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CLXIV

Le MINIERE DI

MERCURIO IN AMIATA

( Abbadia San

Salvatore, Morone,

Siele)

Le miniere di mercurio di Almadén in Spagna e di Idrija in Slovenia sono state iscritte nella Lista Unesco del

Patrimonio mondiale

dell’umanità nel 2012. I due siti minerari rappresentano due centri primari di

produzione, ma il panorama europeo dell’industria mercurifera non risulterebbe completo senza prendere in considerazione un’altra importante area estrattiva, quella dell’Amiata in Italia che ha una storia decisamente distinta.

L’iscrizione seriale di Almadén e di Idrija poggia sul fatto che, a partire dalla

seconda metà del XVI secolo, il mercurio estratto da ambedue le miniere (allora direttamente controllate dalla Corona spagnola), veniva esportato verso le miniere d’argento del Nuovo Mondo (nella fattispecie verso la miniera di San Luis Potosí, México) per essere impiegato nell’amalgamazione del metallo argentifero con l’ausilio del “patio process”, escogitato da Bartolomeo de Medina nel 1557.

Grazie a questo metodo il mercurio è diventato uno strumento insostituibile nella

produzione dell’oro e

dell’argento: il metallo ricavato dai giacimenti di Idrija e

Almadén ha fatto la fortuna della Corona spagnola, della Casa d’Austria e dei Rotschild fino a quando l’avvento nel 1897 di un nuovo metodo più economico, il processo al cianuro, ha posto fine ai tre secoli di supremazia incontrastata dei siti minerari collocati sulle due sponde dell’Atlantico (Almadén e Idrija in Europa, le miniere argentifere nelle colonie del Nuovo Mondo) idealmente unite da un

Intercontinental Camino Real. La storia dell’estrazione mercurifera in Amiata comincia proprio al tramonto del binomio del mercurio e dell’argento che collegava le due sponde

dell’Atlantico. Comincia esattamente nel 1847 con

l’apertura dello stabilimento del Siele, cui fa seguito nel 1872 l’entrata in attività del

Cornacchino. La svolta decisiva si determina nel 1897 con l’apertura della miniera di Abbadia S. Salvatore per iniziativa di un gruppo di investitori tedeschi.1

Come ad esempio Filippo Schwarzemberg, ingegnere e finanziere tedesco, cui

subentrarono gli eredi, che fu il primo proprietario di Abbadia San Salvatore.

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CLXV Come ad esempio Filippo

Schwarzemberg, ingegnere e finanziere tedesco, cui

subentrarono gli eredi, che fu il primo proprietario di Abbadia San Salvatore.

Da questo momento in poi ai tradizionali impieghi del mercurio (nella produzione di colori a partire dal cinabro; nella industria farmaceutica; nella realizzazione di bulbi di mercurio per strumenti di misura, quali termometri, barometri, manometri, densimetri; nelle lampade a vapori di mercurio, nelle pile a mercurio, nei preparati

odontoiatrici, in colori e vernici, nelle centrali termo-elettriche a vapori di mercurio2;

nell’industria del cappello da feltro3; nella produzione di esplosivi o innescanti4; nella agricoltura5 , ecc.) si aggiunge e si accresce il ruolo

determinante di questa “materia prima” nell’industria degli

armamenti. Le due grandi guerre che funesteranno il XX secolo spiegano l’interesse delle potenze belligeranti per il rifornimento sicuro di questo metallo. L’Italia, povera di materie prime d’altro genere, dispone invece di importanti giacimenti mercuriferi in

Toscana. Il contenuto in metallo del cinabro amiatino (oscillante fra 0,75 e 3%, contenuto medio 1 %) è nettamente inferiore a quello di Almadén (tenore medio del 7 – 8%, fino a punte

del 20%). Tuttavia questa inferiorità di partenza non

impedirà alla produzione italiana (unitamente alle miniere di Idrija gestite dalla Monte Amiata dopo l’attribuzione all’Italia dei territori sloveni dopo la prima guerra mondiale) di collocarsi nel 1938 al primo posto nella graduatoria mondiale per quantità di minerale estratto (2.300 tonnellate contro le 1.232 tonnellate della Spagna). In quell’epoca le miniere di Almadén e dell’Amiata

proteggevano la propria attività estrattiva con un’intesa di cartello (Mercurio Europea) che le metteva al riparo dalla

concorrenza e dalle oscillazioni di prezzo. Tale cartello fu denunciato dalla Spagna durante gli anni della guerra civile. L’Italia ne approfittò per espandersi su altri mercati: le esportazioni di mercurio verso la Germania salirono così da 124,6 tonnellate nel 1929 a 882 tonnellate nel 1937. Nel 1939 il cartello italo-spagnolo fu rinnovato sulla base del

riconoscimento degli aumenti di produzione nelle miniere italiane durante gli anni della guerra civile in Spagna. Attraverso la stretta collaborazione politica fra Italia e Germania la

macchina bellica nazista si è garantita piena copertura del suo fabbisogno di mercurio. Nel dopoguerra la produzione del mercurio ha tratto impulso dagli aumenti di prezzo del minerale a seguito della guerra in Corea.

Conseguenze sono state la crescita del numero degli occupati e l’installazione di nuovi forni per incrementare la produttività degli impianti.

La fiammata, per quanto intensa, ha avuto breve durata. Già nel biennio 1958-59, si sono registrati i primi cali di produzione, ai quali hanno fatto seguito la lunga stagnazione degli anni 1960. Fra il 1959 e il 1965, nonostante il rinnovo degli impianti con l’installazione di nuovi forni Pacific e Nesa, la disoccupazione nella miniera di Abbadia S. Salvatore (la più grande delle miniere

dell’Amiata) è cresciuta del 34% .

Nei primi anni 1970, con l’accertamento della

pericolosità e tossicità del mercurio, la crisi della produzione ha assunto una dimensione planetaria e

irreversibile: fra il 1973 e il 1974 tutte le miniere amiatine hanno cessato la loro attività.6

Le miniere dell’Amiata, diversamente da quelle di

Almadén e di Idrija, vantano una storia di breve durata, poco meno di 130 anni dal 1847 al 1974. Tuttavia le vicende che si sono svolte in un arco di tempo così contenuto hanno

profondamente mutato le condizioni fisiche e sociali del territorio amiatino.

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CLXVI Fino alla metà del XIX

secolo l'Amiata era una delle zone più povere della

regione. Al confine fra lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana, per le sue condizioni di

isolamento rispetto alle vie di grande comunicazione era definita una "isola in terra ferma". Completamente ricoperto di boschi, con i principali centri abitati situati a corona della montagna fra i 600 e gli 800 metri di altezza, il territorio amiatino traeva sussistenza da una modesta attività agricola e da una pastorizia ancor più modesta.

L’inizio della moderna industria mineraria coincide con le attività di estrazione promosse nel 1846 dalla

Società Industriale Stabilimento Mineralogico Modigliani

(fondata a Livorno da Corrado Sadun e dai fratelli Modigliani7) nelle località Morone, Solforate e Siele. Nel 1862 le attività della Società Modigliani si scindono:

-  le miniere di Morone e di Solforate passano nel 1873 sotto il controllo di Filippo

Schwarzenberg, uomo d’affari tedesco, richiamato in Toscana agli inizi degli anni 1870 dalle opportunità di investimento che le scoperte di nuovi giacimenti lasciavano presagire; i due siti, insieme alla Miniera del Cornacchino, il cui sfruttamento era già stato avviato da Schwarzenberg nel 1872, saranno poi ceduti dagli eredi nel 1917 alla Monte Amiata, nuova denominazione della società che gestiva la miniera più grande, cioè quella di Abbadia S. Salvatore;

-  la miniera del Siele, una delle più importanti dell’Amiata, passò invece sotto il controllo totale della famiglia Rosselli e diventò come impresa privata l’antagonista storica della Monte Amiata, divenuta impresa pubblica nel 1933, anno in cui nel consiglio di amministrazione prevalse l’IRI come socio di maggioranza.

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CLXVII La Monte Amiata costituisce

l’evoluzione societaria

dell’iniziativa imprenditoriale più importante nella storia

dell’industria mineraria amiatina. Tutto comincia con l’arrivo di un gruppo di investitori tedeschi che nel 1897 costituiscono, con un uomo di affari locale, Vittorio Emanuele Rimbotti, la Società anonima delle miniere di mercurio dell’Amiata per lo sfruttamento di un vasto

giacimento cinabrifero in località Le Lame, a monte del centro abitato di Abbadia S. Salvatore.8 I siti minerari di Abbadia S. Salvatore, del Siele e del Morone rappresentano i poli principali del bacino mercurifero dell’Amiata, alla cui articolazione concorrono altri siti minerari minori (Abetina, Solforate, Cornacchino, Cortevecchia, ecc).9

I giacimenti metalliferi amiatini sono stati interessati precocemente da ricerche minerarie. La presenza del cinabro10, utilizzato fin dal Neolitico, ha spinto allo scavo di gallerie e cunicoli che tornarono in luce con i lavori dei primi anni del XX secolo. Nel corso di queste nuove ricerche sono stati ritrovati e recuperati anche strumenti da miniera realizzati in pietra e corno, provenienti dalle miniere delle Solforate, del Morone, del Siele, del

Cornacchino e di Cortevecchia. Da queste ultime località

provengono mazzuoli in pietra e zappette in corno di cervo,

databili sulla base del confronto con altri reperti spagnoli e portoghesi, fra la fine del Neolitico e l’Eneolitico. Nella miniera delle Solforate furono ritrovate tre mazze in legno ed un tronco di quercia fossilizzato, quest’ultimo utilizzato

probabilmente come armatura di un’antica galleria. In epoca preistorica si faceva uso del cinabro come colorante previa macinazione. L’uso della polvere di cinabro è stato rinvenuto nelle tombe delle necropoli

rinaldoniane a colorare i volti dei defunti. In epoca etrusca, il cinabro è stato usato come terra colorante, ma se ne ignorò l’impiego per la produzione del mercurio. Nel bacino

mediterraneo anche i Fenici e i Cartaginesi conoscevano l’uso del cinabro, non è certo tuttavia che disponessero delle

conoscenze indispensabili per ricavare dal minerale il mercurio. I Greci, invece, conoscevano il minerale ed il metallo: Aristotele chiama il mercurio Argento Vivo e Dioscoride nel 50 d.C. ricorda le proprietà del cinabro e del mercurio. Per l’epoca romana non si hanno informazioni certe riguardo l’uso del cinabro dell’Amiata, mentre è nota l’utilizzazione di quello proveniente dalle miniere

spagnole della Nuova Castiglia. I Romani comunque

conoscevano sia l’uso del cinabro che del mercurio.

Si può affermare che il patrimonio minerario dell’Amiata

è quasi interamente un

“patrimonio di superficie” nella misura in cui esso si compone essenzialmente degli stabilimenti di lavorazione del mercurio. L’eccezionalità storica e tecnologica di questo

patrimonio nasce dal fatto che la sua evoluzione è molto spesso avvenuta per

affiancamento dei nuovi impianti a quelli preesistenti, senza distruggerli. Certo, dal confronto delle planimetrie degli

stabilimenti amiatini in momenti diversi della loro storia, si

ravvisano notevoli cambiamenti; tuttavia la loro configurazione al momento della chiusura

(corrispondente alla

configurazione attuale) offre una sequenza incomparabile delle tecnologie di volta in volta adottate per la lavorazione del mercurio.

Le “stratificazioni” tecnologiche più complesse sono quelle ravvisabili nei tre siti principali dell’Amiata: le miniere di

Abbadia S. Salvatore, del Siele e del Morone.

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CLXVIII

La miniera di Abbadia