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La partecipazione: il punto di vista di un laboratorio regionale sul lavoro di comunità

CONTESTUALIZZARE I SERVIZI SOCIALI RELAZIONALI NELLA GOVERNANCE LOCALE

2.3 La partecipazione: il punto di vista di un laboratorio regionale sul lavoro di comunità

Sono stati fin qui trattati due strumenti per l’integrazione socio- sanitaria e per la programmazione, (come si vedrà i programmi di ambito provinciale e i Piani di Zona devono essere raccordati ed integrati sulla base delle indicazioni del Piano regionale) che dimostrano operativamente come attuare una progettualità che parte dalla comunità per offrirle supporto e valorizzazione. E’ stata trattata fin qui, in buona sostanza, la parte di “lavoro per la comunità” o social planning, per poi soffermarci sul lavoro “con la comunità” mediante la testimonianza di un laboratorio regionale che ben rappresenta l’approccio del community development. Fatto il punto sui principali elementi teorici che definiscono i processi di governance e di sviluppo di comunità, viene da chiedersi quale sia il punto di vista, la semantica prevalente, espressa da parte di chi opera quotidianamente sul territorio all’interno dei servizi alla persona.

Nell’ambito della programmazione regionale, negli ultimi anni è stato dato grande impulso ai territori nella riprogettazione complessiva dell’area dedicata al sistema dei servizi socio- educativi e sanitari ai bambini e alle famiglie78. Tra i temi di grande attualità, al centro delle

78 Con la Delibera di Giunta Regionale n.378/2010 la Regione ha attuato un finanziamento straordinario a favore degli Enti

Locali per l’attuazione di un “Programma regionale per la promozione e la tutela dei diritti, la protezione e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva e il sostegno alla genitorialità” ai sensi della legge regionale n. 14/2008 sulle giovani generazioni.

indicazioni regionali, ci sono alcune “urgenze” legate alla complessità dell’essere famiglia oggi e alla necessità di ripensare e qualificare il sistema dei servizi e delle opportunità offerte. Finalità, queste, che si realizzano anche mediante percorsi riflessivi e di scambio tra professionisti, rispetto ai significati attribuiti al lavoro con le famiglie non solo in situazioni di urgenza e disagio conclamato, ma anche di promozione e prevenzione.

In tema di sviluppo di comunità, i principali elementi discorsivi espressi da operatori e soggetti di privato sociale direttamente coinvolti in un’iniziativa formativa promossa dalla Regione79, sembrano ruotare attorno a tre dimensioni principali: (i) il raccordo tra la dimensione politica e tecnica negli enti locali, (ii) l’influenza del contesto culturale e (iii) la pari dignità tra soggetti istituzionali e soggetti di privato sociale (“lavorare con”, piuttosto che lavorare “per”).

Per quanto attiene la prima dimensione, il lavoro di comunità va sostenuto dal livello tecnico ma anche da quello politico e le situazioni tipiche che si possono verificare sono due: la prima in cui il livello politico adotta strumenti normativi affinchè questo metodo di lavoro entri a far parte delle prassi operative (si cita l’esempio della città di Bologna che ha deliberato in Giunta, il lavoro di comunità come “facente parte” del lavoro del servizio sociale territoriale); la seconda, in cui il livello tecnico propone al livello politico un certo tipo di intervento (si cita il caso dei progetti sorti nel Distretto della Pianura Ovest di Bologna). La ricerca di un costante allineamento tra i due livelli, politico e tecnico, è considerato un presupposto irrinunciabile per poter avviare un lavoro di comunità.

Per quanto attiene l’influenza del contesto culturale, strettamente interrelato alla dimensione politica, il punto di fondo rappresenta la configurazione che si ha di una comunità con i suoi limiti che possono essere intesi in senso geografico (con criteri prioritari di residenza e permanenza sul territorio) oppure in senso “reticolare” ( con la prevalenza di criteri di legame sociale e relazione tra le persone). La domanda che ci si pone è «Chi oggi è parte della comunità locale e chi è escluso dalla possibilità di fruire di opportunità e servizi?». La dimensione culturale prevalente è quella che consente all’interno dei progetti di comunità di superare criteri vincolanti per l’accesso, ad esempio, a determinate prestazioni o servizi, come la residenza in un certo distretto o quartiere o la cittadinanza, da un certo periodo di tempo.

79 Nel corso del 2010, la Regione ha attivato un percorso formativo in forma di laboratori che ha visto la partecipazione di

operatori e soggetti di privato sociale appartenenti ai 39 distretti socio-sanitari del territorio regionale. Tra i laboratori formativi-informativi (4 in tutto), 1 di questi era focalizzato sul tema del lavoro di comunità con le famiglie. Da precisare che il punto di vista espresso è in prevalenza dei professionisti socio-sanitari (educatori, psicologi, assistenti sociali), ma anche di

Un’ultima dimensione fondamentale è quella della parità tra soggetti attivi nella comunità ed Ente locale. Nelle parole qui sotto riportate, tratte dalle Linee di orientamento elaborate del Gruppo di discussione, si dice che «le interpretazioni della sussidiarietà sono diverse tra operatori e soggetti del privato sociale».

«I referenti dei servizi pubblici e quelli del privato sociale interpretano in modo diverso la sussidiarietà implicata dalla collaborazione che si attiva entro un intervento di comunità. In particolare, per questi ultimi la sussidiarietà implica la parità tra soggetti attivi della comunità locale ed Ente locale. Secondo questo punto di vista, espresso da referenti della cooperazione e del volontariato nel laboratorio non basta cioè un reciproco riconoscimento di competenze, ma è necessario un rapporto di pari dignità sul quale si giochi il mantenimento di rapporti collaborativi tra pubblico e terzo settore, e, più in generale, la vitalità stessa di un contesto locale».

(Tratto dal “Il Lavoro di Comunità con famiglie, bambini e adolescenti : linee di orientamento” - 2010)

La riflessione prodotta, che non esplicita il pensiero degli operatori ma lo rende in qualche modo desumibile (si dice infatti « non basta un reciproco riconoscimento di competenze», come a dire che non è sufficiente una parità che si gioca sul piano istituzionale e di ruolo), fa pensare ad una riflessione di fondo, che ha come conseguenza quella di una diversa interpretazione della sussidiarietà. La pari dignità chiesta dai soggetti di privato sociale, tolte le competenze, lascia immaginare una parità che si gioca sul piano delle idee e dell’ espressione dei bisogni ritenuti prioritari da una comunità. La parità delle idee, se questa ipotesi fosse confermata, consentirebbe di garantire pari dignità ad ogni iniziativa, anche se lontana da quanto inizialmente immaginato o pianificato “per quella comunità” a livello istituzionale. La diversa interpretazione della sussidiarietà sembra pertanto giocarsi da una parte sull’idea che il reciproco riconoscimento di competenze sia solo di ruolo (più o meno formalizzato) e non anche di contenuti ed idee e dall’altra, sull’impossibilità di influenzare e cambiare i piani di sviluppo di comunità, previsti a livello istituzionale. Detto in altri termini: «non basta il riconoscimento delle competenze, se questo non si sostanzia anche in un rapporto di pari dignità, in cui le idee hanno uguale peso e valore nella possibilità di modificare le cose, lavorando “con”, ovvero, insieme, istituzioni e soggetti di privato sociale, piuttosto che “per” qualcosa che viene stabilito altrove al di fuori della relazione, e di una reale sussidiarietà tra le parti».

Agire in una logica di bottom-up significa partire proprio dalle situazioni concrete in cui le persone si trovano, senza prescindere dai desideri di quanti fanno parte della comunità e dal loro coinvolgimento. Il rischio di porre in secondo piano desideri e reale coinvolgimento, è possibile per l’appunto quanto si lavora tanto “per la comunità” (in un senso di advocacy e di soddisfacimento dei bisogni), distanziandosi progressivamente dal lavoro “con la comunità”. «Se vogliamo realizzare un cambiamento che dipende da altri», afferma Twelvetrees, «occorre attenersi ad un principio base, ovvero quello di coinvolgere questi altri a pieno titolo, aiutandoli ad appropriarsi attivamente del progetto, sin dalle sue fasi iniziali» (ivi, p.119).

Sulla base di queste considerazioni ritengo necessario aggiungere altre due riflessioni.

La prima, deriva strettamente dall’adozione dall’approccio relazionale, che porta a dire che non è possibile lavorare insieme, ovvero lavorare “con”, adottando una logica di tipo individualista in cui ognuno è alla fine impegnato a fare la propria parte, senza preoccupazione e riferimento al compito assunto dagli altri. In questo senso sarebbe opportuno ricordare di lavorare “con” gli altri, “per”- “chè”, ovvero affinchè, le relazioni possano crescere.

In secondo luogo, le linee di orientamento paiono un po’ riduttive quando non chiariscono quali elementi del modello organizzativo dovrebbero supportare il lavoro di comunità e quando esso viene ridotto a “una modalità di lavoro” o un “pezzo” del lavoro delle figure professionali impegnate nei servizi. Si dice infatti: «Il lavoro di comunità dovrebbe essere una modalità di lavoro di vari servizi presenti nel territorio, sia del settore pubblico (servizi sociali e Centri per le Famiglie), che del privato sociale (Centri servizi per il volontariato, associazionismo, singoli cittadini ecc.). In particolare nella sfera pubblica, il lavoro di comunità dovrebbe essere supportato da specifici elementi del modello organizzativo: come tale costituire uno dei “pezzi” del lavoro delle figure professionali impegnate nei servizi» (p.5). Il lavoro di comunità in questo senso esige specifici luoghi, spazi e tempi e deve trovare in qualche modo integrazione nel lavoro di chi è impegnato nei servizi, magari mediante affiancamento di soggetti specificatamente dedicati, e non in maniera solo residuale.

Punti di attenzione (warning) – Lavoro di Comunità in Emilia Romagna

• Si conferma che oggi il lavoro di comunità comprende anche interventi che partono da esigenze di degrado urbano/sociale, sicurezza dei cittadini, conflittualità interculturale o intergenerazionale: dalle testimonianze dei partecipanti al laboratorio tuttavia sembrerebbero interventi poco diffusi nonostante l’esistenza delle problematiche indicate. A tale proposito si ribadisce la necessità che i politici rivolgano adeguata attenzione a questo tipo di disagio presente nei territori.

• Fare lavoro di comunità oggi significa agire anche sulla cultura di un contesto per accrescerne l’accoglienza, per modificare la percezione di alcune questioni. La comunità accogliente sembra essere una delle principali finalità alla quale tendere.

• Il coordinamento del lavoro di comunità, ossia chi tiene le redini, è un elemento strategico molto importante che può essere svolto dall’ente pubblico o con una gestione condivisa tra soggetti pubblici e del privato sociale (seppur più raramente può succedere che la gestione sia solo del privato sociale). • È necessario sostenere nel tempo la ‘spinta’ iniziale che solitamente caratterizza un lavoro di

comunità, anche attraverso un’adeguata organizzazione

• Criticità dei tempi: si concorda che occorra molto più tempo a ‘lavorare con’, piuttosto che a ‘lavorare per’, quindi si ribadisce la necessità di disponibilità di tempi lunghi e di continuità (qualche anno) per gli interventi di comunità.

• Unanime è l’opinione che la condivisione di un progetto in tutte le sue fasi sia fondamentale per la riuscita del lavoro di comunità. Pertanto, la cura delle relazioni tra i soggetti coinvolti rappresenta un aspetto molto importante. Per i referenti del terzo settore questo significa relazioni paritarie tra tutti i soggetti coinvolti, anche se con ruoli diversi: secondo il punto di vista del terzo settore si tratta di un aspetto sul quale lavorare ancora molto in quanto non è scontato nelle relazioni con le istituzioni pubbliche.

• E’ importante che i politici partecipino ai processi attivati con il lavoro di comunità. Attenzione a spiegare e comunicare i risultati prodotti dal lavoro di comunità