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La miniera del Morone rappresenta un modello paesaggistico ancora diverso dai precedenti: non a contatto con strutture urbane preesistenti (come nel caso di Abbadia S. Salvatore), ma neppure eccessivamente distante da esse (come nel caso del Siele). Questa miniera ha potuto giovarsi della sua prossimità al centro abitato di Selvena dove sono state ubicate, oltre ad alcune case per impiegati, la residenza del direttore e un asilo. Le prime tracce di sfruttamento minerario in quest’area risalgono all’età etrusca; maggiori evidenze rimangono invece delle attività estrattive condotte in epoca medievale ad opera della famiglia Aldobrandeschi. La miniera del Morone è quindi la più antica fra le aree minerarie dell’Amiata e questo rapporto con l’ “antico”, più precisamente il rapporto fra patrimonio

industriale moderno e patrimonio archeologico medievale, è visibile con evidenza nell’accostamento spaziale fra i ruderi di Rocca Silvana (fortificazione eretta nel IX secolo sul poggio che domina l’area mineraria) e gli stabilimenti metallurgici

novecenteschi. La bonifica dei suoli effettuata fra il 2005 e il 2007 replica, in buona misura,

l’esperienza precedentemente compiuta sulla miniera del Siele: rimozione dei terreni limitrofi allo stabilimento dei forni Spirek e loro trasferimento entro una vasca di stoccaggio (15.000 metri cubi di capacità) ricoperta con un capping in argilla, livellamento e capping dei depositi di sterili e, infine, deviazione del fosso Canala entro un nuovo alveo più esterno al sito minerario, onde evitare ogni pericolo di contatto fra l’acqua e i materiali

contaminanti interrati.

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CLXXIV Le tre aree minerarie

sopraccitate, sono

paradigmatiche di tre modelli distinti di paesaggio minerario.

Gli stabilimenti e gli edifici della Monte Amiata appaiono oggi come un’ordinaria

estensione della maglia urbana. Questa “continuità” è tuttavia il frutto dell’intenso processo di modernizzazione che la città ha registrato con l’avvio della nuova fase economica centrata sull’industria del mercurio. Di modernizzazione sociale,

innanzitutto, se si pensa che già dal 1909, con il 15% della popolazione occupata in miniera, praticamente tutte le famiglie “abbadenghe”

dipendevano dalle attività della Monte Amiata. Ma soprattutto di modernizzazione dello spazio urbano se si pensa al nuovo paesaggio cittadino indotto dallo sviluppo dell’antico nucleo medievale (composto

originariamente dal vecchio borgo e dall’abbazia) verso monte dove si erano andati a insediare i primi stabilimenti minerari. Le realizzazione di nuove attrezzature urbane da parte dell’azienda mineraria (l’ospedale, i bagni pubblici, il cinema teatro, lo stadio, alcuni villaggi per impiegati e

sorveglianti) ha gettato le basi di quella crescita urbana primo novecentesca che ha portato la città a diretto contatto con la miniera. Nel punto di saldatura è stato attuato uno dei primi progetti di recupero delle

strutture minerarie dismesse: la creazione nel 1992 di un

“centro artigianale e per servizi” negli edifici prima occupati dai magazzini, dalla mensa, dalla pesa, dal laboratorio chimico e dal reparto di imbombolamento del mercurio. Il nuovo villaggio rappresenta il primo spazio all’interno del perimetro aziendale di cui ha preso possesso la città. Da allora molto tempo è trascorso, ma il progetto di bonifica appena approvato fa sperare che a questo primo sconfinamento della città nell’ex territorio minerario altri possano seguirne e aprire, finalmente, gli antichi luoghi di lavorazione mineraria alla fruizione pubblica.

Una situazione decisamente diversa, è quella del Siele. Per la sua lontananza dei centri abitati la miniera è stata l’unica, fra quelle dell’Amiata, a dotarsi di alloggi per i minatori, di una scuola, di una cappella per funzioni religiose e di uno spaccio di generi alimentari. In posizione dominante rispetto alla miniera fu costruita la villa del direttore, stilisticamente ispirata all’architettura delle ville di campagna in Toscana. Circondati da un fitto bosco composto principalmente da piante di cerro, carpini e abeti, gli impianti di lavorazione metallurgica sono adagiati sul versante sinistro di una valletta solcata un tempo dal torrente omonimo da cui veniva attinta l’acqua per il raffreddamento

delle serpentine e per il lavaggio dei forni. La morfologia del luogo - il declivio lungo cui sono ancor oggi disposti il reparto di frantumazione, gli essiccatoi, l’impianto di caricamento e i forni di arrostimento – è la preziosa chiave esplicativa che rende ragione

dell’organizzazione spaziale del ciclo metallurgico per il

trattamento del minerale. L’intervento di bonifica

ambientale, eseguito nel biennio 1999-2000, ha dovuto

affrontare la decontaminazione dell’area effettuata mediante asportazioni di terreno intorno agli impianti (talora fino a 6 metri di profondità ben oltre la quota di imposta delle fondazioni). Le aree maggiormente da

bonificare erano quelle adiacenti alle condotte fumarie e alla ciminiera, nonché quelle a valle dei forni Pacific. L’inquinamento era presente, tuttavia, anche in suoli dove, al momento

dell’intervento, non c’era apparentemente niente che ne giustificasse la presenza. Solo attraverso la ricostruzione storica della vita della miniera è stato possibile individuare inquinamenti in atto prodotti da impianti che esistevano in passato e di cui non restava più alcuna traccia riconoscibile in superficie. Tutto il materiale asportato è stato collocato in una vasca di stoccaggio (circa 20.000 metri cubi di capacità), ricoperto con un capping, costituito da 2 metri di strati di

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CLXXV argilla impermeabili e

infine ammantato da terreno vegetale. Nonostante questi movimenti del terreno, la morfologia del suolo è stata nel complesso conservata e il luogo conserva intatto il senso di un incontro riuscito fra mondo della tecnica e mondo naturale.

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CLXXVI 1 Massimo Preite Industrial

Heritage in Amiata ( Tuscany): Mercury Mines and Metallurgy in Patrimoine de l’industrie ( ressources, pratiques, cultures) quinzième année 2013/1

2 Impiego adottato negli USA dal 1915 al 1950. Sfruttava le maggiori

temperatura raggiunte con il vapore del mercurio rispetto a quelle ottenute con il vapor d'acqua.

3 Veniva impiegato nitrato di mercurio per il bagno della pelle onde rendere i peli più adatti alla feltratura.

Operazione pericolosa per gli addetti in quanto procurava loro avvelenamento da mercurio o idrarginismo.

4 Serviva alla fabbricazione del fulminato di mercurio, impiegato come innesco fulminante nei proiettili.

5 Produzione di diserbanti e antiparassitari per semi e granaglie.

6 Massimo Preite Industrial Heritage in Amiata ( Tuscany): Mercury Mines and Metallurgy in Patrimoine de l’industrie ( ressources, pratiques, cultures) quinzième année 2013/1

7 la miniera del Siele è stata la prima ad essere coltivata, questi tre nominativi sono da considerare i pionieri

dell'industria estrattiva del mercurio, non solo sull'Amiata, ma anche in Italia. Cesare Sadun, commerciante

appartenente alla comunità ebraica di Pitigliano, ha

convinto i suoi cognati, i fratelli Modigliani, della comunità ebraica di Livorno, ad acquisire i diritti di ricerca mineraria nei territori di Castellazzara, Santa Fiora e Piancastagnaio.

L'intervento finanziario di

Emanuele Rosselli, banchiere di Livorno, ha consentito l'avvio nel 1846 della produzione del metallo.

8 Massimo Preite, Archeologia industriale in Amiata, 2002 9 Maciocco G, Mambrini Stelvio, 2002 10 Il cinabro o cinnabrite o cinnabarite o solfuro di mercurio è un minerale di formazione idrotermale, appartenente alla classe dei solfuri dall'aspetto rossiccio; noto già ai Greci Chimicamente è un'unione di zolfo e

mercurio(formula chimica HgS) pertanto, dato il suo contenuto in mercurio, è da considerarsi minerale tossico. Da questo minerale, tramite arrostimento e successiva condensazione, si estrae il mercurio. Il cinabro, sia naturale sia sintetizzato, è stato usato pure in pittura per

produrre il pigmento vermiglione. Per circa un secolo (1870- 1970) è stata presente, nel territorio

dell’Amiata, un' intensa attività di estrazione industriale di cinabro. Da quarant’anni circa, per le motivazioni che più avanti saranno delineate, lo sfruttamento minerario del

cinabro è stato completamente abbandonato. A ricordare quelle vicende, nello stesso tempo produttive, economiche e sociali, rimangono oggi due musei evocativi, situati uno ad Abbadia San Salvatore e l’altro a Santa Fiora.

Il monte Amiata è un rilievo di natura vulcanica, in cui l’attività lavica, circa 300.000 anni fa ha sovrapposto rocce eruttive e colate di magma su una base argillosa legata

all’evoluzione del corrugamento della catena appenninica

risalente all’epoca paleozoica. Inoltre è sempre servito, fin dall'antichità, per separare l'oro dalle impurità dei minerali nei quali è contenuto. (Dario Menasce Diavolo di una particella, (2013), Hoepli , p. 9-10)

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Individuazione di