatore di Cagliari (1932), di Arezzo e di Livorno (1933) e il secondo premio in quello di Pisa (1933). Aveva inoltre fatto parte con Gino Cancellotti, Luigi Piccinato e Alfredo Scalpelli del gruppo

vincitore del concorso per il piano regolatore di Sabaudia, una delle nuove città di fondazione dell’Agro Pontino,

città-paesaggio incuneata tra una selva e un lago, presenta una decisa impronta

razionalista. Nel 1936

Montuori era stato affiancato dall’Azienda carboni italiani (A.Ca.I.) a Cesare Valle e Ignazio Guidi, allora impegnati in Etiopia, nella realizzazione della città mineraria di

Carbonia nella zona del Sulcis in Sardegna, una delle più importanti città di fondazione del regime fascista,

rappresentativa delle sue ambizioni autarchiche, inaugurata il 18 dicembre 1938, dopo poco più di un anno di lavori di costruzione. Compito di Montuori era la redazione di un piano di ampliamento, comprendente il quartiere dirigenziale, che consentisse un aumento della popolazione dalle 20.000 unità inizialmente previste a 35.000. Suoi sono anche i progetti della villa del direttore, oggi adibita a sede del Museo archeologico, dell’albergo, della scuola elementare (oggi liceo classico), delle abitazioni dei funzionari e degli impiegati. Nel 1939 gli è stato

commissionato il progetto per la città di Pozzo Albona, in Istria (oggi Podlabin, Croazia), altro sito minerario che faceva capo all’A.Ca.I. Nel 1943 fondò con l’ingegnere Leo Calini lo Studio tecnico Calini e Montuori (SCM) per prepararsi

in maniera adeguata alla ricostruzione del dopoguerra. Calini, oltre alle capacità imprenditoriali affinate come dirigente di importanti società quali la Montecatini, aveva al suo attivo la realizzazione delle città operaie per l’A.Ca.I., attività che era stata occasione della loro prima collaborazione. A Carbonia nel 1936, infatti, Montuori era stato affiancato, in qualità di direttore dei lavori, da Calini.

Nel 1948 lo studio SCM vince, ex aequo con il gruppo

Annibale Vitellozzi, Massimo Castellazzi, Vasco Fadigati, Achille Pintonello, il primo premio per il nuovo fabbricato viaggiatori della stazione Termini di Roma, opera conclusa per il giubileo del 1950.

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CLXXXV L’edificio, soprannominato

«Servio Tullio prende il treno» per la vicinanza ai ruderi delle mura romane, riesce a

superare, proprio attraverso l’azzardo strutturale della pensilina rampante che si proietta sulla piazza, il

confronto con la storia antica e diventa auspicio di

rinnovamento urbano. La notorietà internazionale di Montuori è principalmente legata a questa opera che viene rapidamente

riconosciuta come una delle realizzazioni più

rappresentative della nuova architettura italiana degli anni della ricostruzione postbellica e come tale presentata nelle pubblicazioni di Kidder Smith. Questi riconoscimenti hanno procurato allo studio SCM importanti commesse

all’estero come la sede della società inglese Mitchell Cotts