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L’influenza dei modelli psicodinamici: il caso dell’indagine psico-sociale

Abbiamo visto fin qui visto, come una relazione, specialmente se d’aiuto, possa subire

1.4 Il gioco della relazionalità nel social work: dai modelli teorici alla metodologia di intervento

1.4.1 L’influenza dei modelli psicodinamici: il caso dell’indagine psico-sociale

I modelli psicodinamici prendono spunto principalmente dalla psicoanalisi e pur differenziandosi in alcuni aspetti, partono dal presupposto che l'individuo ha una vita inconscia che influenza il suo rapporto con la realtà. Si fa riferimento a quei modelli che si caratterizzano per un’impostazione di tipo medico (presuppongono cioè l’esistenza di una patologia) e per un approccio di tipo individuale (Dal Pra Ponticelli, p.24). Questi modelli coprono un arco temporale che va dagli anni '20 agli anni '60, naturalmente con notevoli differenze. Inizialmente, si pone l’enfasi sui condizionamenti ambientali, successivamente, sullo studio della personalità umana (scuola diagnostica), fino a focalizzare l’attenzione sugli aspetti psicosociali della personalità. I modelli elaborati nel corso di tutti questi anni sono riconducibili a una prima fase, dominata dal modello medico (studio, diagnosi, e trattamento sono fasi mutuate direttamente dal linguaggio tecnico). Maria Dal Pra Ponticelli (1985) ha tradotto per il servizio sociale questi modelli di origine anglosassone, rielaborandoli e coniugandoli con la pratica operativa nell'intento di individuare un percorso logico e scientifico, identificabile nel processo circolare prassi-teoria-prassi.

premessa che gran parte delle situazioni di disagio, di devianza, ha origine in una condizione personale di incapacità, o impossibilità, a governare i cambiamenti e i problemi che si verificano nel corso della vita. Il metodo adottato inoltre per fare ricerca scientifica si fonda sull'isolamento delle variabili da osservare (Campanini, 1993, p.37).

Elaborazioni significative per il servizio sociale, sono i modelli di Florence Hollis (modello psico-sociale), Helen Perlman e William J. Reid (modello problem solving) e Carel Germain (modello ecologico esistenziale).

Entrando nei contenuti, dei modelli psicodinamici, da subito è possibile osservare che vengono utilizzate per la gestione e l'impostazione del colloquio tra operatore ed utente le definizioni di “Io”, “Es”, Super io”, “transfert” e “meccanismi di difesa”. L'epistemologia che sta alla base della psicoanalisi si basa sul concetto di “energia”; Jay Haley in Uno sguardo

retrospettivo sulla terapia della famiglia (1980, pp.11-25), afferma che nel passato si

presupponeva di poter sviluppare una scienza dell'uomo studiandolo separatamente dai suoi simili e per spiegarne il perché, di determinati comportamenti era necessario postulare “qualcosa” all'interno della persona, istinti, pulsioni, o emozioni: un energia in pratica che spingeva l'individuo. Se poi questo comportamento era “patologico” o “problematico”, bisognava concludere che c'era un “difetto” interno o che la persona stava vivendo dei conflitti tra bisogni e pulsioni.

Che cosa è possibile trarre ancora oggi dai modelli psicodinamici, e in particolare quali elementi operativi consentono di generare relazioni sociali che non abbiano solo finalità strumentale?

Sicuramente una prima riflessione da fare, per alcuni forse banale, ma certamente non scontata, riguarda il fatto che il servizio sociale pur distanziandosi da un modello di tipo medico, non può fare a meno di integrarlo nella propria progettualità.

Pensiamo all'utilizzo della diagnosi psicologica della personalità: pur non rappresentando un fondamento per l'intervento del servizio sociale, come poteva essere nei primi modelli teorici di social work (scuola diagnostica, modello funzionale), essa rappresenta ancora oggi uno strumento concreto, che testimonia il mandato istituzionale del Servizio e si configura specialmente all'interno di quegli interventi realizzati in contesti di controllo e quindi di relazione con l'Autorità Giudiziaria. Faccio riferimento ad esempio alle richieste d’indagine psico-sociale che la Procura presso il Tribunale per i Minorenni può affidare ai servizi in una cornice di valutazione penale o civile (le richieste di indagine possono giungere ai servizi a seguito di intervento delle Forze dell'Ordine su un minore coinvolto ad esempio in atti perseguibili come fatti di reato, oppure possono giungere a seguito di intervento di altri

soggetti, Forze dell'Ordine ma anche figure sanitarie o scolastiche che attivano l'iter di segnalazione giudiziaria per problematiche sanitarie, scolastiche, familiari).

Si tratta di situazioni in cui solitamente il servizio sociale è chiamato a svolgere una valutazione sociale e psicologica avvalendosi di specifiche competenze sanitarie (psicologo, psicoterapeuta, neuropsichiatra infantile).

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Tra lo sviluppo della Scuola Diagnostica (anni ‘20) e il Modello Problem Solving della Perlman (1957) si diffuse un Modello di Lavoro Psico- Sociale33, che offrì una visione della personalità in interazione con l'ambiente in base ad un dinamismo interno, che la spinge a realizzarsi attraverso il rapporto con gli altri.

Se lo psicologo Otto Rank (che ebbe influenza sulla Scuola Funzionale in particolare su Ruth E. Smalley nel 1967) dette qualche speranza, al perenne conflitto interiore che l'individuo vive a seguito del “trauma della nascita”, affermando che il clima di accettazione permette di allentare le difese ed esprimere i propri sentimenti, più avanti, nel Modello di intervento Psicosociale della Hollis, la personalità non solo fu osservata nelle sue potenzialità, ma nella situazione e nel contesto specifico in cui si sviluppa. Questo elemento è interessante per la nostra prassi, specialmente ritornando all'esempio del caso di richiesta d’indagine psico- sociale di cui sopra. Il servizio sociale incaricato ha diverse possibilità: nello svolgimento dell’indagine (mediante valutazione disgiunta o congiunta con la componente sanitaria, ipotizziamo lo Psicologo); nella valutazione degli elementi (privilegiando aspetti individuali e/o ambientali, familiari), nell’esito del percorso attivato (che può concludersi con la valutazione, o può proseguire all’interno di un progetto di intervento). Come a dire, l’indagine può pensarsi come processo valutativo di tipo strumentale fine a se stesso o andare un pochino oltre. Può posizionarsi ad un livello di intervento che si configura in una cornice individualista, oppure più integrata con gli attori coinvolti.

Il Modello Psicosociale ci offre dunque la possibilità di ripensare lo sviluppo della personalità all’interno di un contesto di relazioni, sottolineando come anche l'azione sulle persone significative dell'ambiente dell'utente/cliente, significhi offrirgli delle risorse e un aiuto concreto. Il colloquio interno alla persona, su di sé e le risorse esistenti devono portare ad una decisione. Helen Perlman sosterrebbe che l'obiettivo è di arrivare ad una modificazione del comportamento. Siamo ancora in una cornice medica, ma certamente nella Perlman c’è il tentativo di superare lo schema diagnostico, affermando una centralità della relazione di aiuto. Così intesa, la nostra indagine psico-sociale, pur continuando ad essere un intervento che nasce in una cornice giuridica (mandato istituzionale), che attiva da subito una valutazione

(fase di intervento) e che può vedere lavorare distintamente le componenti sociali e psicologiche (per scelta metodologica o per necessità strutturale), mette in gioco un processo di aiuto che è fatto di relazioni con il minore, con la famiglia e con tutte le componenti coinvolte. In questo processo i ruoli e le funzioni non sono sostituibili (lo psicologo non può intervenire al posto dell'assistente sociale e viceversa) e non sono comparabili (gli esiti di una valutazione fatta in un contesto relazionale non può essere paragonata a quella fatta in un altro contesto). Tuttavia è necessario superare questo livello di riflessione per chiedersi cosa i professionisti possono offrire l’uno all’altro e alla famiglia coinvolta nell’osservazione di quanto accaduto. Si tratta insomma, di mettersi in gioco con l’obiettivo di potenziare in uno specifico contesto relazionale, quegli elementi che a loro volta possono favorire scambi e relazioni, anche negli altri contesti esistenti.